CLASSICI
Alfredo Ronci
La pigrizia dell'uomo libero: 'Onan' di Francesco Saba Sardi.
Qui si maneggia dinamite, perché l'involucro, una volta aperto, potrebbe esplodervi in mano. O magari l'esatto contrario: ovvero, essendo materia contorta e non facilmente esplicabile, finirebbe con l'essere ignorata. Come disse Ferdinando Giannessi tanti anni fa: Non è escluso che qualche lettore, preso dal capogiro, si fermi dopo venti o trenta pagine.
Romanzo che l'autore di Sesso e Mito stringe nella tenaglia di un linguaggio deflagrante ed inusuale, avanguardistico e gergale. Se non addirittura ermetico. Come prendere se no certi passaggi sull'orlo del non-sense futurista: sbordegascenta la chiarella sensa crienti: spazzetta la chiarella, malinero, come una spera, speglio, speculo flessuoso. Specchiazzino. Timalli brrrenorrde abordi da alfa primativo e oriri, esser sotto mattina, un'orira fa tutte acculciate sull'abordo che bortivano: unicuique suum strontium bonum ovet, ovulo con occhietti rosapone gacheggiante sulla chiacqua aspuma. (Impazzisce a 'sto punto la correzione automatica di word!).
Onan, in quanto titolo, non abbia fraintendimento (lo si aspetterebbe da chi legge Sesso e mito solo per trovar spunti curiosi e in più da autore che non nega la sessualità di Cristo e quindi la sua virilità nell'altra opera Il Natale ha 5000 anni): sì vero, Onan, biblico figlio di Giuda e nipote di Giacobbe è sempre stato l'eponimo dell'amore sterile, della 'fregola' che non procrea, ma in questo romanzo (eh, romanzo) è l'emblema di una devastante amarezza e di una voglia di vivere che s'infrange contro le legge innaturali della guerra e di quel che inevitabilmente questa porta con sé.
A rappresentare ciò è Pavel, slavo che ha subìto il carcere titino perché accusato di aver collaborato coi nazisti e poi profugo nell'Italia che tenta di ricostruirsi ma che si trascina dietro l'annosa questione di Trieste (1953: annus horribilis, sei morti e decine di feriti nella battaglia di novembre tra chi chiedeva di tornare italiano e chi, gli occupanti angloamericani, cercava un falso equilibrio della 'ragion di stato').
Pavel sembra avere le idee chiare sin dalle prime schermaglie (Siete certi che il mondo davvero umano, o umanisti di tutte le specie, non sia coma, buio, lontananza, inconscia fumigazione, debole barlume, pacato spegnimento?), ma il suo pessimismo ha il suo contraltare: la voglia di andare avanti (e andrà, passando la frontiera appunto e trovandosi lui stesso in mezzo ai tumulti irredentisti) nella lucida valutazione di una politica involuta: per colpa dei banditi internazionali, della reazione capitalistica e dell'involuzione sovietica, noi costretti a segnare il passo?
Ma non è facile parlar di Pavel ed ignorare il contorno, che in Onan non è paradossalmente la geo-politica, ma il muro allucinato di parole di cui è fatto: ronzio inestricabile di lemmi e di lingue (italiano, slavo, tedesco...), capriole a volte difficili da snodare per l'esplosiva artificiosità dell'autore: Mi volto? Il sonore delle issione su asforto diverso che su viviccio. A una simile insinuazione, la sola disposta possibile è di chiudersi nel proprio paguro.
Ma il gioco (soprattutto nella sostituzione e sovraesposizione delle voci) vale la candela: protagonista accanto a Pavel è la libertà, quella, oserei dire, giusta, non quella inframezzata da ridicoli percorsi finto borghesi dell'ultimo romanzo di Jonathan Franzen e della quale lo stesso personaggio si fa audace paladino: E badi, non è che io creda alla sorca intesa come rivoluzione, al bischero libertario eretto a redentore. Macché; dico solo: che razza di rivoluzioni, son quelle che si fanno, se non si libera l'uomo dal buonsenso dei mezzi termini?
Fa bene un misterioso interlocutore, che consiglia Pavel ad abbandonare anche l'Italia perché preda di incomprensibili contraddizioni, a dire di lui: Elemento pigro e indisciplinato (...) ma abile ed intelligente.
Ecco sì intelligente, diremmo persino 'svelto'. Ma come si diceva, fa tutt'uno con l'altra parte del romanzo, quel flusso continuo di coscienza e linguaggio che è dell'autore Sardi.
Di cui si 'sospetta' un'adesione parziale agli strepiti del Gruppo '63. In fondo Onan uscì nel 1964, quando qualche mese prima, esattamente nel novembre '63, giovani virgulti stufi delle 'lialesche' peregrinazioni dei letterati italici di successo, esondavano letteralmente coi loro proclami.
Come prima 'sospettavo', ora sarei anche certo che il Sardi si ergerebbe vergine. E in fondo avrebbe ragione: il pletorico romanzo (quasi 500 pagine di pura sperimentazione, anche visiva, con parti in doppia colonna e a sé stanti) ha vita assai personale (come ce l'ha lo stesso autore, una delle figure intellettuali più lucide del nostro novecento!) e non può essere solo riducibile ad un'istanza, per carità lecita, dettata da mode vocianti.
Onan non lo trovate nelle varie storie della letteratura italiana (perché stupirsi: devo ancora aver traccia di Ugo Facco de Lagarda!) – solo Contini l'apprezzò – perché troppo lontano dalla critica 'industriale' come la definiva Fortini vent'anni fa. D'altronde un romanzo che termina con... Al muro i finti poeti che non sanno mordere nella realtà, insegnarci a lottare, affilarci le armi. Distruggiamo i palazzi. E anche le chiese, non dimentichiamole... avrebbe un impatto troppo devastante per menti povere e abituate al servilismo da catechesi.
Solo per chi ha ancora voglia di stupirsi nonostante l'ardua salita!
L'edizione da noi considerata è
Francesco Saba Sardi
Onan
Sugar editore - 1964
Romanzo che l'autore di Sesso e Mito stringe nella tenaglia di un linguaggio deflagrante ed inusuale, avanguardistico e gergale. Se non addirittura ermetico. Come prendere se no certi passaggi sull'orlo del non-sense futurista: sbordegascenta la chiarella sensa crienti: spazzetta la chiarella, malinero, come una spera, speglio, speculo flessuoso. Specchiazzino. Timalli brrrenorrde abordi da alfa primativo e oriri, esser sotto mattina, un'orira fa tutte acculciate sull'abordo che bortivano: unicuique suum strontium bonum ovet, ovulo con occhietti rosapone gacheggiante sulla chiacqua aspuma. (Impazzisce a 'sto punto la correzione automatica di word!).
Onan, in quanto titolo, non abbia fraintendimento (lo si aspetterebbe da chi legge Sesso e mito solo per trovar spunti curiosi e in più da autore che non nega la sessualità di Cristo e quindi la sua virilità nell'altra opera Il Natale ha 5000 anni): sì vero, Onan, biblico figlio di Giuda e nipote di Giacobbe è sempre stato l'eponimo dell'amore sterile, della 'fregola' che non procrea, ma in questo romanzo (eh, romanzo) è l'emblema di una devastante amarezza e di una voglia di vivere che s'infrange contro le legge innaturali della guerra e di quel che inevitabilmente questa porta con sé.
A rappresentare ciò è Pavel, slavo che ha subìto il carcere titino perché accusato di aver collaborato coi nazisti e poi profugo nell'Italia che tenta di ricostruirsi ma che si trascina dietro l'annosa questione di Trieste (1953: annus horribilis, sei morti e decine di feriti nella battaglia di novembre tra chi chiedeva di tornare italiano e chi, gli occupanti angloamericani, cercava un falso equilibrio della 'ragion di stato').
Pavel sembra avere le idee chiare sin dalle prime schermaglie (Siete certi che il mondo davvero umano, o umanisti di tutte le specie, non sia coma, buio, lontananza, inconscia fumigazione, debole barlume, pacato spegnimento?), ma il suo pessimismo ha il suo contraltare: la voglia di andare avanti (e andrà, passando la frontiera appunto e trovandosi lui stesso in mezzo ai tumulti irredentisti) nella lucida valutazione di una politica involuta: per colpa dei banditi internazionali, della reazione capitalistica e dell'involuzione sovietica, noi costretti a segnare il passo?
Ma non è facile parlar di Pavel ed ignorare il contorno, che in Onan non è paradossalmente la geo-politica, ma il muro allucinato di parole di cui è fatto: ronzio inestricabile di lemmi e di lingue (italiano, slavo, tedesco...), capriole a volte difficili da snodare per l'esplosiva artificiosità dell'autore: Mi volto? Il sonore delle issione su asforto diverso che su viviccio. A una simile insinuazione, la sola disposta possibile è di chiudersi nel proprio paguro.
Ma il gioco (soprattutto nella sostituzione e sovraesposizione delle voci) vale la candela: protagonista accanto a Pavel è la libertà, quella, oserei dire, giusta, non quella inframezzata da ridicoli percorsi finto borghesi dell'ultimo romanzo di Jonathan Franzen e della quale lo stesso personaggio si fa audace paladino: E badi, non è che io creda alla sorca intesa come rivoluzione, al bischero libertario eretto a redentore. Macché; dico solo: che razza di rivoluzioni, son quelle che si fanno, se non si libera l'uomo dal buonsenso dei mezzi termini?
Fa bene un misterioso interlocutore, che consiglia Pavel ad abbandonare anche l'Italia perché preda di incomprensibili contraddizioni, a dire di lui: Elemento pigro e indisciplinato (...) ma abile ed intelligente.
Ecco sì intelligente, diremmo persino 'svelto'. Ma come si diceva, fa tutt'uno con l'altra parte del romanzo, quel flusso continuo di coscienza e linguaggio che è dell'autore Sardi.
Di cui si 'sospetta' un'adesione parziale agli strepiti del Gruppo '63. In fondo Onan uscì nel 1964, quando qualche mese prima, esattamente nel novembre '63, giovani virgulti stufi delle 'lialesche' peregrinazioni dei letterati italici di successo, esondavano letteralmente coi loro proclami.
Come prima 'sospettavo', ora sarei anche certo che il Sardi si ergerebbe vergine. E in fondo avrebbe ragione: il pletorico romanzo (quasi 500 pagine di pura sperimentazione, anche visiva, con parti in doppia colonna e a sé stanti) ha vita assai personale (come ce l'ha lo stesso autore, una delle figure intellettuali più lucide del nostro novecento!) e non può essere solo riducibile ad un'istanza, per carità lecita, dettata da mode vocianti.
Onan non lo trovate nelle varie storie della letteratura italiana (perché stupirsi: devo ancora aver traccia di Ugo Facco de Lagarda!) – solo Contini l'apprezzò – perché troppo lontano dalla critica 'industriale' come la definiva Fortini vent'anni fa. D'altronde un romanzo che termina con... Al muro i finti poeti che non sanno mordere nella realtà, insegnarci a lottare, affilarci le armi. Distruggiamo i palazzi. E anche le chiese, non dimentichiamole... avrebbe un impatto troppo devastante per menti povere e abituate al servilismo da catechesi.
Solo per chi ha ancora voglia di stupirsi nonostante l'ardua salita!
L'edizione da noi considerata è
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Onan
Sugar editore - 1964
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