RECENSIONI
E.J.Wagner
La scienza di Sherlock Holmes
Bollati Boringhieri, Pag.228 Euro 20.00
Anni fa un settimanale chiese ad alcune "eminenze grigie" un luogo "preferito" nel caso in cui avessero avuto la possibilità di viaggiare nel tempo. Il mai troppo compianto O.d.B. (leggi: Oreste del Buono) disse senza tentennare: al 221 di Baker Street, lo studio di Sherlock Holmes.
Probabilmente avrei risposto allo stesso modo.
Dunque è normale chiedersi come mai quella figura letteraria e addirittura il suo "luogo" di lavoro emanino ancora fascino, e se mi è consentito esagerare, stupore.
Credo non vi sia risposta perché ogni spiegazione ed ogni decifrazione del fenomeno in qualche modo intorpidirebbero la materia privandola appunto di richiamo e charme.
Se mi è consentito essere audace, il libro in questione questo ha fatto: nello spulciare l'arte e la sapienza del creatore di Holmes, sir Arthur Conan Doyle, l'autore ha in parte (perché sarebbe impossibile farlo del tutto) sottratto fascinazione a quel "corpo" (inteso come un tutto), relegandolo nel limbo di una catalogazione disciplinare.
Stiamo, come nostra abitudine, cercando il pelo nell'uovo. E.J.Wagner, docente di Storia del crimine alla Story Brook University di New York, ha fatto un gran lavoro, ha, diciamo, sistematicamente riordinato le trame dell'opera omnia di Conan Doyle confrontandole con le leggende, i fenomeni, le conoscenze e le nuove scoperte di fine ottocento.
Quel che ne esce fuori è innanzi tutto una conferma – riportata pure sulla quarta di copertina – e cioè che il segreto di Sherlock Holmes è che era un grande scienziato. Non solo, Conan Doyle, e per lui il più grande investigatore della storia letteraria (o viceversa, perché questa sorta di sodalizio e comunità di vita portò lo scrittore a non poter fare a meno della sua creatura, risuscitandolo letterariamente dopo che ne aveva decretata una morte prematura ed accidentale), opera sistematicamente in un ambito che rasenta lo scibile umano. Quindi non solo scienza ed evoluzione, ma costumi, usanze, credenze, miti, leggende ed eccentricità.
Bello per esempio il capitolo Storie bestiali e cani neri dove la Wagner ci spiega dettagliatamente come il cane "prodigioso" de Il mastino dei Baskerville non sia altro che una "rimasticatura" di presenze antiche: Pare più probabile che l'ubiquità dei racconti si debba a una miscellanea di autentico folklore antico: quello della tradizione nordica, con il suo mito del grande lupo Fenris, che, se sciolto dalle catene, avrebbe aperto la strada alla fine de mondo (pag.37).
Ma Holmes anche come anticipatore assoluto di tecniche avanzate di investigazione: non parlo dell'oggettistica che qualche anno più tardi fece la fortuna di Thorndyke, la creatura superscientifica di Austin Freeman, che se ne andava in giro, primo fra tutti, con la sua ventiquattro ore, ma di metodo, tipo l'ossessione, per certi versi anche bizzarra, dell'investigatore per lo studio delle impronte sul terreno (ne sappiamo qualcosa noi italiani, appallati quasi quotidianamente dalle orme e dalle tracce di sangue lasciate dai responsabili dei delitti di Cogne e Garlasco).
Insomma, senza tirarla per le lunghe, è chiaro il discorso: libro interessante, suggestivo, nozionistico, attento, persino esageratamente esplorativo ma... privo di fascino. Ma non per colpa del testo o dell'autrice, ma perché la materia del contendere è al di sopra delle parti, o forse delle umane sorti. Lo diceva anche lo stesso Holmes ne La valle della paura: In me dimora un certo qual tocco di artista. E si sa, guai a "sfrucugliare" nelle sinapsi soprattutto dei maestri.
di Eleonora del Poggio
Probabilmente avrei risposto allo stesso modo.
Dunque è normale chiedersi come mai quella figura letteraria e addirittura il suo "luogo" di lavoro emanino ancora fascino, e se mi è consentito esagerare, stupore.
Credo non vi sia risposta perché ogni spiegazione ed ogni decifrazione del fenomeno in qualche modo intorpidirebbero la materia privandola appunto di richiamo e charme.
Se mi è consentito essere audace, il libro in questione questo ha fatto: nello spulciare l'arte e la sapienza del creatore di Holmes, sir Arthur Conan Doyle, l'autore ha in parte (perché sarebbe impossibile farlo del tutto) sottratto fascinazione a quel "corpo" (inteso come un tutto), relegandolo nel limbo di una catalogazione disciplinare.
Stiamo, come nostra abitudine, cercando il pelo nell'uovo. E.J.Wagner, docente di Storia del crimine alla Story Brook University di New York, ha fatto un gran lavoro, ha, diciamo, sistematicamente riordinato le trame dell'opera omnia di Conan Doyle confrontandole con le leggende, i fenomeni, le conoscenze e le nuove scoperte di fine ottocento.
Quel che ne esce fuori è innanzi tutto una conferma – riportata pure sulla quarta di copertina – e cioè che il segreto di Sherlock Holmes è che era un grande scienziato. Non solo, Conan Doyle, e per lui il più grande investigatore della storia letteraria (o viceversa, perché questa sorta di sodalizio e comunità di vita portò lo scrittore a non poter fare a meno della sua creatura, risuscitandolo letterariamente dopo che ne aveva decretata una morte prematura ed accidentale), opera sistematicamente in un ambito che rasenta lo scibile umano. Quindi non solo scienza ed evoluzione, ma costumi, usanze, credenze, miti, leggende ed eccentricità.
Bello per esempio il capitolo Storie bestiali e cani neri dove la Wagner ci spiega dettagliatamente come il cane "prodigioso" de Il mastino dei Baskerville non sia altro che una "rimasticatura" di presenze antiche: Pare più probabile che l'ubiquità dei racconti si debba a una miscellanea di autentico folklore antico: quello della tradizione nordica, con il suo mito del grande lupo Fenris, che, se sciolto dalle catene, avrebbe aperto la strada alla fine de mondo (pag.37).
Ma Holmes anche come anticipatore assoluto di tecniche avanzate di investigazione: non parlo dell'oggettistica che qualche anno più tardi fece la fortuna di Thorndyke, la creatura superscientifica di Austin Freeman, che se ne andava in giro, primo fra tutti, con la sua ventiquattro ore, ma di metodo, tipo l'ossessione, per certi versi anche bizzarra, dell'investigatore per lo studio delle impronte sul terreno (ne sappiamo qualcosa noi italiani, appallati quasi quotidianamente dalle orme e dalle tracce di sangue lasciate dai responsabili dei delitti di Cogne e Garlasco).
Insomma, senza tirarla per le lunghe, è chiaro il discorso: libro interessante, suggestivo, nozionistico, attento, persino esageratamente esplorativo ma... privo di fascino. Ma non per colpa del testo o dell'autrice, ma perché la materia del contendere è al di sopra delle parti, o forse delle umane sorti. Lo diceva anche lo stesso Holmes ne La valle della paura: In me dimora un certo qual tocco di artista. E si sa, guai a "sfrucugliare" nelle sinapsi soprattutto dei maestri.
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