RECENSIONI
Franck Thilliez
La stanza dei morti
Superpocket, Pag. 350 Euro 5,90
Immagino l'incazzatura. Doveva sicuramente essere alterato Raymond Chandler quando, scrivendo alcuni racconti che poi confluiranno nel libro La semplice arte del delitto (parliamo della versione italiana che per una volta tanto azzeccò il titolo), scagliò fulmini e saette contro la scuola inglese del delitto, quindi contro la golden age, e sputò letteralmente addosso ad una beniamina del genere: Dorothy Sayers. E a ben ragione. Rinfacciandole il fatto che scrivere di omicidi a quel modo significava 'giocare' con la morte,come si può giocare ad uno stupido gioco di società. La società per Chandler era tutt'altro, ma per lo scrittore americano era 'altro' anche il modo di investigare nel mondo della delinquenza. Che significava fare a meno delle coincidenze e delle necessità che spesso rendevano ridicoli i percorsi risolutivi del delitto vecchia maniera.
Il noir contemporaneo, se prendiamo per buone le impostazioni dei grandi del genere, a partire dal francese Daeninckx, soffre anch'esso del difetto di strafare, trasformando spesso la materia asciutta del disagio metropolitano in un coacervo di combinazioni che alla lunga ricorda i meccanismi di scrittura della golden age del giallo.
Prendiamo questo libro: l'autore è francese, di Annecy, e all'improvviso si è trovato alla ribalta del mercato noir transalpino con questo romanzo che, pur pubblicato inizialmente da un piccolo editorer, ha trovato i canali giusti (e presumibilmente il passaparola tra i lettori) per diventare alla fine un caso letterario.
Diciamocelo: niente per cui strapparsi i capelli. Anzi. La stanza dei morti soffre invece di quel difetto di cui si parlava e che se fosse vivo ancora Chandler con molta probabilità riceverebbe i suoi strali e le sue maledizioni.
Pensate: due disoccupati fanno una spedizione alla loro ex fabbrica per scrivere sui muri messaggi poco urbani rivolti ai proprietari. Tornando a casa investono un uomo che ha con sé una valigia piena di soldi. Bene, l'uomo è uno dei proprietari della fabbrica e in quel preciso momento sta in mezzo ad una strada perché deve consegnare il riscatto per far liberare la figlioletta che è stata rapita. I due rubano ovviamente i soldi (segnando così anche il destino della bambina), ma hanno il 'buon'senso di nascondere il cadavere dell'uomo con una tecnica scientifica che il più furbo conosce alla perfezione (ma guarda un po'), nonostante sia un semplice operaio. L'altro, più scioccone, viene a sapere successivamente dal fratello, che sta indagando sul misfatto, che l'uomo investito era il padrone della fabbrica e il padre della bambina rapita.
La domanda sorge spontanea: ma quant'è piccolo il mondo? Oppure: ma quante combinazioni! Ma quanto 'balordo' può essere un 'noir' che ha la stessa, peraltro, struttura de Il silenzio degli innocenti (per carità, lo si dice anche nei risvolti di copertina, ma questo non basta a discolpare l'autore dalla brutta abitudine di star dietro alle mode)?
La lettura fila liscia, e vorrei vedere che un giallo possa avere anche difetti del genere, ma ci viene il sospetto che i 'casi' letterari (o presunti tali, perché ci vuole poco a crearne uno) servano solo come tentativo di evitare stagnazioni. Il noir rischia questo, soprattutto quello francese, che ha una straordinaria tradizione.
di Eleonora del Poggio
Il noir contemporaneo, se prendiamo per buone le impostazioni dei grandi del genere, a partire dal francese Daeninckx, soffre anch'esso del difetto di strafare, trasformando spesso la materia asciutta del disagio metropolitano in un coacervo di combinazioni che alla lunga ricorda i meccanismi di scrittura della golden age del giallo.
Prendiamo questo libro: l'autore è francese, di Annecy, e all'improvviso si è trovato alla ribalta del mercato noir transalpino con questo romanzo che, pur pubblicato inizialmente da un piccolo editorer, ha trovato i canali giusti (e presumibilmente il passaparola tra i lettori) per diventare alla fine un caso letterario.
Diciamocelo: niente per cui strapparsi i capelli. Anzi. La stanza dei morti soffre invece di quel difetto di cui si parlava e che se fosse vivo ancora Chandler con molta probabilità riceverebbe i suoi strali e le sue maledizioni.
Pensate: due disoccupati fanno una spedizione alla loro ex fabbrica per scrivere sui muri messaggi poco urbani rivolti ai proprietari. Tornando a casa investono un uomo che ha con sé una valigia piena di soldi. Bene, l'uomo è uno dei proprietari della fabbrica e in quel preciso momento sta in mezzo ad una strada perché deve consegnare il riscatto per far liberare la figlioletta che è stata rapita. I due rubano ovviamente i soldi (segnando così anche il destino della bambina), ma hanno il 'buon'senso di nascondere il cadavere dell'uomo con una tecnica scientifica che il più furbo conosce alla perfezione (ma guarda un po'), nonostante sia un semplice operaio. L'altro, più scioccone, viene a sapere successivamente dal fratello, che sta indagando sul misfatto, che l'uomo investito era il padrone della fabbrica e il padre della bambina rapita.
La domanda sorge spontanea: ma quant'è piccolo il mondo? Oppure: ma quante combinazioni! Ma quanto 'balordo' può essere un 'noir' che ha la stessa, peraltro, struttura de Il silenzio degli innocenti (per carità, lo si dice anche nei risvolti di copertina, ma questo non basta a discolpare l'autore dalla brutta abitudine di star dietro alle mode)?
La lettura fila liscia, e vorrei vedere che un giallo possa avere anche difetti del genere, ma ci viene il sospetto che i 'casi' letterari (o presunti tali, perché ci vuole poco a crearne uno) servano solo come tentativo di evitare stagnazioni. Il noir rischia questo, soprattutto quello francese, che ha una straordinaria tradizione.
di Eleonora del Poggio
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