RECENSIONI
Louis Ferdinand Céline
Le onde
Via del Vento, Pag. 36 Euro 4,00
Scritti céliniani inediti in Italia, pubblicati dalle piccole e coraggiose edizioni Via del Vento di Pistoia, a cura di Anna Rizzello, composti tra 1916 e 1917: si tratta di prose prodromiche, un racconto e due lettere, embrione d'uno stile e d'una scrittura nuova, di sicuro interesse filologico e plausibile fascino per tutti i lettori del padre del Viaggio al termine della notte. Questa pubblicazione è quella che si dice una strenna ideale.
Le onde è il il primo "tentativo letterario" di Cèline, per dirla con le parole della curatrice. Composto durante il suo ritorno in Francia dopo l'esperienza africana, è ambientato a bordo di una nave, nel 1917. Argomento, la varia umanità europea presente a bordo e la loro visione della prima guerra mondiale; l'opportunità che gli Stati Uniti si schierino, in particolare, angoscia e muove al dialogo i presenti. Nel corso di questo breve scorcio narrativo – è uno sketch, un bozzetto – si intravede un personaggio famigliare: Camuzet aveva "nobili tendenze patriottiche", e alla dichiarazione di guerra Per qualche giorno, perse ogni controllo concreto sul proprio animo, che sentì violento, combattivo, animato da sentimenti irrefragabili che non s'era mai conosciuto, di una grandezza che non aveva mai supposto (pag. 6).
Buone le prime descrizioni dell'artista francese: ad esempio, ecco In una penombra propizia, il principe Catulesco, del casato romeno, era steso in una posa di calcolata negligenza sul divano ricoperto di tappezzeria d'un tono giallastro. Il viso giovane era pallido e tirato; una lunga ciocca di capelli neri gli ricadeva sugli occhi, che erano profondi e ardenti, orlati da palpebre corrose e dalle ciglia rade (pag. 9).
La narrazione scivola come una barca sul mare, registrazione personale e atipica di incontri probabilmente davvero avvenuti; Céline è febbrile e avvolgente, frenetico e incisivo nella rappresentazione dei colori dei dialoghi, e delle personalità dei protagonisti.
Quindi, si passa alla prima lettera a Simone Saintu (31 luglio 1916), un'amica d'infanzia dell'autore: Cèline spiega che da quando ha lasciato Rambouillet per la "grande avventura" della guerra, non ha visto altro che morte: abbiamo ucciso molto, e uccidiamo ancora, instancabilmente fastidiosamente; la guerra comincia a sembrargli una ignobile tragedia davanti a un pubblico stanco, ma troppo esausto per alzarsi e andare via. Cèline ha scoperto l'uguaglianza degli uomini in quei giorni tremendi, imparando a riconoscerli attraverso i vizi e l'intelligenza: è diviso tra scetticismo e indulgenza nei confronti loro, e di sé stesso. Naturalmente sappiamo bene come andrà a finire: il monumentale Viaggio sarà l'espressione di questo sentimento.
Nella seconda lettera (25 ottobre 1916), l'artista sospetta, ripetendo la lezione pubblicata in un articolo da Urban Gohier, che la futura letteratura francese non sarà affatto viva e sana, ma morbosa, commerciale, "istericamente patriottica" ed ebrea; più avanti, medita con fastidio sul clima culturale dell'epoca, sui formidabili errori di interpretazione del "cataclisma della guerra". Restio e insofferente nei confronti dell'enfasi e della solennità di certe battute politiche, conclude universalizzando la questione:
Non bisogna cercare l'abietto o il sublime nei gesti, poiché il corpo umano non è mai abietto, né sublime, solo e soltanto il pensiero tollera un qualificativo. Il gesto, esteriorizzato dal pensiero, è un errore, causato incitato facilitato dalla vicinanza nel cervello del centro motore determinante - Appena il pensiero diventa attivo, cessa d'essere speculativo e a questo titolo non merita più né approvazione né riprovazione – né sofferenza né gioia – è neutro. Il Cristo ha cessato d'essere Verbo il giorno in cui è salito in croce (pag. 25).
In questo breve passo c'è tutto il massimalismo e l'estremismo di Céline: dal corpo umano sfocia nel divino, con una semplicità e una naturalezza che sconcertano, disorientano e infine inchiodano.
Esteticamente, qualcuno si potrebbe chiedere, com'erano questi manoscritti? Racconta la Rizzello: Il flusso grafico è perturbato, la punteggiatura destrutturata, le maiuscole moltiplicate: la scrittura fa appello a procedimenti propri del linguaggio parlato. L'emotività interferisce nella produzione scritta, a volte in modo spettacolare, e la grafia allora si allarga, si gonfia con l'aumentare della collera - e con questa lirica descrizione di quel che forse non potremo vedere mai, ma abbiamo più volte immaginato, ci congediamo da una nuova, preziosa plaquette a tiratura limitata, a firma Via del Vento.
di Gianfranco Franchi
Le onde è il il primo "tentativo letterario" di Cèline, per dirla con le parole della curatrice. Composto durante il suo ritorno in Francia dopo l'esperienza africana, è ambientato a bordo di una nave, nel 1917. Argomento, la varia umanità europea presente a bordo e la loro visione della prima guerra mondiale; l'opportunità che gli Stati Uniti si schierino, in particolare, angoscia e muove al dialogo i presenti. Nel corso di questo breve scorcio narrativo – è uno sketch, un bozzetto – si intravede un personaggio famigliare: Camuzet aveva "nobili tendenze patriottiche", e alla dichiarazione di guerra Per qualche giorno, perse ogni controllo concreto sul proprio animo, che sentì violento, combattivo, animato da sentimenti irrefragabili che non s'era mai conosciuto, di una grandezza che non aveva mai supposto (pag. 6).
Buone le prime descrizioni dell'artista francese: ad esempio, ecco In una penombra propizia, il principe Catulesco, del casato romeno, era steso in una posa di calcolata negligenza sul divano ricoperto di tappezzeria d'un tono giallastro. Il viso giovane era pallido e tirato; una lunga ciocca di capelli neri gli ricadeva sugli occhi, che erano profondi e ardenti, orlati da palpebre corrose e dalle ciglia rade (pag. 9).
La narrazione scivola come una barca sul mare, registrazione personale e atipica di incontri probabilmente davvero avvenuti; Céline è febbrile e avvolgente, frenetico e incisivo nella rappresentazione dei colori dei dialoghi, e delle personalità dei protagonisti.
Quindi, si passa alla prima lettera a Simone Saintu (31 luglio 1916), un'amica d'infanzia dell'autore: Cèline spiega che da quando ha lasciato Rambouillet per la "grande avventura" della guerra, non ha visto altro che morte: abbiamo ucciso molto, e uccidiamo ancora, instancabilmente fastidiosamente; la guerra comincia a sembrargli una ignobile tragedia davanti a un pubblico stanco, ma troppo esausto per alzarsi e andare via. Cèline ha scoperto l'uguaglianza degli uomini in quei giorni tremendi, imparando a riconoscerli attraverso i vizi e l'intelligenza: è diviso tra scetticismo e indulgenza nei confronti loro, e di sé stesso. Naturalmente sappiamo bene come andrà a finire: il monumentale Viaggio sarà l'espressione di questo sentimento.
Nella seconda lettera (25 ottobre 1916), l'artista sospetta, ripetendo la lezione pubblicata in un articolo da Urban Gohier, che la futura letteratura francese non sarà affatto viva e sana, ma morbosa, commerciale, "istericamente patriottica" ed ebrea; più avanti, medita con fastidio sul clima culturale dell'epoca, sui formidabili errori di interpretazione del "cataclisma della guerra". Restio e insofferente nei confronti dell'enfasi e della solennità di certe battute politiche, conclude universalizzando la questione:
Non bisogna cercare l'abietto o il sublime nei gesti, poiché il corpo umano non è mai abietto, né sublime, solo e soltanto il pensiero tollera un qualificativo. Il gesto, esteriorizzato dal pensiero, è un errore, causato incitato facilitato dalla vicinanza nel cervello del centro motore determinante - Appena il pensiero diventa attivo, cessa d'essere speculativo e a questo titolo non merita più né approvazione né riprovazione – né sofferenza né gioia – è neutro. Il Cristo ha cessato d'essere Verbo il giorno in cui è salito in croce (pag. 25).
In questo breve passo c'è tutto il massimalismo e l'estremismo di Céline: dal corpo umano sfocia nel divino, con una semplicità e una naturalezza che sconcertano, disorientano e infine inchiodano.
Esteticamente, qualcuno si potrebbe chiedere, com'erano questi manoscritti? Racconta la Rizzello: Il flusso grafico è perturbato, la punteggiatura destrutturata, le maiuscole moltiplicate: la scrittura fa appello a procedimenti propri del linguaggio parlato. L'emotività interferisce nella produzione scritta, a volte in modo spettacolare, e la grafia allora si allarga, si gonfia con l'aumentare della collera - e con questa lirica descrizione di quel che forse non potremo vedere mai, ma abbiamo più volte immaginato, ci congediamo da una nuova, preziosa plaquette a tiratura limitata, a firma Via del Vento.
di Gianfranco Franchi
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