RECENSIONI
Mariolina Venezia
Mille anni che sto qui
Einaudi, Pag.245 Euro15.00
L'operazione di Mariolina Venezia (e che vi devo dire, l'impressione è quella, forse meno mirata del solito, pur sempre manovra) sta esattamente a metà strada tra l'ardimentosa operazione (e parliamo sempre di casa Einaudi) di Terra Matta, il quasi interminabile diario del contadino semianalfabeta Vincenzo Rabito, e le cahiers de doleance infantili del Verderame di Michele Mari (su cui torneremo con più dettagli e con una recensione ad hoc).
Cioè tra due audaci modi di scrivere: il primo con assoluto spregio delle regole e delle sintassi (anche perché cosa si può pretendere da un semianalfabeta), il secondo con improvvise vette neologistiche e rimandi dialettali.
La Venezia, meno coraggiosa (in questo contesto, perché poi nessuno chiede agli scrittori di essere originali o coté a tutti i costi), ma abile nell'intrecciare la storia con "stazioni" storiche come fossero quelle della Via Crucis del nostro passato, porge una pietanza per la cui cottura, mi si passi la metafora, sono stati utilizzati ingredienti di prima qualità, pur'anche biologici, ma aggregati con precipitosa smania.
Brava è: nel dettaglio quasi etimologico del tempo che fu, come se alla stesura del libro avesse partecipato tutto il Sacro cuore del Gesù della consanguinità (e in effetti nelle pagine finali ringrazia tutti quelli che hanno risposto alle mie domande, quando ho cercato di ricostruire storie, tradizioni e modi di dire) e nel tenere le redini della storia. Ma le vicende di questa famiglia numerosa e travagliata ("arricchita" poi da acquisizioni parentali lungo il corso degli anni) che attraversano più di un secolo, in una Basilicata petrosa e spesso arida, alla fine mostrano il fiato.
Non si discute l'abilità, nemmeno l'impalcatura della struttura, per quanto il lettore fatichi a seguir nomi e discendenze, seppur aiutato da una "piantina" genealogica, ad inizio romanzo, ad uso e consumo dei più smemorati: ci si chiede invece a che pro, dove si vuol parare, cos'è questo improvviso rimestar di vecchie fronde che ormai avrebbe un senso solo dal punto di vista sociologico e come compendio di patrimonio di tradizioni popolari?
La Venezia probabilmente ama la Morante e di lei s'è nutrita, ma purtroppo, un po' gli anni, un po' differenti e per certi versi ovvie qualità narrative, quel che scrive non sempre c'azzecca .Se proprio dovessi tentare un confronto, citerei la Simonetta Agnello Hornby, l'autrice di due orrendi romanzi editi dalla Feltrinelli, ma così facendo avvilirei la genuina capacità espositiva della scrittrice materana.
Lo diciamo di nuovo, la Venezia è brava e convince pure, non convince quest'abito che s'è cucito addosso per l'occasione (ignoriamo la prima raccolta di racconti Altri miracoli che pubblicò qualche anno fa per Theoria, credo ormai fuori catalogo, giusto per tentare un accostamento); e non convince quest'aura popolana narrativamente poco adatta ad un mondo rutilante e poco nostalgico e irrispettoso della memoria.
Ma forse siamo noi a lamentarci dei livellamenti e poi a scansare quei pochi singulti di diversità.
di Alfredo Ronci
Cioè tra due audaci modi di scrivere: il primo con assoluto spregio delle regole e delle sintassi (anche perché cosa si può pretendere da un semianalfabeta), il secondo con improvvise vette neologistiche e rimandi dialettali.
La Venezia, meno coraggiosa (in questo contesto, perché poi nessuno chiede agli scrittori di essere originali o coté a tutti i costi), ma abile nell'intrecciare la storia con "stazioni" storiche come fossero quelle della Via Crucis del nostro passato, porge una pietanza per la cui cottura, mi si passi la metafora, sono stati utilizzati ingredienti di prima qualità, pur'anche biologici, ma aggregati con precipitosa smania.
Brava è: nel dettaglio quasi etimologico del tempo che fu, come se alla stesura del libro avesse partecipato tutto il Sacro cuore del Gesù della consanguinità (e in effetti nelle pagine finali ringrazia tutti quelli che hanno risposto alle mie domande, quando ho cercato di ricostruire storie, tradizioni e modi di dire) e nel tenere le redini della storia. Ma le vicende di questa famiglia numerosa e travagliata ("arricchita" poi da acquisizioni parentali lungo il corso degli anni) che attraversano più di un secolo, in una Basilicata petrosa e spesso arida, alla fine mostrano il fiato.
Non si discute l'abilità, nemmeno l'impalcatura della struttura, per quanto il lettore fatichi a seguir nomi e discendenze, seppur aiutato da una "piantina" genealogica, ad inizio romanzo, ad uso e consumo dei più smemorati: ci si chiede invece a che pro, dove si vuol parare, cos'è questo improvviso rimestar di vecchie fronde che ormai avrebbe un senso solo dal punto di vista sociologico e come compendio di patrimonio di tradizioni popolari?
La Venezia probabilmente ama la Morante e di lei s'è nutrita, ma purtroppo, un po' gli anni, un po' differenti e per certi versi ovvie qualità narrative, quel che scrive non sempre c'azzecca .Se proprio dovessi tentare un confronto, citerei la Simonetta Agnello Hornby, l'autrice di due orrendi romanzi editi dalla Feltrinelli, ma così facendo avvilirei la genuina capacità espositiva della scrittrice materana.
Lo diciamo di nuovo, la Venezia è brava e convince pure, non convince quest'abito che s'è cucito addosso per l'occasione (ignoriamo la prima raccolta di racconti Altri miracoli che pubblicò qualche anno fa per Theoria, credo ormai fuori catalogo, giusto per tentare un accostamento); e non convince quest'aura popolana narrativamente poco adatta ad un mondo rutilante e poco nostalgico e irrispettoso della memoria.
Ma forse siamo noi a lamentarci dei livellamenti e poi a scansare quei pochi singulti di diversità.
di Alfredo Ronci
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