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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Giovanni Mauro

Nowhere Man

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Avanzavo a fatica fra le bancarelle della piazza sferzata dal vento gelido di dicembre. Ogni due metri qualche bruscolo di neve mi pizzicava la fronte e gli occhi mentre cercavo inutilmente di ripararmi con il bavero del cappotto ben stretto. Alcuni manichini drappeggiati in abiti vittoriani oscillavano leggiadri nell'aria inquieta, altri in giacca e alamari esibivano un contegno formale e parevano quasi disprezzare i compagni più vanitosi. In un angolo stavano accatastate alcune insegne di legno colorato, ultime vestigia di pub chiusi da chissà quanto.

La fiera del Broccante, edizione natalizia, offriva più di un'attrazione a chi osava sfidare l'inclemenza di una stagione particolamente rigida. A consolare i pochi infreddoliti rimasti a spendere l'ultima luce della domenica un invitante profumo di caramello si diffondeva fra le anticaglie: l'omino dai baffoni austro-ungarici aveva piazzato strategicamente il carretto bianco e rosso proprio vicino all'ingresso dell'esibizione.

Ero diretto al piccolo parco giochi adiacente alla piazza. Lì avrei ricevuto in consegna i bambini assieme al settimanale pacchetto di comunicazioni (scuola, corsi pomeridiani, eccetera) previsto dal bizantino rituale giudiziario cui dovevamo attenerci dopo l'affido congiunto. Che brutta parola, manco fossero cuccioli presi in un negozio... Misi da parte i pensieri tetri.

Ero stato alla fiera altre volte ma non avevo mai notato quel folcloristico ambulante un po' in disparte: la sua bancarella era parcheggiata in fondo alla piazza, sotto al vecchio lampione liberty che di lì a poco si sarebbe illuminato. Traboccava di cd usati e vinili, quasi tutti (ma che curioso) registrazioni rare e bootlegs. Interessato, visto che raccogliere dischi rari è la passsione della mia vita, decisi di fermarmi e dare un'occhiata. Fui subito catturato da un lp senza etichetta: la copertina ancora sgargiante, di quelle in carta sottile col buco in mezzo, portava una nota scritta in caratteri aristocratici con inchiostro stilografico verde: indicava il disco come un acetato delle prove dei Beatles per l'Ed Sullivan Show, la prima mitica apparizione del gruppo davanti a un pubblico statunitense nel lontano 1964. La nota era siglata con un monosillabo elegante:

GM



Tutti gli addetti ai lavori avrebbero riconosciuto subito la sigla con cui George Martin, il mitico produttore dei Beatles siglava le registrazioni che uscivano dalle sue mani. Rimasi allibito: il raro pezzo, se originale, non doveva essere lì ma in un qualche museo, e naturalmente mancava alla mia collezione, anzi neppure sapevo che esistesse un backstage di quel famoso spettacolo. Incredulo, ne chiesi il prezzo al venditore e solo allora rivolsi lo sguardo verso il suo viso rugoso.

Infagottato in una blusa da taglialegna a quadrettoni rossi e neri il vecchio portava i capelli candidi lunghi e divisi a metà come un capo indiano in un film di John Waine. In mezzo alla gloriosa barba stile Santa Claus sbucava un bel nasone rubizzo in tinta con la blusa. Nessun cappello, il vecchio sembrava ignorare il gelo che mi intirizziva. I suoi occhi trasparenti come cristalli di ghiaccio brillarono quando si avvicinò con fare da cospiratore.

- Siamo degli intenditori, eh? E' originale, ha visto la nota di George Martin? Vuole ascoltarlo? Non credo ce ne sia un'altra copia in giro. Sì, è un acetato registrato al volo durante le prove per l'ESS. Forse fu trasferito per qualcuno di loro, sa? John spesso si portava a casa il lavoro per riascoltarlo. Credo ci sia una foto sua in giro col disco sottobraccio. Sa che c'è almeno una foto per ogni giorno di vita di ogni Beatle? Alla faccia della privacy! Mi è capitato di trovare questo da un collega rigattiere, su a Londra, ogni tanto ci vado quando passo a trovare mio figlio. Abita lì, beato lui. Allora le interessa? Aspettava lei, si vede. E' un pezzo unico, ma questo lo sa già, vero? Glielo metto ad un prezzo speciale...

Trattenni il fiato aspettandomi una sparata astronomica. Lo disse. Più che onesto.

- Va bene.- replicai subito, mettendo mano al portafoglio. Si stava facendo scuro, non volevo far tardi all'appuntamento e magari innescare l'ennesima discussione.

Il vecchio non aveva fretta di concludere, invece. Mi disse di aspettare, il tempo di finire con due clienti.

Guardai l'ora, combattuto. Con un sospiro e temendo di perdere l'affare mi accinsi ad attendere non più di cinque minuti mentre si concludeva la trattativa. Dopo quattro minuti e mezzo che mi erano parsi eterni, il venditore finalmente si riavvicinò.

- Mah! Questi giovani non vogliono capire che un vinile vale molto più di un cd...

Scosse la testa e presa una sedia mi si accomodò vicino.

Capito. Il vecchio non si accontentava di vendere. Voleva fare due chiacchiere, conscermi meglio prima di decidere se meritavo o no l'acquisto. Presi il cellulare, digitai rapidamente un sms. Potevo prendermi al massimo altri dieci minuti.

- Così conosci i Beatles? Sembri giovane.

Sorrisi notando che era passato al tu, segno di una complicità che escludeva i due incompetenti appena andati via con i loro cd dozzinali. Ne fui compiaciuto. Annuii alla prima affermazione, di sicuro era parecchio che non mi sentivo chiamare 'giovane'.

- Naturalmente saprai chi era Brian Epstein...

- Naturalmente.

- Non mi sbagliavo su di te, bravo. Quando arrivarono negli Stati Uniti prima dell'Ed Sullivan Show i Beatles non erano nessuno. Io stavo a Frisco all'epoca, dalle party di Ashbury Park, non so se il nome ti dice qualcosa. Puoi credermi, i Beatles erano solo una curiosità europea, un'altra stranezza di quella vecchia Inghilterra. Come la Regina, la guida a sinistra e così via c'erano i quattro 'capelloni' inglesi, capisci cosa intendo? Detto questo, i tipi erano agguerriti e avevano un manager coi controcosi. Ebreo e gay, ma loro se ne fregavano, deciso com'era a far raggiungere al suo gruppo la cima più alta fra le cime più alte. The toppermost of the poppermost, dicevano. Mr Brian Epstein aveva chiesto alla Capitol (corrispettiva e referente della EMI negli US) di stampare un numero extra di copie del loro ultimo disco, nel caso avessero bucato il mercato statunitense. Lui credeva ciecamente nei 'ragazzi' e aveva messo sul piatto tutta la sua reputazione di manager inglese rampante. Eppure il reponsabile della etichetta americana aveva negato l'autorizzazione. Non sarebbero durati una stagione, forse due, disse. Ma Brian era testardo, e soprattutto aveva a cuore (per motivi non tutti edificanti, è vero) il suo gruppo. Decise allora di interpellare la VeeJay, una piccola etichetta di musica nera molto importante prima che arrivasse la Motown. La VeeJay accettò di stampare un certo numero di copie dell'oscuro gruppo inglese. I Beatles dal canto loro amavano davvero i pezzi black e sin dall'inizio ne avevano tenuto in repertorio un certo numero, con tanto di coretti stile Supremes che imitavano in falsetto nei concerti e sui primi dischi, a sentirli adesso fanno un po' ridere. Così andò comunque e la scelta sembrò in qualche modo naturale da ambedue le parti.

- Saprai già come andò a finire: quando l'America scoprì i Beatles all'Ed Sullivan Show, lo spettacolo musicale più seguito a quel tempo, fu come se in ogni casa una specie di fluido mesmerico emanasse dagli schermi in bianco e nero. Da lì la magia diffuse in tutto il paese. I crimini quella sera (Sunday February 9, 1964, 8 p.m., ndR) diminuirono sin quasi a zero e il giorno dopo orde di ragazzi si precipitarono nei negozi di dischi pieni di copie stampate con perfetto tempismo dalla VeeJay. Brian aveva vinto la sfida.

La Capitol più tardi, masticando amaro, aveva dovuto ricomprare (a caro prezzo!) i diritti di stampa e distribuzione dei suoi cavalli vincenti, per limitare il danno.

Il vecchio si interruppe per tirare un sorso dalla fiaschetta metallica che teneva nella blusa. Ecco spiegato il naso rosso. Le gote più colorite, il fiato corto, lo sguardo che tradiva un antico entusiasmo mai sopit, l'indomito fan era felice come un bambino di aver trovato qualcuno con cui condividere la sua bella storia, la sua passione. Non conoscevo l'episodio, davvero una chicca squisita, eppure credevo di aver letto tutto sul gruppo. Incuranti del freddo che stava davvero diventando intenso chiacchierammo infervorati ancora un po', venendoci sulla voce come vecchi amici che non si rivedono da tempo con quella urgenza che non tiene conto di clima, censo o precedenti impegni. Sulla stessa lunghezza d'onda emotiva ci scambiammo infatti molti altri aneddoti sul gruppo.

Non so quanto ero rimasto lì, ma ad un tratto l'incanto si ruppe quando sentii tirare insistentemente la manica del cappotto: chinai lo sguardo e vidi un berrettone di lana rossa, dritto come un cono gelato, che arrivava a malapena alle mie tasche. Sotto il berrettone da puffo stava il musetto accigliato di mia figlia che faceva nuvolette di fiato per la corsa e teneva un broncio adorabile. Con molte faccette e sorrisini, ammiccava: "La mamma mi ha mandato a sgridarti, mi tocca fare la parte, ma tu non crederci più di tanto!".

- Papà, allora ti dai una mossa? Si andava a mangiare la pizza tutti insieme stasera, ricordi? Ti prego! La mamma parte per la montagna domani con Stefano, non possiamo fare tardi.

Poi, da brava bambina, si rivolse compita al mio interlocutore allungando la manina nel guanto rosa delle Winx.

- Piacere, sono Rita. La graziosa Rita, come mi chiama il papà.

Il vecchio ed io ce la ridemmo: Lovely Rita, che altro?

Rita sussurrò: - Papà, ma sai che il tuo amico è uguale uguale ad Albus, il professore di Harry Potter?

Albus si presentò: in realtà si chiamava Nick.

Ci accingemmo ad andare e il vecchio mi stupì un'ultima volta:

- Tieni il disco, te lo regalo, te lo sei meritato. Ho parecchie altre storie come questa, ma solo per chi è davvero appassionato, come te. Magari un giorno ci rivedremo, tra noi ci si ritrova sempre, sai? Adesso va' e passa un buon Natale con i tuoi.

Poi Nick salutò anche la bambina:

- A proposito, non preoccuparti, Rita. Sono sicuro che andrà tutto bene. It's gonna be all right, ricordati! Buon Natale, piccola! Anche a Francesco. E alla mamma!



Fu l'ultima volta che lo vidi e così lo ricordo: sotto la luce giallastra del lampione, la mano alzata a salutarci in un caldo sorriso che diventava sempre più confuso come il profumo di caramello, con la neve che oramai cadeva fitta. Rita allungò la manina e ci inoltrammo nella piazza, defintivamente deserta.

- Papà, come faceva Nick a sapere il nome di mio fratello, glielo avevi detto tu, no?

Non seppi proprio cosa rispondere, non avevo parlato col vecchio della famiglia.

Per la cronaca non lo incontrai più. Andai più volte a cercarlo nei mesi successivi ma nessuno, nemmeno fra i venditori, si ricordava quel pittoresco ambulante. Però l' acetato è sempre lì, al posto d'onore fra le mie registrazioni e Rita ancora adesso che è grande ogni tanto per Natale ricorda quell'altra vigilia quando, giura, abbiamo incontrato alla fiera del Broccante Albus Silente o Santa Claus, non sa bene.

Non ci ho mai pensato. Nick? Nicola? Nicholas? Nicolaus? Claus?

Mah, quando ci sono di mezzo i Beatles è tutto possibile.

Rita, per esempio giura che quando si era voltata per salutare lo aveva visto chiudere la bancarella poi salirci sopra e volare in cielo, come su una slitta, ma si sa come sono fatti i bambini.

Quanto a me, so che prima o poi lo incontrerò di nuovo.

Qui, o là. O in qualche altro posto.





GiovanniMauro

Giovanni Mauro è nato nel 1958. Vive a Mantova dove esercita la professione di medico odontostomatologo. Ha pubblicato vari lavori scientifici sul tema del dolore orofacciale e tiene un corso sullo stesso argomento presso l'Università di Parma.

Ha frequentato corsi di scrittura con la Scuola Holden, Giulio Mozzi e Davide Bregola. Scrive principalmente racconti, alcuni dei quali comparsi su riviste letterarie online. Il suo 'Il Dono' fa parte della antologia Per Natale Non Esco (Transeuropa Libri, 2008).







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