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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Mauro Savino

Obiettivo 15

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Rimbaud era l'unica passione che gli era rimasta. Il resto erano tutte stronzate. Ma a un certo punto le passioni perdono sangue, così dovette trovare qualcosa che gli ingrossasse di nuovo le vene e gli facesse stringere le chiappe.

La soluzione si chiamava Obiettivo 15.

Il numero 15 di per sé non significava niente. Aveva un senso solo una volta scomposto. Il numero 1 stava per un anno. Il numero 5 stava per cinque giorni.

Un anno era il tempo che si era dato per prepararsi.

Niente più televisione, niente musica, niente locali, niente sigarette, niente alcol, niente donne, niente amici, niente di niente.

Sole due cose: un albero e un paio di fasce per le mani.

C'era questo lungo viale che terminava in uno spiazzo piuttosto ampio e quasi del tutto nascosto da grosse querce. La mattina ci correvano, sul viale, la sera qualche coppietta ci si faceva le sue sveltine, ma non era un posto granché frequentato e a tarda ora tutt'al più ci passavano negri e puttane. Si diceva che ci facessero qualche messa nera. Tanto meglio. C'era più gusto.

"Non credo proprio che Satana verrà a salvarvi il culo se vi ci pianto dentro una bella coltellata! Provateci figli di puttana! Provateci a venire nel mio fottuto spiazzo! "

Le fasce gli servivano perché a tirar pugni a un albero ci si fracassa le mani ma con due fasce ci vuole più tempo.

Ci sarebbe andato di notte.

"E' una roba che si deve fare di notte. E basta. A cominciare dalla notte di capodanno."

E la notte di capodanno arrivò.

"Io so cosa voglio fare e come farlo. Quanti di voi stronzi possono dire altrettanto? Siete solo barcaioli alla deriva su zattere da macellai. Ecco cosa. Coglioni..."

Nello spiazzo illuminato dalla luna echeggiava l'eco della boria di capodanno.

L'oscurità segava qua e là gli alberi ed era come se la corteccia nodosa e ruvida delle querce sfidasse sinistramente chiunque avesse il coraggio di affrontare una specie di presagio. Come che fosse, ora c'era solo da arrotolarsi le fasce intorno alle mani e ai polsi e darsi da fare.

Così cominciò a portare i primi colpi al tronco dell'albero e improvvisamente gli sembrò che tutta la sua determinazione fosse sparita: faceva un male cane, la quercia. Si odiò per i pochi colpi timidi e impacciati che riuscì a portare e provava un profondo rancore verso se stesso per le pause forzate che il dolore gli imponeva.

Si accovacciò su se stesso e si sentì finito.

"Che c'è idiota, ti fanno male le mani? Non hai forse sentito dolore per ogni secondo della tua vita? E ora ti fanno male le mani? Va al diavolo! Torna alla merdosa vita che ti meriti!"

Sentì che se se ne fosse andato in quel momento, in quel preciso momento, non sarebbe mai più tornato. Era una questione di sopravvivenza. "A casa mi aspetta la canna di una pistola. Non ci torno neanche morto!"

Così rimase lì mentre il cielo accoglieva noncurante i fuochi d'artificio e la gente si fregava le mani davanti allo spumante, con la faccia protesa verso l'albero. I denti serrati. E i pugni che si schiantavano contro il tronco dell'albero.

Si sentì le mani come se gli si frantumassero colpo dopo colpo, grido dopo grido, la carne che si apriva senza che le ferite avessero il tempo di prender forma e il sangue che gli scorreva lungo le dita.

Alla fine si buttò a terra sfinito contorcendosi per il dolore e quasi svenne.

Le nove, le nove e un quarto, le nove e mezza, le dieci...

Scarpe giubbetto fasce chiavi di casa chiavi della macchina porta macchina motore fari asfalto viale.

"Non l'avete ancora capito che v'è toccato di morire sognando di vivere? Io non sogno un bel niente. E quindi morirò quando morirò e non me ne frega un cazzo."

Eccetera.

La notte non riusciva a chiudere occhio così si procurò un registratore e cominciò a dire tutto quello che gli passava per la testa.

Si, si...uno poggia la testa sul cuscino morbido, pensa a qualcosa che gli è successo, magari si stringe il cazzo in una mano immaginando una gran figa, getta uno sguardo alla sveglia e si addormenta...

Sei forte? Per far fuori una sequoia basta un fiammifero...

Se colpisco il legno come uno che penzolerà da una corda un attimo dopo...è un fatto...

L'albero se ne sta lì e aspetta...e non si lamenta se si scortica... Impara ad essere scorticato... o non imparerai nulla...

La notte ha il suo corteo protostorico di erba e alberi e se ne sta lì a girarti intorno...

Devi prendere la tua vita – la tua vita in blocco voglio dire – e devi bussare alla porta dell' Inceneritore...

Non aspetto la notte aspetto me stesso...un nulla assoluto pronto a riempirsi di cristallo e locomotive...


Le stagioni che passavano erano solo una variazione sul tema: la neve voleva solo dire scarpe più pesanti.

Una sera pioveva forte. Le gocce di pioggia schizzavano epilettiche sull'orlo del cappuccio e le fasce si lacerarono prima, contese tra la corteccia dell'albero e l'acqua e tirar pugni diventò un supplizio.

Poi pensò che ogni giorno muore un sacco di gente e non gliene frega in fondo niente a nessuno perché la vita è quella di un altro: bastava fare finta che a fracassarsi fossero le mani di un altro.

"Schiacciare l'acceleratore a manetta su un rettilineo senza sapere se la strada ad un certo punto si interrompe o no... Uno non si alza una mattina e decide di f-a-r-l-o. Uno si alza una mattina e lo f-a!"

Primavera...estate...

Dopo alcuni mesi le mani diventarono quasi insensibili al dolore come lui al resto.

C'erano questi sballati che urlavano senza motivo dai finestrini delle macchine; c'era gente a maniche corte; fuori/dentro i locali pelle più scura; toni di voce più alti; macchine più veloci cervelli più veloci vite più veloci...

E giù pugni come grandine.

Arrivò il momento che sentì i suoi pugni sbattere contro l'albero come un rintocco, uno dopo l'altro, un pistone senza nocche notte dopo notte.

Autunno. Era autunno? La notte era fresca. Una frontiera varcata da uno sguardo fisso.

Buon Natale e felice anno nuovo!

Eccetera.

Un anno.

Un locale. Uno a caso.

"Una birra."

Si sedette all'angolo del locale mani nei guanti di pelle nera.

Arrivarono due tizi e si sedettero vicino a lui ordinando da bere. Si girò a fissarli.

Dopo un paio d'ore i due uscirono. Li seguì senza farsi notare.

"Impara a soffrire e saprai gestire il dolore altrui."

Un attimo dopo uno dei due sanguinava barcollando vicino alla macchina con le mani sulla faccia. Il tizio gli ringhiò addosso quello che tutti ringhierebbero addosso a chi gli ha appena rotto il naso. L'altro si era dileguato.

Così non ebbe noie mentre si dedicava con accanimento a spaccare la faccia a quello che era rimasto.

"Un tempo, disse alla fine, se ben ricordo, la mia vita era un festino in cui tutti i cuori s'aprivano, in cui tutti i vini scorrevano. Una sera, ho preso sulle ginocchia la Bellezza. E l'ho trovata amara. E l'ho ingiuriata."

Poi se ne andò.

Era per strada.

C'era un pappone che massacrava una puttana. Della puttana non gliene fregava niente. Ma con pezzi di merda come quello c'era più gusto. E poi, occhi che hanno visto solo porcherie a che servono?

Sempre li. Sempre sugli occhi. Fino allo sfinimento.

"Mi sono armato contro la giustizia. Sono fuggito. O streghe, o miseria, o odio è a voi che è stato affidato il mio tesoro. Riuscii a far svanire dal mio spirito ogni umana speranza. Su ogni gioia, per strozzarla, ho fatto il balzo sordo della bestia feroce."

Poi se ne andò.

In un parco c'erano dei ragazzi che parlavano...

"Dei miei antenati Galli ho gli occhi di uno scialbo azzurro, il cervello stretto, e la goffaggine nella lotta. Di loro, ho: l'idolatria e l'amore per il sacrilegio, oh! Tutti i vizi, ira, lussuria, magnifica la lussuria, soprattutto menzogna e infingardaggine."

Poi se ne andò.

Era sulla strada vicino al viale. Si distese a terra e aspettò che qualcuno si fermasse.

"Signore si sente bene?"

...Poi uscì dalla macchina un bambino.

Lo prese a schiaffi e lo alzò da terra mentre gli colava il sangue dalla bocca e dal naso e piangeva incapace di muoversi per quanto era terrorizzato.

"Ora ascoltami piccolo figlio di puttana. Tu non varrai un cazzo esattamente come tuo padre. Quindi questo sarà l'unico momento importante della tua vita: 'Andiamo! La marcia, il fardello, il deserto, la noia e la rabbia.'"

Poi lo lasciò cadere a peso morto e senza guardarlo se ne andò.

Mentre era in macchina si lanciò contro un'auto che veniva dall'altra parte. Finì con la testa contro il parabrezza ma riuscì a scendere dalla macchina per andare verso quella dell'altro per terminare l'opera.

"Fin dalla prima infanzia, ammiravo il forzato intrattabile su cui si richiude sempre l'ergastolo, vedevo colla sua idea il cielo azzurro e il fiorito lavoro dei campi, nelle città fiutavo il suo destino."

Rimise in moto e se ne tornò a casa.

Si si...uno poggia la testa sul cuscino morbido...magari pensa a qualcosa che gli è successo, magari si stringe il cazzo in una mano immaginando una gran figa, getta uno sguardo alla sveglia e si addormenta.

Uno va a letto...si mette le mani sotto la nuca...e resta sveglio a fissare il soffitto...






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