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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Giovanni Sebastiano Del Rio

Quel vecchietto che faceva

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Quel vecchietto che faceva col tamburo rataplàn era stato impiegato delle poste, e apposta aveva impiegato due anni a tappezzare la camera da letto con le pubblicità tagliate dalle riviste o dai pieghevoli: famiglie felici, bimbi di varia fattura che ci aveva asportato l'inguine inteso come frazione incriminante, non si sa mai, esotici panorami incontaminati del bagnoschiuma, case di sogno e altri beni immobili e paralitici. E poi le raffaelle i fiorelli i carli i pupi le albe le eusanie le milli gli emili i silvi i romani le ambre le giade le marie le tre marie le dandi le ilari i fabi i massimi i maurizi gli enrichi i toti le tate i pippi le pippe i mìche i mica tanto i pure troppi i bbaci bbaci bbaci.

Quel vecchietto che faceva col tamburo rataplàn aveva scoperto che la macchina sta nella testa: fuori ci stanno le cose, le case, i platani, i paltò, i medici, i pulòtti forse dell'ordine, i giudici danti alighieri, i giurati con le palle bianconere, i parchi pùbici con le fontanelle che non dànno acqua e i porchi in agguato internazionale, le contesse e i conti, i bagagli che non c'è rispetto dei vecchi e lui alla loro età sì, le commesse che sei deficiente perché appena appena non ci senti, i negri zumbòni che ti prendono per un braccio per venderti i pedalini, gli zingarelli che vanno l'estate nudi e crudi con la frazione incriminante integra e in mostra, non si può tagliargliela "e perché no?" dicono lì fuori, i quartieri nuovi di pacca abitati da quelli che "non si può tagliargliela perché no?", le donne tristi che però ridono forte se quello alla fermata racconta la barzelletta sconcia, quelli alle fermate che "è mezz'ora che non passa" - mai un quarto o un'ora, sempre mezz'ora - e se la prendono con l'autista socialmente utile "siete vecchi che andate in giro a fare io vi taglierei dalla circolazione" teste di frazioni incriminanti (maschili) "che non siete altro", i preti di strada in tv, le monache capesàle all'ospedale, i volontari col cartellino "lei ha qualcosa contro i diversamente abili? Sì li vorrei scannare tutti" la musica d'adesso che non ci si capisce niente "è tutto uno iè-iè". Tutto questo si prega rigorosamente che stia fuori. La macchina invece, la macchina che fa andare tutto questo, come il motore del frullino, è dentro. Questa era la sua scoperta. E sullo schermo nero la scritta arancio è ora possibile spegnere la macchina ma non è vero oh non è vero non è mai possibile spengere la macchina.

Quel vecchietto che faceva col tamburo rataplàn lo faceva anche perché il medico aveva detto che lui aveva una roba di malattia che non gli faceva ricordare ma lui ricordava bene "allora mi dica che cosa ha mangiato a pranzo" maledetto eppure lui a pranzo mangiava sempre quelle quattro cose pasta scotta in bianco il bollito coi nervi il brodo la passata di verdura la platessa in bianco la purea con le polpette comprate al fasfù che però non le facevano sempre, ma quando c'erano i lavori e gli operai albanesi "terùn perché non restano a casa loro che vengono a fare i padroni a casa nostra" venivano in pausa pranzo, si raccontavano a voce alta le cose in terùn seduti ai tavolini condonati sul marciapiede, e ridevano anche i due con la faccia da ragazzini saranno i cosi gli apprendisti. Lui allora allungava il passo per tornarsene a casa, poi a casa non si ricordava perché tanta fretta.

Quel vecchietto che faceva col tamburo rataplàn queste cose e altre ancora - pure che quando era piccolo c'era la guerra, e adesso accendi il telegiornale e c'è la guerra - le aveva dette al pinèl che gli era seduto vicino con il robo, la tavola con le ruote sotto, in mano, e "c'hai 'na siga?" Era a torso nudo unto sudato e coi calzoni celesti calati che si vede l'ombilico e il bordo delle mutande, c'aveva anche la lampo aperta e le scarpe da ginnastica senza lacci, e lui pensava che forse quello la frazione incriminante non se la sarebbe fatta tagliare. Difatti gli aveva detto "ô che mi guardi il cazzo?", ma l'aveva detto come "mi passi il sale" e piano che non lo sentivano gli amici suoi "sennò capace che ti menano". Invece lui gli aveva menato uno schiaffo che non dava schiaffi dall'ottantatré e aveva avuto subito paura nelle ossa, e sentiva il sudore sul palmo della mano che gli faceva un po' schifo. Ma il ragazzino aveva scosso la testa coi capelli taglio militare fatto una mezza risata schivando poi "ô la sigaretta?" Lui gli aveva spiegato che non fumava, quell'altro allora "dammi la pìlla per un pacchetto", e lui gliel'aveva dati i soldi. Era andato dal tabacchino, era tornato, s'era rimesso a sedere "tienimele tu che c'ho le tasche strette" dopo che ne aveva accesa una "vuoi 'n tiro?" Lui aveva segnato di no. "Lo so il fumo fa male ma c'ho il vizio" aveva detto, fumando, e allora lui gli aveva raccontato tutto tranne il fatto che suonava il tamburo rataplàn, e quello finita la sigaretta "be' ciao". E forte agli altri "ô raga la birra porcoddio ve l'avete finita 'sti stronsi" e quelli "bava!" perché l'avevano visto col vecchio.

Quel vecchietto che faceva col tamburo rataplàn sul tv davanti al letto vedeva i documentari delle tribù stracomunitarie della foresta del tropico. Nella foresta del tropico la macchina non c'è e se c'è non funziona perché non c'è gasolio ma soprattutto non ci sono le onde difatti i telefonini non prendono, e la macchina non può funzionare non c'è la ricarica né le strade le case le cose, ma le piante che a confronto i platani sono cespi di cicoria, non ci sono i muri e ci sono i neri col tam-tam tamburo e ballano non ci sono i carabineri e certe volte, ma solo certe volte





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