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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Filippo Tuena

Stranieri alla terra

Nutrimenti, Pag. 352 Euro 18,50
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Bix Beiderbecke, trombettista jazz morto senza essere arrivato ai trent'anni, ucciso dall'alcool - benché le cronache ufficiali abbiano preferito tirare in causa una polmonite - è dei racconti compresi nella prima delle due parti che compongono l'ultimo libro di Filippo Tuena – ultimo, avrebbe confidato a qualcuno, in senso definitivo: la più cospicua, la più interessante, fors'anche la più riuscita.

Stranieri alla terra si divide a metà fra la ricostruzione fictionelle ma con giudizio di alcune biografie illustri o anonime o famigerate, prese però in un frangente particolare, terminale – e il memoir, nel quale l'autore si mette in scena e ci mette a parte degli umori di uno scrittore-motociclista molto preso, fra le altre cose, dalla riflessione sullo scrivere e da Michelangelo (del quale per tutta la vita ha tentato di comprendere i segreti).

In tal modo Tuena scrive un libro inclassificabile, confermando la sua inclinazione a organizzare testi non necessariamente romanzeschi, ma lontanissimi da qualsiasi didascalismo documentario. Piuttosto cerca nello stile – lo dice lo stesso narratore in principio della seconda parte, quella autobiografica – il "senso" stesso dello scrivere. Sì che poi l'opera, nella sua asimmetria di dittico imperfetto (due terzi la prima parte, un terzo quella autobiografica), meglio s'intenderebbe qualora l'ultima apparisse quale appendice: non estranea all'opera ma quasi indicazione di metodo. Un'arte che spalanchi al lettore una qualche meraviglia delle (per le) cose, comprese quelle "storte, gli errori di valutazione, le incomprensioni", difatti è la medesima che spinge il narratore ad andare a ritroso con la memoria, o a zonzo con la sua moto per strade percorse nel passato. Adeguando a ognuno la giusta misura, i suoi personaggi non solo partecipano della stessa mancata condivisione a un ordine del mondo (l'estraneità di cui nel titolo) ma ne hanno conosciuto il significato tragico.

Beiderbecke, per esempio. Gli anni incriminati sono quelli del proibizionismo, ossia quelli in cui bere, per chiunque avesse un minimo di personalità, era un obbligo sociale, più o meno quanto scopare come ossessi in un regime di bacchettoni. Forse per lui sarebbe stato lo stesso, ma chi può dirlo. "È impressionante il suo tracollo fisico – scrive il narratore. - In un anno appena si è trasformato in un eterno convalescente, minato dall'atroce memoria del delirium tremens che lo terrorizza e che cerca di fuggire non facendosi mai mancare il gin". La storia finale di questa vita difficile come ogni vita di musicista jazz che si rispetti prende dalla cronaca e dalla controllata immaginazione dell'autore (un racconto che "opera sulla probabilità"). Inventare tenendo sotto controllo la materia, cercando di farla propria, ipotizzando e mettendo a verifica eventuali convergenze con le proprie peculiarità di scrittore - si direbbe questa una disposizione connaturata alla scrittura di Tuena. Ecco, a modesto avviso di chi scrive non tutto gira con la stessa fluidità e capacità suasoria. Il primo pezzo, un esercizio mimetico sul fantasma di Hemingway, colto in un colloquio con una donna, risente di una certa oltranza manieristica nella quale il narratore replica i modi secchi e minimali dell'autore americano, deviando il dialogo però verso un tono sottilmente evocativo, allusivo, che ha qualcosa di Borges. E la sintesi fra un mood e l'altro non appare facilissima (a conferma ennesima che il tono è più importante dello stile).

Passando dal tormentato pittore Géricault (e un suo figlio infelice), al generale sudista 'Stonewall' Jackson, morto in battaglia per l'errore di un amico, Tuena arriva fino a Beiderbecke - e lì mi pare acclimatarsi in un paesaggio e in una tonalità più empatica delle precedenti. Sembra difatti più a suo agio con un andamento, un ritmo, un periodare più aperti, fatto di frasi a volte lunghissime, anche di un'intera pagina, che per analogia "suonano" come quelle musicali del jazzista, frasi nella cui sospensione – complici gli spazi lasciati fra gli a capo – sembrano galleggiare i frammenti di un poema in prosa. Frammenti sospesi in una nebulosa allucinata sono anche gli ultimi giorni del trombettista, perduto fra gli alberghi e le strade di Manhattan, delirante e febbrile, purtroppo per lui così "caro agli dei" da sparire presto del tutto.



di Michele Lupo


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