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RECENSIONI

Giovanni Verga

Sulle lagune

Avagliano editore, Pag. 160 Euro 12,00
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Terzo romanzo di Giovanni Verga, apparso in ventidue puntate tra 1862 e 1863, a un solo anno di distanza da I carbonari della montagna, come appendice al periodico fiorentino "La Nuova Europa", diretto da Alberto Mario, Sulle lagune è un buon esempio di romanzo d'apprendistato; decisamente eccessivo nel sentimentalismo e non di rado vittima della maniera, risulta opera di scarsa inventiva e buon patriottismo, innervata da almeno discrete capacità descrittive e da qualche velleitaria incursione nel genere del romanzo epistolare.

Torna a disposizione dei lettori e degli studiosi italiani, in edizione Avagliano, curata da Riccardo Reim, a distanza di 36 anni dalla prima pubblicazione in volume (a cura di G. Niccolai per Stem Mucchi, Modena, 1973, seguita da Mondadori, Milano 1988 e altre, minori).

I modelli del ventiduenne Verga, spiega – magistrale – il curatore, sono prima di tutto Eugène Sue e Alexandre Dumas (al quale invia, nel 1862, una copia dei Carbonari, accompagnata da una lettera in cui lo chiama 'maestro' (...) ma anche i meno 'sociali' e più 'lacrimosi' Paul Féval e Ponson du Terrail, nonché il romanzo Angelo di bontà' di Ippolito Nievo (anch'esso ambientato a Venezia) e le curiose accensioni – sia patriottiche che sentimentali – di certe conterranee come Giuseppina Turrisi Colonna e Rosina Muzio Salvo, di cui avrà assai bene nell'orecchio in diverse occasioni il romanzo 'Adelina' (...) (p. 12).

Chapeau, Reim.

Siamo a Venezia, nei giorni dell'occupazione asburgica. 1861. L'Unità d'Italia è incompleta; mancano all'appello Venezia, la Giulia, l'Istria, Fiume e la Dalmazia. Soltanto un anno prima, durante i festeggiamenti popolari per l'entrata di Garibaldi in Napoli (7 settembre 1860), la polizia austriaca aveva aggredito i manifestanti italiani, in laguna: aristocratici o popolani che fossero. Uno solo si era opposto agli ordini, infatuato della giovane che avrebbe dovuto offendere. I due saranno i protagonisti di una vicenda strappalacrime, patriottarda e antagonista.

Sono i giorni del Carnevale: giorni di festa macchiati dalla tristezza di tutti i cittadini per l'oppressione absburgica. Un ufficiale e una giovane veneziana si innamorano. L'ufficiale, Stefano, è un magiaro ostile all'Impero, figlio di un ribelle giustiziato ad Arad nel 1849; disertore nel 1858, soldato per i Savoia per un breve lasso di tempo, prigioniero e quindi degradato, era tornato a servire l'uniforme antica; si era, intanto, segretamente unito ai veneti che cospiravano a danno dell'invasore, rischiando un pericoloso doppio gioco. Suo grande amico e compare, uno di loro: che scopriremo, nel tempo, essere il fratello della donna amata.

La ragazza, Giulia, è figlia e sorella di patrioti irredentisti; del fratello ha perso le tracce, del padre sa che è rinchiuso in carcere per questioni politiche. È mantenuta da un aristocratico austriaco, assieme alla madre paralitica; questo conte la sta proteggendo dalle probabili ritorsioni dell'impero, e sta evitando al padre una probabile condanna a morte. Periodicamente, la povera Giulia è fatta oggetto delle sue avance; difende il suo onore come può, ma si direbbe che col passar del tempo stia vacillando. Ma da quando s'accorge dell'ufficiale ungherese, affacciato ai suoi davanzali nella speranza di rivederla, e di scoprirne almeno il nome, gli equilibri mutano; vorrebbe poterlo amare, ma il suo status glielo impedisce.

La situazione si complica e precipita quando il conte, ospite di Giulia, s'accorge dell'innamoramento dei due, incontra Stefano e lo sfida a duello; il giovane ungherese cade, e al suo ritorno in casa il conte ha un'aspra discussione con Giulia, al termine della quale la scaccia di casa, assieme alla mamma. Stefano, fortunatamente, non è stato ferito a morte; Giulia scoprirà la lieta novella e poco dopo, proprio al capezzale del ferito, ritroverà il fratello. Nuove e sciagurate vicende attendono la coppia, prima separata dal forzato esilio di lei, e infine – con ogni probabilità – assassinata mentre cercava un'improbabile e onirica fuga in barca. Verga conclude la narrazione sognando il giorno in cui Venezia sarebbe stata finalmente libera dall'oppressione austriaca, e la storia di questi giovani avrebbe avuto giustizia.

Tecnicamente è difficile considerare Sulle lagune altro che un esercizio di stile, o un mezzo errore di gioventù; un romanzo prodromico di altre e migliori espressioni letterarie. C'è da registrare una discreta capacità di mantenere, nei dialoghi, tempi e ritmi del parlato; assieme, una difficoltà evidente nell'evitare di cadere vittima dell'emotività, nella progressiva narrazione degli eventi, esasperata soprattutto negli ultimi frangenti del romanzo.

Verga, a questo livello della produzione, sembra sicuramente interessato a indagare le dinamiche psichiche dei suoi personaggi, e a tratteggiare la bellezza della città che ospitava le loro avventure; appare decisamente in difficoltà nella tessitura della trama, lasciando qua e là sospensioni, buchi e intervalli che non emozionano e non convincono. L'emozione grande – l'unica – al di là del sorriso di circostanza per i sentimenti patriottici d'antan, è quella d'aver avuto l'opportunità di leggere un suo romanzo davvero difficilmente reperibile, e d'essere incappati nella romantica magia di un duello per questioni d'amore.

Sfizio per i letterati e per gli appassionati della produzione verghiana, per i curiosi, per quanti amano cercare le incarnazioni di Venezia nelle letterature di tutto il mondo; senza dubbio non un capolavoro né un romanzo degno di attraversare il tempo, su questo non ci piove. Pauca paucis.





di Gianfranco Franchi


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