CLASSICI
Alfredo Ronci
Tra D’Annunzio e il caos: “La Velia” di Bruno Cicognani.
Da qualche parte ho letto: … Quello che colpisce Bruno Cicognani è uno strano raffreddore, quasi da allergia, che, come molti malanni allergici, torna puntuale in certe stagioni dell’anno.
Qual era questa allergia che Cicognani si portava dietro? Diciamocelo francamente, lo scrittore è uno di quei casi che perde il nome e il successo posteriori perché c’è stato accanto, o comunque vicinissimo a lui, un pezzo grosso dell’editoria.
Ebbene sì, accanto a lui ci fu Gabriele D’Annunzio. Le prime cose che Cicognani produsse, a cominciare da La crittogama, risentono del legame con il Vate, accanto ad elementi che caratterizzeranno in ogni momento letterario la sua capacità di scrittura: il rapporto con la terra, quasi esclusivamente la Toscana e i dintorni di Firenze. Lo stesso Giorgio Luti, autore di un fondamentale La letteratura nel ventennio fascista, a proposito di studi relativo a Tozzi e a Svevo, riporta un appunto in cui si dice che Cicognani, ma anche Bacchelli… coltivano una conoscenza ed un amore per la terra che va sempre più snebbiandosi.
Dunque da un parte un omaggio continuo e onnicomprensivo dei luoghi che lo hanno visto crescere e maturare (Cicognani nasce e muore a Firenze), dall’altro il persistere su argomenti del genere spesso lo deviano verso altre prospettive.
Nel 1923 arriva il successo con La Velia. Il romanzo è la storia di una ragazza, Velia appunto, di modeste estrazioni di vita che, grazie alla sua feroce determinazione e al suo desiderio, del tutto evidente, di far parte della bella vita, riesce a ereditare mobili ed immobili prima sposando un povero ragazzo alcoolizzato (scherzandoci sopra, di questi tempi potremmo dire che Beppino, il ragazzo appunto, soffre della sindrome di Asperger) poi di un ingegnere che cadrà vittima del suo charme e che in seguito si suiciderà perché capisce di non contare nulla sulla ragazza.
Dice Roberto Minore: La Velia è cattiva, una mangiauomini, un personaggio che fa del negativo la piattaforma di ogni precetto antimaterialistico, che fa della pagina scritta il palcoscenico in cui attuare la sua grande commedia al rovescio. Sola, in mezzo a una massa di derelitti che si lasciano vivere, lei vive e sente, pulsa insieme all’autore che s’infervora e sputa tutto il nero dell’allergia grazie al sottile spirito di perversione che sente affiorare dentro una pagine ribollente e sapida.
Questa donna però non è un vulcano d’intelligenza (anche se ottiene tutto quello che ha sempre desiderato): è un vulcano d’inezia, una sorta di Madame Bovary senza troppo fascino (anche se è sul fascino che lei tenta di scalare il mondo) che però conquista le sorti del mondo (il suo mondo).
La Velia, fin dal primo giorno in cui era stata vista assieme a Beppino, con chiunque avesse parlato – fuor che con le amiche del laboratorio – s’era comportata così da far credere che per Beppino sentiva … non diceva amore perché la gente non ci avrebbe creduto, ma una tenerezza appunto per quel carattere così infelice di cui lui stesso, lei lo sapeva bene, era il primo a soffrire.
Una donna che apparentemente sa mantenere un minimo di cordialità e di umanità ma che crescendo affina le sue armi più fascinose… Ma ora una soavità liscia e la bella fattura di tutto il corpo che aveva la grazia ingenua di certi steli per le allungate curve dissimulanti il gioco delle giunture. E l’odor della carne e i capelli morati e il brillìo degli occhi, l’invito e la snodatezza dei fianchi: creatura di quelle che ben per l’uomo non incontrar mai nella vita. E come vestiva!
Per quanto protagonista assoluta di una storia, la Velia del Cicognani non è certamente l’essenza di una viva maturità. E’ ancora la donna dei suoi tempi, dei tempi descritti per lo più dall’elemento che sembra starne fuori. Creativo ma improvvisamente malinconico, attivo ma repentinamente depresso, fervido e ad un tratto inerme, il Cicognani ci consegna una donna al fine odiata (sarà rinnegata dalla sua stessa madre) e non voluta.
Lei invece, di fronte ad un uomo innamorato, dice… sono stufa, arcistufa di te: la Velia, è inutile, te l’ò già cantato parecchie altre volte, che tu pretenda di metterla e tenerla in gabbia: aria, la Velia, e non gabbia! Sia l’ultima volta: quest’altra, tu vedi cosa faccio. Ricordati bene: non ò bisogno di te.
La decisionalità di una donna non sempre significa la sua altezza.
L’edizione da noi considerata è:
Bruno Cicognani
La Velia
Economica Vallecchi
Qual era questa allergia che Cicognani si portava dietro? Diciamocelo francamente, lo scrittore è uno di quei casi che perde il nome e il successo posteriori perché c’è stato accanto, o comunque vicinissimo a lui, un pezzo grosso dell’editoria.
Ebbene sì, accanto a lui ci fu Gabriele D’Annunzio. Le prime cose che Cicognani produsse, a cominciare da La crittogama, risentono del legame con il Vate, accanto ad elementi che caratterizzeranno in ogni momento letterario la sua capacità di scrittura: il rapporto con la terra, quasi esclusivamente la Toscana e i dintorni di Firenze. Lo stesso Giorgio Luti, autore di un fondamentale La letteratura nel ventennio fascista, a proposito di studi relativo a Tozzi e a Svevo, riporta un appunto in cui si dice che Cicognani, ma anche Bacchelli… coltivano una conoscenza ed un amore per la terra che va sempre più snebbiandosi.
Dunque da un parte un omaggio continuo e onnicomprensivo dei luoghi che lo hanno visto crescere e maturare (Cicognani nasce e muore a Firenze), dall’altro il persistere su argomenti del genere spesso lo deviano verso altre prospettive.
Nel 1923 arriva il successo con La Velia. Il romanzo è la storia di una ragazza, Velia appunto, di modeste estrazioni di vita che, grazie alla sua feroce determinazione e al suo desiderio, del tutto evidente, di far parte della bella vita, riesce a ereditare mobili ed immobili prima sposando un povero ragazzo alcoolizzato (scherzandoci sopra, di questi tempi potremmo dire che Beppino, il ragazzo appunto, soffre della sindrome di Asperger) poi di un ingegnere che cadrà vittima del suo charme e che in seguito si suiciderà perché capisce di non contare nulla sulla ragazza.
Dice Roberto Minore: La Velia è cattiva, una mangiauomini, un personaggio che fa del negativo la piattaforma di ogni precetto antimaterialistico, che fa della pagina scritta il palcoscenico in cui attuare la sua grande commedia al rovescio. Sola, in mezzo a una massa di derelitti che si lasciano vivere, lei vive e sente, pulsa insieme all’autore che s’infervora e sputa tutto il nero dell’allergia grazie al sottile spirito di perversione che sente affiorare dentro una pagine ribollente e sapida.
Questa donna però non è un vulcano d’intelligenza (anche se ottiene tutto quello che ha sempre desiderato): è un vulcano d’inezia, una sorta di Madame Bovary senza troppo fascino (anche se è sul fascino che lei tenta di scalare il mondo) che però conquista le sorti del mondo (il suo mondo).
La Velia, fin dal primo giorno in cui era stata vista assieme a Beppino, con chiunque avesse parlato – fuor che con le amiche del laboratorio – s’era comportata così da far credere che per Beppino sentiva … non diceva amore perché la gente non ci avrebbe creduto, ma una tenerezza appunto per quel carattere così infelice di cui lui stesso, lei lo sapeva bene, era il primo a soffrire.
Una donna che apparentemente sa mantenere un minimo di cordialità e di umanità ma che crescendo affina le sue armi più fascinose… Ma ora una soavità liscia e la bella fattura di tutto il corpo che aveva la grazia ingenua di certi steli per le allungate curve dissimulanti il gioco delle giunture. E l’odor della carne e i capelli morati e il brillìo degli occhi, l’invito e la snodatezza dei fianchi: creatura di quelle che ben per l’uomo non incontrar mai nella vita. E come vestiva!
Per quanto protagonista assoluta di una storia, la Velia del Cicognani non è certamente l’essenza di una viva maturità. E’ ancora la donna dei suoi tempi, dei tempi descritti per lo più dall’elemento che sembra starne fuori. Creativo ma improvvisamente malinconico, attivo ma repentinamente depresso, fervido e ad un tratto inerme, il Cicognani ci consegna una donna al fine odiata (sarà rinnegata dalla sua stessa madre) e non voluta.
Lei invece, di fronte ad un uomo innamorato, dice… sono stufa, arcistufa di te: la Velia, è inutile, te l’ò già cantato parecchie altre volte, che tu pretenda di metterla e tenerla in gabbia: aria, la Velia, e non gabbia! Sia l’ultima volta: quest’altra, tu vedi cosa faccio. Ricordati bene: non ò bisogno di te.
La decisionalità di una donna non sempre significa la sua altezza.
L’edizione da noi considerata è:
Bruno Cicognani
La Velia
Economica Vallecchi
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