RECENSIONI
Tim Weaver
Triplice omicidio
Fanucci, Andrea Salamoni, Pag. 493 Euro 14,90
Si fa presto a dire capolavoro. Si fa presto a dire “libro di eccezionale bravura”. Si fa presto a dire “autore dalle doti immaginifiche”. Vero, si fa presto a dirlo, ma in questo caso, nonostante siamo amanti del noir e nonostante abbiamo una notevole considerazione dello scrittore, possiamo affermare con certezza che questo libro è tutt’altro che un capolavoro.
Innanzi tutto cerchiamo di capire chi è Tim Weaver. Dunque, nessuna scoperta fantastica, tantomeno una “tirata” da un amico o da un conoscente. In libreria si è scelto questo nome perché forse rappresentava qualcosa che gli altri non avevano (almeno abbiamo creduto). All’inizio le cose sono andate nel migliore dei modi, con il protagonista principale, David Raker, che con i suoi difetti e i suoi lati oscuri (detective privato) raccoglieva istanze e problematiche che vorremmo fossero delle penne noir di ogni nazionalità.
Libri ponderosi ma efficaci, con finali che trovavano soluzioni soddisfacenti e ragionate. Dunque un nome da non dimenticare, anzi da tenere sotto controllo. Poi arriva questo romanzo (che è l’ultimo uscito in Italia, ma sospettiamo che ci sia in giro una nuova storia di David Raker) e le cose sembrano cambiare in modo ben preciso.
Cos’ha che non va in questo nuovo noir? Pensiamo noi l’attitudine a stupire a tutti i costi, a riempire il romanzo di avvenimenti al limite della sopportazione umana. Uno spreco non indifferente di talento.
Intendiamoci, in questa storia c’è tutto: il solito Raker con le sue preoccupazioni, un collega poliziotto che ha smesso di esserlo dopo l’uccisione di una donna e delle sue due figlie, la “morte” di costui e poi l’improvvisa rinascita, i responsabili che sembrano essere tali ma che poi riveleranno la loro pochezza rispetto al protagonista principale. Insomma un parterre du roi tutto sommato accettabile, ma condito con un’ansia febbrile che non convince affatto (almeno a noi non ha convinto e ci dispiace pure ammetterlo) e che trasforma il ben amato Weaver da scrittore di romanzi noir, a pseudo ricercatore di consensi inutili e dannosi.
Non è libro da cestinare, perché l’autore è sveglio e ben attento alle conseguenze, ma a noi amanti del noir sembra un tantino fuori le righe. Pensiamo già al prossimo libro. E speriamo che nulla intacchi più la sua “antica” determinatezza.
di Eleonora del Poggio
Innanzi tutto cerchiamo di capire chi è Tim Weaver. Dunque, nessuna scoperta fantastica, tantomeno una “tirata” da un amico o da un conoscente. In libreria si è scelto questo nome perché forse rappresentava qualcosa che gli altri non avevano (almeno abbiamo creduto). All’inizio le cose sono andate nel migliore dei modi, con il protagonista principale, David Raker, che con i suoi difetti e i suoi lati oscuri (detective privato) raccoglieva istanze e problematiche che vorremmo fossero delle penne noir di ogni nazionalità.
Libri ponderosi ma efficaci, con finali che trovavano soluzioni soddisfacenti e ragionate. Dunque un nome da non dimenticare, anzi da tenere sotto controllo. Poi arriva questo romanzo (che è l’ultimo uscito in Italia, ma sospettiamo che ci sia in giro una nuova storia di David Raker) e le cose sembrano cambiare in modo ben preciso.
Cos’ha che non va in questo nuovo noir? Pensiamo noi l’attitudine a stupire a tutti i costi, a riempire il romanzo di avvenimenti al limite della sopportazione umana. Uno spreco non indifferente di talento.
Intendiamoci, in questa storia c’è tutto: il solito Raker con le sue preoccupazioni, un collega poliziotto che ha smesso di esserlo dopo l’uccisione di una donna e delle sue due figlie, la “morte” di costui e poi l’improvvisa rinascita, i responsabili che sembrano essere tali ma che poi riveleranno la loro pochezza rispetto al protagonista principale. Insomma un parterre du roi tutto sommato accettabile, ma condito con un’ansia febbrile che non convince affatto (almeno a noi non ha convinto e ci dispiace pure ammetterlo) e che trasforma il ben amato Weaver da scrittore di romanzi noir, a pseudo ricercatore di consensi inutili e dannosi.
Non è libro da cestinare, perché l’autore è sveglio e ben attento alle conseguenze, ma a noi amanti del noir sembra un tantino fuori le righe. Pensiamo già al prossimo libro. E speriamo che nulla intacchi più la sua “antica” determinatezza.
di Eleonora del Poggio
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