RECENSIONI
Giacomo Verri
Un altro candore
Nutrimenti, Pag. 253 Euro 18,00
Giacomo Verri è una vecchia conoscenza. Dignitosissima conoscenza. E credo, nella mia insipienza intellettualistica, di essermi un po’ sorpreso (ma appena un po’) dell’uscita di questo suo ultimo romanzo.
Romanzo che in qualche modo mi ha un po’ trattenuto: vi chiederete perché. Ma è ovvio, aggiungo io, perché di fronte ad una storia di un certo spessore e, prendo dal titolo, di un altro candore, mi trovo a dover fare i conti con la vicenda di due uomini che durante la Resistenza hanno avuto qualcosa da dire oltre che fare.
Leggo dalla quarta di copertina del libro: L’amore proibito tra due giovani uomini negli ultimi lampi della guerra in montagna. L’estate del 1944, un’esplosiva manciata di episodi da cui scaturisce il cammino potente ma impietoso di un pugno di personaggi accompagnati fino alla soglia degli anni Novanta.
Per carità, riassunto quasi perfetto, ma si vuole dare ancora maggiore risalto alla prova dei due (e non capisco il perché. In fondo l’Italia ha avuto sin dai suoi esordi letterari della Resistenza personaggi e scrittori che hanno lasciato comunque – e nonostante tutto – un buon segno narrativo. Penso in particolar modo a Carlo Coccioli e al suo mai dimenticato Il migliore e l’ultimo).
E non c’è neppure la quadra: Verri, nella sua normale attitudine al riferire, dedica alla questione ben poco spazio (anche se apre e chiude il romanzo), lo spazio che merita, e poi imbastisce altre storie e altre vicende. Ma ovunque si giri Un altro candore passa come una storia omosessuale e con due uomini a farla da padrona.
Lasciamo stare. Vediamo il libro da un altro punto di vista. Chiedo a Verri il perché di una storia dove il linguaggio si fa fatica ad individuare. E anche qui non capisco.
Bella la trama, bella la costruzione, belli i passaggi, ma quando entra il dialogo si ha, soprattutto nella fase iniziale, una sorta di interruzione, che nulla ha a che fare con le costruzioni sintattiche, ma con un vero e proprio senso di fastidio.
Ed è un peccato, perché il romanzo regge fino alla fine (e che fine, soprattutto in una dichiarazione del gay che quasi scompagina tutto) e conferma davvero Verri come un compositore di classe e scrittore con un altro candore.
Sinceramente.
di Alfredo Ronci
Romanzo che in qualche modo mi ha un po’ trattenuto: vi chiederete perché. Ma è ovvio, aggiungo io, perché di fronte ad una storia di un certo spessore e, prendo dal titolo, di un altro candore, mi trovo a dover fare i conti con la vicenda di due uomini che durante la Resistenza hanno avuto qualcosa da dire oltre che fare.
Leggo dalla quarta di copertina del libro: L’amore proibito tra due giovani uomini negli ultimi lampi della guerra in montagna. L’estate del 1944, un’esplosiva manciata di episodi da cui scaturisce il cammino potente ma impietoso di un pugno di personaggi accompagnati fino alla soglia degli anni Novanta.
Per carità, riassunto quasi perfetto, ma si vuole dare ancora maggiore risalto alla prova dei due (e non capisco il perché. In fondo l’Italia ha avuto sin dai suoi esordi letterari della Resistenza personaggi e scrittori che hanno lasciato comunque – e nonostante tutto – un buon segno narrativo. Penso in particolar modo a Carlo Coccioli e al suo mai dimenticato Il migliore e l’ultimo).
E non c’è neppure la quadra: Verri, nella sua normale attitudine al riferire, dedica alla questione ben poco spazio (anche se apre e chiude il romanzo), lo spazio che merita, e poi imbastisce altre storie e altre vicende. Ma ovunque si giri Un altro candore passa come una storia omosessuale e con due uomini a farla da padrona.
Lasciamo stare. Vediamo il libro da un altro punto di vista. Chiedo a Verri il perché di una storia dove il linguaggio si fa fatica ad individuare. E anche qui non capisco.
Bella la trama, bella la costruzione, belli i passaggi, ma quando entra il dialogo si ha, soprattutto nella fase iniziale, una sorta di interruzione, che nulla ha a che fare con le costruzioni sintattiche, ma con un vero e proprio senso di fastidio.
Ed è un peccato, perché il romanzo regge fino alla fine (e che fine, soprattutto in una dichiarazione del gay che quasi scompagina tutto) e conferma davvero Verri come un compositore di classe e scrittore con un altro candore.
Sinceramente.
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