CLASSICI
Alfredo Ronci
Un diciottenne con stile: “L’Altrieri” di Carlo Dossi.
Scriveva Carlo Dossi ne l’Autodiagnosi: Chi scorre le carte sue, trova brani che pajon segnati dalla leggiera penna di una fanciulla, tanto la scrittura ne è gracile e limpida; e brani che si direbber zappati dalle corte e tabaccose dita di un grosso curato, tanto ne è tozza e pesante. (…) Le parole, che, in sul principio del foglio sono di uno stile abbastanza chiaro e visibile, a poco a poco – strada facendo – s’inbozzacchiscono; qual perde il capo, quale la coda, molto rimangono nella penna, si marìtano altre mostruosamente tra loro e la scrittura da piccola diventa minuta, da minuta minima, finchè tutto si scioglie in un inestricabile labirinto di segni e macchie – incomprensibili neri su bianco.
Certo è abbastanza evidente la personalità inquieta e nevrotica dell’autore. Autore che, forse piegato dalle sue stesse inquietudini, decide, nel 1881, di ripubblicare il suo diario, l’Altrieri appunto, del 1868. Opera questa che, scritta a soli diciotto anni, è un esempio, pure nell’asprezza autobiografica, di un gusto per il travestimento e la parodia e per la ricerca linguistica.
La voce narrante, pur se lo scrittore vuole dissolversi da una precisa identità, non lascia molti dubbi sulla possibilità che venga identificata con quella dell’autore: Guido Etelredi (dall’eroe Ethelred in un racconto di Poe). Tecnica questa che il Dossi adopererà anche in un’opera successiva, Vita di Alberto Pisani, dove appunto il Pisani diventerà scrittore e firmerà il suo romanzo con lo pseudonimo di Guido Etelredi.
Si dice, anche con una certa facilità, che questo difficile ed ambiguo romanzo non sia altro che una magmatica operazione linguistica che in qualche modo voglia ricordare il grafico della scrittura: cioè il suo farsi scarabocchio, l’assieparsi dei segni e il sovrapporsi delle lettere. Gli incomprensibili neri su bianco, come appunto suggeriva l’autore.
Credo che in questa opera ci sia di più: se da un lato si riconosce in Dossi la propensione linguistica e fattuale ad una ricerca del nuovo nella letteratura, su tutti l’uso dell’umorismo, soprattutto come viatico che s’opponga ad una sapienza falsa e vuota ed infine alle istituzioni sociali, dall’altro viene evidenziato un uso, non proprio diverso e rivoluzionario, di cordoni sentimentali o addirittura romantici, che lo riportano su una strada decisamente più abituale.
L’Altrieri è diviso in tre parti: la prima, quella in cui l’autore è ancora bambino (E – qual frugolo ero allora, qual nabisso!) nelle sue fragili e quasi inavvertite esperienze, trova modo e maniera di attaccarsi ad una giovanissima donzella, di nome Lisa, che segnerà questo suo periodo e che lo legherà ad un’idea della morte che mal si adatta all’idea di una fanciullezza serena e spensierata.
La seconda, dove il Dossi comincia a rendersi conto ancor più delle cose e dei travestimenti della vita, è quella in cui viene spedito in una specie di collegio dove troverà, però, anche situazioni e aggiustamenti che ironicamente lo accompagneranno alla fine dell’esperienza.
Basti ricordare l’incontro e il contatto col professor Ghioldi: Ghioldi era uscito da quella forma in cui si stampano quelli esseri a contorni nebbiosi, né originali né copie, in conto di senzaidee, non che veramente non ne possedano qualcheduna, ma inquantochè, non avendo bastante coraggio di buttarle insieme a quelle degli altri nel gran caldaio del pubblico, finiscono per sempre acconsentire come giapponesini di porcellana.
Tenterei quasi un azzardo, anche se i tempi sono diversi: l’indiscutibile humor di tutta la vicenda in cui è coinvolto l’Etelredi (Dossi) fa pensare ad un Vamba anti-litteram, anche se le situazioni e il procedere degli eventi, pur con una sconcertante critica delle istituzioni sociali, sono assolutamente devianti.
La terza fase del L’Altrieri riguarda l’improbabile principessa di Pimpirimpara e il tentativo di costei di agganciare la volontà dell’autore (correvo il mio quindicesimo: ero a pena sgattolajato dal ginnasio e cominciavo ad arieggiare l’uomo con la barba).
Dunque, dalle poche, anche se non incerte, pagine del L’Altrieri si può cercare di inquadrare il Dossi e il suo tentativo di scialare la letteratura: parlare di sé, dei propri giorni e delle proprie esperienze è per uno scrittore più che una confessione, un modo come un altro di fare letteratura. Ma secondo il Dossi, la letteratura che si vuole fare (e disfare) non deve scindersi dall’umorismo e da una forma del linguaggio che a volte può sembrare eccentrica, ma che dentro di sé racchiude la percezione, se non l’indagine, di se stesso.
L’edizione da noi considerata è:
Carlo Dossi
L’Altrieri
Centopagine Einaudi
Certo è abbastanza evidente la personalità inquieta e nevrotica dell’autore. Autore che, forse piegato dalle sue stesse inquietudini, decide, nel 1881, di ripubblicare il suo diario, l’Altrieri appunto, del 1868. Opera questa che, scritta a soli diciotto anni, è un esempio, pure nell’asprezza autobiografica, di un gusto per il travestimento e la parodia e per la ricerca linguistica.
La voce narrante, pur se lo scrittore vuole dissolversi da una precisa identità, non lascia molti dubbi sulla possibilità che venga identificata con quella dell’autore: Guido Etelredi (dall’eroe Ethelred in un racconto di Poe). Tecnica questa che il Dossi adopererà anche in un’opera successiva, Vita di Alberto Pisani, dove appunto il Pisani diventerà scrittore e firmerà il suo romanzo con lo pseudonimo di Guido Etelredi.
Si dice, anche con una certa facilità, che questo difficile ed ambiguo romanzo non sia altro che una magmatica operazione linguistica che in qualche modo voglia ricordare il grafico della scrittura: cioè il suo farsi scarabocchio, l’assieparsi dei segni e il sovrapporsi delle lettere. Gli incomprensibili neri su bianco, come appunto suggeriva l’autore.
Credo che in questa opera ci sia di più: se da un lato si riconosce in Dossi la propensione linguistica e fattuale ad una ricerca del nuovo nella letteratura, su tutti l’uso dell’umorismo, soprattutto come viatico che s’opponga ad una sapienza falsa e vuota ed infine alle istituzioni sociali, dall’altro viene evidenziato un uso, non proprio diverso e rivoluzionario, di cordoni sentimentali o addirittura romantici, che lo riportano su una strada decisamente più abituale.
L’Altrieri è diviso in tre parti: la prima, quella in cui l’autore è ancora bambino (E – qual frugolo ero allora, qual nabisso!) nelle sue fragili e quasi inavvertite esperienze, trova modo e maniera di attaccarsi ad una giovanissima donzella, di nome Lisa, che segnerà questo suo periodo e che lo legherà ad un’idea della morte che mal si adatta all’idea di una fanciullezza serena e spensierata.
La seconda, dove il Dossi comincia a rendersi conto ancor più delle cose e dei travestimenti della vita, è quella in cui viene spedito in una specie di collegio dove troverà, però, anche situazioni e aggiustamenti che ironicamente lo accompagneranno alla fine dell’esperienza.
Basti ricordare l’incontro e il contatto col professor Ghioldi: Ghioldi era uscito da quella forma in cui si stampano quelli esseri a contorni nebbiosi, né originali né copie, in conto di senzaidee, non che veramente non ne possedano qualcheduna, ma inquantochè, non avendo bastante coraggio di buttarle insieme a quelle degli altri nel gran caldaio del pubblico, finiscono per sempre acconsentire come giapponesini di porcellana.
Tenterei quasi un azzardo, anche se i tempi sono diversi: l’indiscutibile humor di tutta la vicenda in cui è coinvolto l’Etelredi (Dossi) fa pensare ad un Vamba anti-litteram, anche se le situazioni e il procedere degli eventi, pur con una sconcertante critica delle istituzioni sociali, sono assolutamente devianti.
La terza fase del L’Altrieri riguarda l’improbabile principessa di Pimpirimpara e il tentativo di costei di agganciare la volontà dell’autore (correvo il mio quindicesimo: ero a pena sgattolajato dal ginnasio e cominciavo ad arieggiare l’uomo con la barba).
Dunque, dalle poche, anche se non incerte, pagine del L’Altrieri si può cercare di inquadrare il Dossi e il suo tentativo di scialare la letteratura: parlare di sé, dei propri giorni e delle proprie esperienze è per uno scrittore più che una confessione, un modo come un altro di fare letteratura. Ma secondo il Dossi, la letteratura che si vuole fare (e disfare) non deve scindersi dall’umorismo e da una forma del linguaggio che a volte può sembrare eccentrica, ma che dentro di sé racchiude la percezione, se non l’indagine, di se stesso.
L’edizione da noi considerata è:
Carlo Dossi
L’Altrieri
Centopagine Einaudi
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