RECENSIONI
Uwe Timm
Un mondo migliore
Sellerio, Traduzione di Matteo Galli, Pag. 516 Euro 15,00
Giorni fa ho assistito ad uno spettacolo poco edificante. In una trasmissione televisiva di Rai3, e precisamente Le ragazze, una convincente Dacia Maraini raccontava i suoi esordi letterari con Moravia e i suoi particolari incontri (fra tutti Pier Paolo Pasolini) nei caffè letterari dell’epoca. E aggiungo io, punto.
Perché dico punto? Perché al di là delle compiaciute considerazioni della famosa scrittrice, nulla è stato detto sulla polemica che caratterizzò i suoi esordi. Cioè: sarebbe stato troppo oneroso parlare degli schiamazzi degli intellettuali dell’epoca contro il Moravia bello e buono che proclamava ai quattro venti l’assoluta capacità letteraria dell’appunto Dacia Maraini?
Ora mi chiedo: che senso ha parlare oggi del Novecento (sia esso letterario che non) se poi si nascondono le vere risorse di un periodo alquanto burrascoso e contraddittorio?
Fosse solo questo. Mi domando di più: ha senso confrontarsi con un periodo storico quando per quel periodo storico non si aveva l’età nemmeno per chiedere, con il dovuto tatto, un biscotto alla mamma?
La frase è scherzosa… ma mica poi tanto. E secondo alcuni del tutto inattendibile. Che ne faremmo, secondo costoro, degli storici e degli addetti ai lavori (tanto per citarne alcuni)?
Riformuliamo allora la domanda tenendo presente il libro in questione: ha senso parlare della fine del nazismo quando all’epoca lo scrittore (che si è messo in testa di farlo) aveva sì e no l’età per mangiare una merendina (anche qui parliamo seriamente ma scrivendo facezie)?
La risposta è: non lo so (con buona pace degli intellettuali e degli addetti ai lavori di prima). Però il problema esiste.
Uwe Timm ha scritto un libro perfetto (un tantino lungo) sulla fine del terzo Reich e sull’evoluzione del defunto scienziato Alfred Ploetz che diventò uno dei padri dell’eugenetica razzista e creatore del progetto “igiene della razza” su cui si fonderanno le pratiche sadiche e sterminatrici della creatura di Hitler. Non solo, accanto alla tragedia storica c’è anche una vicenda sentimentale che coinvolgerà Michael Hansen, giovane militare americano, incaricato di condurre indagini su Ploetz e una ragazza tedesca dall’aspetto invitante.
Il libro, come ho già detto, nonostante alcuni accadimenti soporiferi (tanto per citarne uno, il percorso ideologico che culminò con l’adesione all’utopia comunitaria del francese Cabet, fondatore delle comuni “icariane”) è realizzato con cura (vedere a fine libro la ricerca storiografica di Timm) e anche con una preziosa affinità letteraria.
Talmente preziosa che piuttosto che chiudere questa recensione con un ricordo storico preferisco farla con degli appunti quasi surreali e melanconici che danno una perfetta sintesi del romanzo.
Polemiche a parte.
E lì in cantina mi tornò in mente quella giovane donna, la sua assistente, con quel bel viso dolce e gli occhi ombreggiati da lunghe ciglia scure, ripensai alla delicatezza con cui accarezzava le orecchie grandi di quel coniglio che, fiducioso, piegava un orecchio, lasciandolo penzolare con dolcezza. E poi pensai alla pinza accostata alla testa dell’animale, al corpo squassato da una convulsione. Un breve attimo di rigidità. E poi la testa, riversa di lato.
di Alfredo Ronci
Perché dico punto? Perché al di là delle compiaciute considerazioni della famosa scrittrice, nulla è stato detto sulla polemica che caratterizzò i suoi esordi. Cioè: sarebbe stato troppo oneroso parlare degli schiamazzi degli intellettuali dell’epoca contro il Moravia bello e buono che proclamava ai quattro venti l’assoluta capacità letteraria dell’appunto Dacia Maraini?
Ora mi chiedo: che senso ha parlare oggi del Novecento (sia esso letterario che non) se poi si nascondono le vere risorse di un periodo alquanto burrascoso e contraddittorio?
Fosse solo questo. Mi domando di più: ha senso confrontarsi con un periodo storico quando per quel periodo storico non si aveva l’età nemmeno per chiedere, con il dovuto tatto, un biscotto alla mamma?
La frase è scherzosa… ma mica poi tanto. E secondo alcuni del tutto inattendibile. Che ne faremmo, secondo costoro, degli storici e degli addetti ai lavori (tanto per citarne alcuni)?
Riformuliamo allora la domanda tenendo presente il libro in questione: ha senso parlare della fine del nazismo quando all’epoca lo scrittore (che si è messo in testa di farlo) aveva sì e no l’età per mangiare una merendina (anche qui parliamo seriamente ma scrivendo facezie)?
La risposta è: non lo so (con buona pace degli intellettuali e degli addetti ai lavori di prima). Però il problema esiste.
Uwe Timm ha scritto un libro perfetto (un tantino lungo) sulla fine del terzo Reich e sull’evoluzione del defunto scienziato Alfred Ploetz che diventò uno dei padri dell’eugenetica razzista e creatore del progetto “igiene della razza” su cui si fonderanno le pratiche sadiche e sterminatrici della creatura di Hitler. Non solo, accanto alla tragedia storica c’è anche una vicenda sentimentale che coinvolgerà Michael Hansen, giovane militare americano, incaricato di condurre indagini su Ploetz e una ragazza tedesca dall’aspetto invitante.
Il libro, come ho già detto, nonostante alcuni accadimenti soporiferi (tanto per citarne uno, il percorso ideologico che culminò con l’adesione all’utopia comunitaria del francese Cabet, fondatore delle comuni “icariane”) è realizzato con cura (vedere a fine libro la ricerca storiografica di Timm) e anche con una preziosa affinità letteraria.
Talmente preziosa che piuttosto che chiudere questa recensione con un ricordo storico preferisco farla con degli appunti quasi surreali e melanconici che danno una perfetta sintesi del romanzo.
Polemiche a parte.
E lì in cantina mi tornò in mente quella giovane donna, la sua assistente, con quel bel viso dolce e gli occhi ombreggiati da lunghe ciglia scure, ripensai alla delicatezza con cui accarezzava le orecchie grandi di quel coniglio che, fiducioso, piegava un orecchio, lasciandolo penzolare con dolcezza. E poi pensai alla pinza accostata alla testa dell’animale, al corpo squassato da una convulsione. Un breve attimo di rigidità. E poi la testa, riversa di lato.
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