CLASSICI
Alfredo Ronci
Un movimento culturale disonesto? “La scapigliatura e il 6 febbraio” di Cletto Arrighi.
Ad un certo punto, della Scapigliatura si poteva dire tutto e il suo contrario, ma in Italia ci fu qualcuno che la “battezzò” e le dedicò anche un romanzo. Romanzo che per molti critici di allora e, soprattutto di oggi, rimase un contributo davvero modesto alla sua definizione.
Ma vediamo davvero cosa successe. Il merito di aver portato alla luce il termine “scapigliatura”, secondo una tradizione ormai consolidata è Cletto Arrighi, pseudonimo-anagramma del milanese Carlo Righetti, il quale, dopo aver combattuto gli austriaci nelle Cinque giornate, e dopo essere stato promosso ufficiale sul campo, tornò agli studi giuridici e poi al giornalismo.
L’effettiva ufficialità del termine avvenne (tolto qualche spunto che l’autore vi dedicò nel suo primo romanzo) con il libro La scapigliatura e il 6 febbraio, una sorta di abecedario del movimento che in qualche modo pose fine a tutta una serie di complicate vicissitudini.
Scriveva l’Arrighi nell’introduzione: La Scapigliatura è composta da individui di ogni ceto, di ogni condizione; celibato e matrimonio; ognuno vi porta il suo contributo, ciascuno vi conta qualche membro d’ambo i sessi; ed essa li accoglie in un amplesso amoroso, e li lega in una specie di mistica consorteria, forse per quella forza simpatica che nell’ordine dell’universo attrae fra di loro le sostanze consimili. (…) Da un lato: un profilo più italiano che milanese, pieno di brio, di speranza e amore, e rappresenta il lato simpatico e forte di questa classe, inconscia della propria potenza (…) anima di tutti gli elementi geniali, artistici, poetici, rivoluzionari del proprio paese. Dall’altro: un volto smunto, solcato, cadaverico; su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizzo e nel giuoco; su cui si adombra il segreto d’un dolore infinito… i sogni tentatori di una felicità inarrivabile, e le lacrime di sangue, e le tremende sfiducie, e la finale disperazione.
Non me ne voglia nessuno, ma i capisaldi del movimento, tranne qualche eccesso di troppo (mi verrebbe da citare la luciniana Non omnia possumus omnes, cioè tutti non possiamo fare tutto) possono ridursi al … tutto e il suo contrario. Ma lo stesso Arrighi, tenute presenti le sue indicazioni, affermava che la Scapigliatura era tutt’altro che disonesta.
E il romanzo cosa rappresentava? E’ la storia di un gruppo di amici che, nei momenti cruciali, sembra essere unito (La compagnia brusca, era appunto un nucleo di capi dl “partito indipendente, se pure poteva chiamarsi partito … era l’opinione più avanzata del paese, la gioventù studiosa, ricca d’intelligenza e di virtù civili, che sentì il bisogno di associarsi, di conoscersi, di prepararsi, di fare qualcosa per la patria redenzione). E il capo di costoro sembra essere Emilio Digliani… e perciò erasi trovato spesso a contatto con alcuni popolani, dei quali frenava l’impeto immoderato, e l’imprudente, e forse poco onesta smania di agire.
Questo Digliani prima si mette in mostra per cercare di conquistare Noemi, una donna ormai delusa dal suo uomo che alle delizie e ai sensi dell’amore preferisce le imprese in banca, poi una volta conquistatala la lascia preda delle sue emozioni, tranne poi rinsavirsene e riconquistarla con le dovute promesse. Questa illusione, e ciò che ella aveva sofferto fino allora e l’amore invincibile pel suo Emilio, siano la sua scusa, il suo perdono. La donna che non si trovò mai nel suo caso, non sorga, per Dio, a condannarla.
Gli interventi su questioni particolari e inerenti alla storia sono frequenti nella prosa di Arrighi: forse questo era il modo migliore che l’autore intendesse per arricchire ancora di più la vicenda (se proprio avete tempo, andatevi a leggere il romanzo, sempre di Arrighi, Un suicidio misterioso, dove gli esiti drammatici della storia non gli impediscono di lanciare strali su altri personaggi e sulla società a lui contemporanea). Il risultato finale de La scapigliatura e il 6 febbraio è una sorta di coupe de théatre, che non rischio di raccontare, ma che costringerà il Digliani ad accettare uno scontro diretto con un austriaco e morire nel duello (appunto il 6 febbraio).
Come già detto in precedenza l’esito della storia non cambiò di molto le aspettative del letterato Arrighi (tra le altre cose morì in miseria e solitudine all’età di 78 anni). Servì a definire un movimento che, a seconda di come viene inteso, fu preso e stiracchiato dai più (cioè dai letterati, e non solo, dell’epoca).
E’ indubbio però che la voglia e la precisione di Arrighi determinò uno spazio tra quello che lui, molto onestamente, definiva un movimento scapigliato (con tutte le conseguenze del caso) e quello che arrivò dopo. Il che mi sembra sufficiente a definirlo (con tutte le conseguenze del caso) un classico della letteratura.
L’edizione da noi considerata è:
Cletto Arrighi
La Scapigliatura e il 6 febbraio
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