RECENSIONI
Richard Yates
Una buona scuola
Minimum fax, Pagine 235 Euro 12,50
Non è certo all'altezza di Revolutionary Road questo Una buona scuola, breve romanzo in cui il grande Richard Yates raccontò le vicende di una mediocre scuola privata del New England in cui, al solito, si annidano tracce di un'esperienza biografica mai troppo entusiasmante segnata anzi com'è da uno marchio riconoscibile – fors'anche un luogo comune ma tutt'altro che campato per aria, ossia la peculiare difficoltà di uno scrittore a sfangare la vita laddove cani e porci mediamente umani sembrano cavarsela molto meglio di lui. Il disgraziato fra i disgraziati qui si chiama William Grove. Il ragazzo troverà nella scrittura, guarda caso, e sebbene solo quella giornalistica di un foglio della scuola, l'approssimativa rivincita senza la quale se non il suicidio, senz'altro la depressione avrebbe reclamato il proprio diritto di imporsi come destino di una vita – Yates ne sapeva qualcosa.
La narrazione di Una buona scuola è piuttosto blanda, accarezza i personaggi – che sono troppi, perlopiù presi e abbandonati senza una vera costruzione d'intreccio - senza la forza piana e implacabile con cui Yates di solito ce li costruisce davanti agli occhi; il punto di vista del narratore sembra girovagare da un punto all'altro di questo college rattoppato, e quando si comincia a delineare una figura con una sua storia, un passo, una possibilità di destino il lavoro in situazione viene sbrigato senza legami stringenti con il resto. Non manca però il tratto del grande maestro, che è poi, trattandosi di Yeats, il racconto per nulla ostentato o manieristico della crudeltà; si veda quella del ragazzo, il fesso del gruppo, un segnacolo dell'autore probabilmente, che viene preso dai soliti tre o quattro teppistelli, denudato, deriso e masturbato a forza. La scena è forte ma credibile e quasi domestica nella verosimiglianza descrittiva. E' un racconto che rifiuta la spettacolarizzazione, crudele senza essere compiaciuto, quindi quanto di più vicino al vero si possa pretendere da un romanzo. Scritto in uno dei periodi peggiori di Yates (che non ebbe certo una vita facile, anche perché la sua grandezza non venne riconosciuta in vita se non da altri, pochi, scrittori), Una buona scuola, invece di accanirsi su pochi poveri cristi come succede nei suoi lavori più convincenti, dissemina travagli e tormenti su un gruppo esteso di adolescenti, americani di metà secolo, vicinissimi alla guerra, che vivono in un'impossibile costellazione di sogni destinati a infrangersi sull'immagine allo specchio futuro che viene loro restituita intanto da insegnanti, va da sé, sfigatissimi e sconfitti dalla vita, e poi dalla stessa scuola privata costretta a chiudere per accogliere i soldati feriti in guerra. Proprio per questa coralità poco adatta alle corde dell'autore, la disperazione finisce per diluirsi in una sorta di elegia che non dà la misura della ferocia di sguardo di cui era capace Richard Yates. Che qui svela invece un tono più tenero, quasi di simpatia per questi adolescenti confusi, incerti – senza mai essere sentimentale (Yates disprezzava, parole sue, l'ottimismo sentimentale e facilone degli americani). E' che all'adolescenza possiamo perdonare tutto, anche di averci ingannato.
A proposito di scrittori che se ne sono innamorati, siamo costretti a ricordarvi Zadie Smith, responsabile dello scritto che appare come prefazione al libro. Ne segnaliamo questa splendida perla: Ciò che colpisce di più in lui non è la sua aderenza al reale, ma la sua yatesianità. Com'è costantemente yatesiano!
Ora, si capisce che l'estetizzazione forzata di minimum fax faccia ritenere all'editore più accattivante infilare in copertina il nome di una celebre scrittrice piuttosto che quella di un onesto curatore, ma non sarebbe il caso di badare un po' di più al sodo?
di Michele Lupo
La narrazione di Una buona scuola è piuttosto blanda, accarezza i personaggi – che sono troppi, perlopiù presi e abbandonati senza una vera costruzione d'intreccio - senza la forza piana e implacabile con cui Yates di solito ce li costruisce davanti agli occhi; il punto di vista del narratore sembra girovagare da un punto all'altro di questo college rattoppato, e quando si comincia a delineare una figura con una sua storia, un passo, una possibilità di destino il lavoro in situazione viene sbrigato senza legami stringenti con il resto. Non manca però il tratto del grande maestro, che è poi, trattandosi di Yeats, il racconto per nulla ostentato o manieristico della crudeltà; si veda quella del ragazzo, il fesso del gruppo, un segnacolo dell'autore probabilmente, che viene preso dai soliti tre o quattro teppistelli, denudato, deriso e masturbato a forza. La scena è forte ma credibile e quasi domestica nella verosimiglianza descrittiva. E' un racconto che rifiuta la spettacolarizzazione, crudele senza essere compiaciuto, quindi quanto di più vicino al vero si possa pretendere da un romanzo. Scritto in uno dei periodi peggiori di Yates (che non ebbe certo una vita facile, anche perché la sua grandezza non venne riconosciuta in vita se non da altri, pochi, scrittori), Una buona scuola, invece di accanirsi su pochi poveri cristi come succede nei suoi lavori più convincenti, dissemina travagli e tormenti su un gruppo esteso di adolescenti, americani di metà secolo, vicinissimi alla guerra, che vivono in un'impossibile costellazione di sogni destinati a infrangersi sull'immagine allo specchio futuro che viene loro restituita intanto da insegnanti, va da sé, sfigatissimi e sconfitti dalla vita, e poi dalla stessa scuola privata costretta a chiudere per accogliere i soldati feriti in guerra. Proprio per questa coralità poco adatta alle corde dell'autore, la disperazione finisce per diluirsi in una sorta di elegia che non dà la misura della ferocia di sguardo di cui era capace Richard Yates. Che qui svela invece un tono più tenero, quasi di simpatia per questi adolescenti confusi, incerti – senza mai essere sentimentale (Yates disprezzava, parole sue, l'ottimismo sentimentale e facilone degli americani). E' che all'adolescenza possiamo perdonare tutto, anche di averci ingannato.
A proposito di scrittori che se ne sono innamorati, siamo costretti a ricordarvi Zadie Smith, responsabile dello scritto che appare come prefazione al libro. Ne segnaliamo questa splendida perla: Ciò che colpisce di più in lui non è la sua aderenza al reale, ma la sua yatesianità. Com'è costantemente yatesiano!
Ora, si capisce che l'estetizzazione forzata di minimum fax faccia ritenere all'editore più accattivante infilare in copertina il nome di una celebre scrittrice piuttosto che quella di un onesto curatore, ma non sarebbe il caso di badare un po' di più al sodo?
di Michele Lupo
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