RACCONTI
Giovanni Mauro
Yesterday
Ormai è materia da quiz. Anche il mio barbiere sa che Paul McCartney si svegliò una mattina in Cavendish Ave con tutto il pezzo già completo di parole in testa. Era arrivato in sogno, disse poi, e lo aveva buttato giù in fretta durante il breakfast strimpellando sul piano che il padre della fidanzata (viveva a casa loro, all'epoca)gli aveva saggiamente messo a disposizione. Aveva chiamato la nuova canzone, in mancanza d'altro, Scrambled Eggs, Uova strapazzate. Ok, nessuno è un grand'uomo agli occhi del proprio biografo. Paul passò mesi a chiedere in giro se quella incredibile melodia che gli era piovuta dal cielo non fosse stata per caso già scritta da qualcuno: non gli sembrava vero d'aver composto quello che si annunciava -e si sarebbe rivelato- il classico dei classici pop, una delle più suggestive melodie di tutti i tempi.
Fin qui le note ufficiali.
Non tutti conoscono invece il trucco che fu messo in atto in sede di registrazione. Prendete una chitarra, provate a suonare Yesterday mentre va il cd. Fa maggiore col barrè, Mi minore: semplice. Però non ci azzecca per nulla. Mancano quei bicordi celtici, le note aperte. Eppure una chitarra è una chitarra.
Un'artigianale ispirazione del momento aveva spinto Paul ad accordare la chitarra due semitoni più giù. E suonare in una posizione aperta di Sol maggiore, mentre il quartetto d'archi segue la melodia in Fa. Come ogni chitarrista può intuire, questo aveva fatto la differenza. Provate: è proprio Ye-sterday, nella sua più pura e disincarnata magia.
Questa e parecchie altre cose allora non sapevo. Ero giovane, le nuvole traboccavano dal cielo e da terra quasi sembrava di toccarle. Insomma tutti ci si affacciava alla vita. Quasi tutti, a dire il vero: io all'epoca preferivo incaponirmi ad inseguire le scale armoniche con la chitarra persino sulla riviera romagnola dove trascorrevo con gli amici le infinite, gloriose vacanze estive.
Nessuno di noi era ancora stato con una ragazza e forse per questo più romantici si stava di notte fra sdraio e ombrelloni chiusi, a cantare sotto una rete di stelle all'epoca ancora luminose come nei cartoni di Disney.
Si potrebbe obiettare che questo è il senno di poi e infatti è proprio così.
Quando gli dei vogliano perderti ti accontentano, si dice, nel caso specifico facendo passare davanti al nostro gruppo bevuto tre ragazze americane.
Non era stato difficile, pur col nostro inglese zoppicante, invitarle a fermarsi un po' per cantare assieme.
Scoprimmo che venivano dal Missouri. La biondina, anche se molto riservata, era la più interessante: sguardo azzurro e intenso, la pelle serica del viso rosseggiante anche al buio di quel rossore tipico delle straniere che hanno sfidato troppo il nostro sole adriatico.
Try to zee in my way...
We can work it out era passata via in un improbabile anglo-italiano, e così Hey Jude e Let it Be.
Decisi di calare l'asso. Mi addentrai come meglio potevo nei barrè di Yesterday (allora la suonavo così) e finii col fiato in gola e le dita intrappolate. Non era stato proprio il massimo, ma insomma la mia porca figura speravo di averla fatta. Karen, così si chiamava la biondina, mi chiese allora se poteva suonare qualcosa. Le allungai la chitarra preparandomi ad approvare con condiscendenza i balbettii della principiante.
Con pochi gesti esperti la ragazza accordò la chitarra due semitoni sotto, scostò appena la tenerissima gonna bianca di cotone scoprendo un ginocchio abbronzato e, drizzando la schiena, assunse una posizione da chitarrista provetta.
-I use to play Yesterday like this-.
L'avambraccio rimase sospeso sulle corde un attimo. Partì il complesso arpeggio in sedicesimi.
Finito il brano Karen mi sorrise luminosamente rendendo lo strumento. L'applauso scrosciante sembrò diffondere dalla sabbia sino ai primi alberghi, sul lungomare. I miei amici sghignazzavano ma io non li vedevo già più, perso com'ero nella contemplazione estatica di quelle lettere di fuoco comparse nel mio cielo, proprio le stesse parole del prota-gonista di quel nuovo film di Kubrik:
E per un momento –oh fratelli- un usignolo era entrato nel Milk Bar e e brividi suegiù come malenche lucertoline, sue-giù...
Come in un trailer mi passavano davanti agli occhi orizzonti del Missouri, deserti dipinti, Grand Canyons, grattacieli di New York (fra gli alberghi di Cattolica?) e già potevo intuire la serie infinita di avventure, ad aspettarci in qualche punto del nostro futuro, perchè sì, proprio in quell'attimo era comparso un nostro futuro. In Greyhound, col treno o in autostop, in giro per l'Italia o negli States, io le avrei rivelato - il suo viso impiastricciato di sugo - il grande segreto italiano di come si arrotolano sulla forchetta gli spaghetti, lei mi avrebbe preso in giro davanti al fuoco: - Hey you, non si cuociano le panochie in that way!-.
Poi a capodanno, in una baita di montagna o a Yellowstone, sotto un piumone o in una tenda, avremmo imparato tutto il morbido sesso del mondo.
Lo ho già ammesso, ero giovane e romantico. Tutto questo vidi, in un momento solo. Tutto questo, ma più di ogni altra cosa
le affusolate dita di Karen che danzavano sulla mia chitarra.
Le nostre musiche fondersi insieme, diventare una sola.
Dopo qualche altro pezzo suonato insieme i due gruppi si diedero la buona notte. Le americane sarebbero ripartite dopo pochi giorni, dissero.
Ero completamente frastornato e anche un po' triste per non essere stato, pensavo, all'altezza. Allora ero fatto così. Mormorai qualcosa fra l'ammirato e lo sconvolto, tipo - Se sapevo che suonavi in quel modo... - Karen, stupenda, si avvicinò. Profumava di pesca e la pelle era caldissima. Solo il sole?
- I preferred your version. - sussurrò - Mi è pia...ciata? meglio la tua. Come to meet me, vieni a trovarmi, Missouri is a beautiful place, you will see -.
Sfiorò le mie labbra con un bacio leggero.
Quando ripresi conoscenza avevo un bigliettino in mano con indirizzo e telefono. Karen era andata.
La notte volgeva al termine. Le stelle una dopo l'altra erano tutte tramontate.
Gli amici ormai a letto, laggiù ad est il chiarore rosa che annunciava un nuovo giorno, sulla spiaggia non rimaneva più nessuno. Solo un ragazzo, su una sdraio provava e riprovava una nuova accordatura.
Quell'anno non incontrammo più le americane. Io però conservavo nella custodia dei preziosi RayBan il mio ancor più prezioso biglietto.
Ma gli dei non perdonano e una volta a casa, aperta la custodia degli occhiali, scoprii che l'acqua di mare - una delle innumerevoli battaglie a suon di gavettoni - aveva cancellato l'indirizzo sul bigliettino. Restavano solo alcuni caratteri: K...E.N, MISSOU... 37.
Non l'ho più rivista, nè risentita.
Fino a ieri. Quando alla radio ho sentito di nuovo la sua voce.
La giornalista stava chiedendo dove avesse trovato, lei, oscura chitarrista del Missouri, l'ispirazione per diventare una delle folksinger americane più ammirate al mondo. Karen ha risposto:
- Molti anni fa, su una spiaggia del Mediterraneo. Negli occhi di un ragazzo -.
Adesso si fa chiamare Sheryl.
Giovanni Mauro
E' nato nel 1958. Vive a Mantova dove esercita la professione di medico odontostomatologo. Ha frequentato corsi di scrittura con la Scuola Holden, Giulio Mozzi e Davide Bregola.
Scrive principalmente racconti, alcuni dei quali comparsi su riviste letterarie online. Il suo 'Il Dono' fa parte della antologia Per Natale Non Esco (Transeuropa Libri, 2008).
Al presente è al lavoro su una antologia personale ed un romanzo.
Fin qui le note ufficiali.
Non tutti conoscono invece il trucco che fu messo in atto in sede di registrazione. Prendete una chitarra, provate a suonare Yesterday mentre va il cd. Fa maggiore col barrè, Mi minore: semplice. Però non ci azzecca per nulla. Mancano quei bicordi celtici, le note aperte. Eppure una chitarra è una chitarra.
Un'artigianale ispirazione del momento aveva spinto Paul ad accordare la chitarra due semitoni più giù. E suonare in una posizione aperta di Sol maggiore, mentre il quartetto d'archi segue la melodia in Fa. Come ogni chitarrista può intuire, questo aveva fatto la differenza. Provate: è proprio Ye-sterday, nella sua più pura e disincarnata magia.
Questa e parecchie altre cose allora non sapevo. Ero giovane, le nuvole traboccavano dal cielo e da terra quasi sembrava di toccarle. Insomma tutti ci si affacciava alla vita. Quasi tutti, a dire il vero: io all'epoca preferivo incaponirmi ad inseguire le scale armoniche con la chitarra persino sulla riviera romagnola dove trascorrevo con gli amici le infinite, gloriose vacanze estive.
Nessuno di noi era ancora stato con una ragazza e forse per questo più romantici si stava di notte fra sdraio e ombrelloni chiusi, a cantare sotto una rete di stelle all'epoca ancora luminose come nei cartoni di Disney.
Si potrebbe obiettare che questo è il senno di poi e infatti è proprio così.
Quando gli dei vogliano perderti ti accontentano, si dice, nel caso specifico facendo passare davanti al nostro gruppo bevuto tre ragazze americane.
Non era stato difficile, pur col nostro inglese zoppicante, invitarle a fermarsi un po' per cantare assieme.
Scoprimmo che venivano dal Missouri. La biondina, anche se molto riservata, era la più interessante: sguardo azzurro e intenso, la pelle serica del viso rosseggiante anche al buio di quel rossore tipico delle straniere che hanno sfidato troppo il nostro sole adriatico.
Try to zee in my way...
We can work it out era passata via in un improbabile anglo-italiano, e così Hey Jude e Let it Be.
Decisi di calare l'asso. Mi addentrai come meglio potevo nei barrè di Yesterday (allora la suonavo così) e finii col fiato in gola e le dita intrappolate. Non era stato proprio il massimo, ma insomma la mia porca figura speravo di averla fatta. Karen, così si chiamava la biondina, mi chiese allora se poteva suonare qualcosa. Le allungai la chitarra preparandomi ad approvare con condiscendenza i balbettii della principiante.
Con pochi gesti esperti la ragazza accordò la chitarra due semitoni sotto, scostò appena la tenerissima gonna bianca di cotone scoprendo un ginocchio abbronzato e, drizzando la schiena, assunse una posizione da chitarrista provetta.
-I use to play Yesterday like this-.
L'avambraccio rimase sospeso sulle corde un attimo. Partì il complesso arpeggio in sedicesimi.
Finito il brano Karen mi sorrise luminosamente rendendo lo strumento. L'applauso scrosciante sembrò diffondere dalla sabbia sino ai primi alberghi, sul lungomare. I miei amici sghignazzavano ma io non li vedevo già più, perso com'ero nella contemplazione estatica di quelle lettere di fuoco comparse nel mio cielo, proprio le stesse parole del prota-gonista di quel nuovo film di Kubrik:
E per un momento –oh fratelli- un usignolo era entrato nel Milk Bar e e brividi suegiù come malenche lucertoline, sue-giù...
Come in un trailer mi passavano davanti agli occhi orizzonti del Missouri, deserti dipinti, Grand Canyons, grattacieli di New York (fra gli alberghi di Cattolica?) e già potevo intuire la serie infinita di avventure, ad aspettarci in qualche punto del nostro futuro, perchè sì, proprio in quell'attimo era comparso un nostro futuro. In Greyhound, col treno o in autostop, in giro per l'Italia o negli States, io le avrei rivelato - il suo viso impiastricciato di sugo - il grande segreto italiano di come si arrotolano sulla forchetta gli spaghetti, lei mi avrebbe preso in giro davanti al fuoco: - Hey you, non si cuociano le panochie in that way!-.
Poi a capodanno, in una baita di montagna o a Yellowstone, sotto un piumone o in una tenda, avremmo imparato tutto il morbido sesso del mondo.
Lo ho già ammesso, ero giovane e romantico. Tutto questo vidi, in un momento solo. Tutto questo, ma più di ogni altra cosa
le affusolate dita di Karen che danzavano sulla mia chitarra.
Le nostre musiche fondersi insieme, diventare una sola.
Dopo qualche altro pezzo suonato insieme i due gruppi si diedero la buona notte. Le americane sarebbero ripartite dopo pochi giorni, dissero.
Ero completamente frastornato e anche un po' triste per non essere stato, pensavo, all'altezza. Allora ero fatto così. Mormorai qualcosa fra l'ammirato e lo sconvolto, tipo - Se sapevo che suonavi in quel modo... - Karen, stupenda, si avvicinò. Profumava di pesca e la pelle era caldissima. Solo il sole?
- I preferred your version. - sussurrò - Mi è pia...ciata? meglio la tua. Come to meet me, vieni a trovarmi, Missouri is a beautiful place, you will see -.
Sfiorò le mie labbra con un bacio leggero.
Quando ripresi conoscenza avevo un bigliettino in mano con indirizzo e telefono. Karen era andata.
La notte volgeva al termine. Le stelle una dopo l'altra erano tutte tramontate.
Gli amici ormai a letto, laggiù ad est il chiarore rosa che annunciava un nuovo giorno, sulla spiaggia non rimaneva più nessuno. Solo un ragazzo, su una sdraio provava e riprovava una nuova accordatura.
Quell'anno non incontrammo più le americane. Io però conservavo nella custodia dei preziosi RayBan il mio ancor più prezioso biglietto.
Ma gli dei non perdonano e una volta a casa, aperta la custodia degli occhiali, scoprii che l'acqua di mare - una delle innumerevoli battaglie a suon di gavettoni - aveva cancellato l'indirizzo sul bigliettino. Restavano solo alcuni caratteri: K...E.N, MISSOU... 37.
Non l'ho più rivista, nè risentita.
Fino a ieri. Quando alla radio ho sentito di nuovo la sua voce.
La giornalista stava chiedendo dove avesse trovato, lei, oscura chitarrista del Missouri, l'ispirazione per diventare una delle folksinger americane più ammirate al mondo. Karen ha risposto:
- Molti anni fa, su una spiaggia del Mediterraneo. Negli occhi di un ragazzo -.
Adesso si fa chiamare Sheryl.
Giovanni Mauro
E' nato nel 1958. Vive a Mantova dove esercita la professione di medico odontostomatologo. Ha frequentato corsi di scrittura con la Scuola Holden, Giulio Mozzi e Davide Bregola.
Scrive principalmente racconti, alcuni dei quali comparsi su riviste letterarie online. Il suo 'Il Dono' fa parte della antologia Per Natale Non Esco (Transeuropa Libri, 2008).
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