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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Salvatore Niffoi

Ritorno a Baraule

Adelphi, Pag.200 Euro 16,00
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Mi pare che l'espressione più adatta a definire la scrittura di Niffoi sia naturalismo magico. In quest'ossimoro si possono sintetizzare la sua arte e le sue contraddizioni. La sua arte si esprime in pieno in questo romanzo come nei precedenti, mentre le contraddizioni (non la dialettica dei contrari, che è essa stessa elemento prezioso, come già messo in luce nella nostra recensione a La vedova scalza, bensì qualche disomogeneità nel trattare la materia), mi sono apparse a tratti come disarmonie. Intendiamoci, non c'è niente di più armonico della prosa di Niffoi: vi invito ad ascoltarne il suono senza pensare al senso delle parole, e vi accorgerete che è canto e poesia.

Durante il mese di aprile continuò a girare in lungo e in largo tutta la zona dell'arcipelago del Curis e i villaggi vicino allo stagno. Lui andava in cerca di notizie, e quelli che incontrava gli offrivano vernaccia, cestini, trappeti, ceramiche, monete. Anche barche gli volevano intregare, e pure muli, buoi e femmine a poco prezzo. A Galusì una madre gli offrì una giovane quasi per niente, perché diceva di avere un bisogno urgente: una maghiargia le doveva leggere il futuro tra la polpa dei ricci spaccati e lei non sapeva come pagarla.

Il problema sta, mi pare, proprio nel conciliare la necessità di un realismo nei dialoghi (che sono quasi sempre freschi, vivi, popolari: Da infermiera, dottò, fa la mia signora, Grascia, che ha già fatto pratica coi nostri maiali! Non sarà anche lei come quelli dell'ospedale, che se gli dico l'età non mi danno quasi più manco le medicine!... ) con un'altra necessità, più profonda, di volgere tutto in poesia, amalgamandolo in un unico linguaggio, come si fa nei poemi. Ne è un esempio il lungo monologo di Mariolu Saliu, che si definisce una volta pescatore di muggini, ora di ricordi e che racconta: Quel sabato settembrino si annunciò con un sole imbizzarrito che scalpitava dietro le ombre monche delle colline di Is Pramas. Una coppa di fuoco spumeggiante che prese a rotolare lentamente fino al mare. E non si può dire che l'uso del dialetto valga quale elemento stilistico distintivo fra narrazione e dialogo, poiché in entrambi è ingrediente essenziale e irrinunciabile, mescolato com'è nell'impasto linguistico.

Detto questo (più per invidia e spocchia da recensore che per autentica voglia di criticare) non resta che ammettere che Niffoi ha partorito un altro capolavoro di espressività e di potenza evocatrice. Dove si tratta di Carmine Pullana, ex trovatello ed ora cardiochirurgo a riposo, minato da una malattia che non gli lascia speranze, e perciò mosso ormai dall'unico desiderio di affrontare il mistero delle proprie origini. E come in tutte le origini la storia diventa mito e magia, tanto più inestricabile quanto più si cerca di venirne a capo con gli strumenti della ragione.

Bertu vide una grossa aureola volare dalla chiesetta del villaggio ...... La vide avvicinarsi fino a ridursi a una focaccia di luce che si fermò sopra i capelli di Sidora. Sembrava Nostra Signora del monte Carmelo.

Se Niffoi infittisce il mistero, non è per prepararci ad una soluzione univoca, ma piuttosto per confonderci e renderci consapevoli (consapevoli in modo viscerale e doloroso) di quell'aspetto della condizione umana che è l'impossibilità di decifrare fino in fondo il reale.

Mi piace segnalare, fra tanto ben di dio, l'episodio della visita a Diegu Arrampiles nel manicomio criminale di Obidue, esperienza intensa di strazio e di umana pietà. Per quanto riguarda i ritratti dei personaggi che popolano il romanzo, quasi una pittoresca corte dei miracoli, avrei voluto citarne qualcuno per la sua immediatezza e vitalità, ma non ho potuto sceglierne alcuno perché stavo per sceglierli tutti.



di Giovanna Repetto


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Sospettavo che prima o poi sarebbe successo. Era nell'aria, incombente, come i mutamenti del clima (e c'è, nel libro, anche questo riferimento politicamente corretto). Sapevo, o meglio temevo, che presto o tardi il genio di Niffoi sarebbe esploso come una melagrana matura. Che le sue pulsioni simboliste avrebbero rotto gli argini, che il suo gusto magico, per non dire mistico, avrebbe passato i confini. Che il fiabesco sarebbe diventato fiaba, anzi peggio, apologo. Temevo, e quasi prevedevo, ma non fino a questo punto.

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