RECENSIONI
Herta Müller
Lo sguardo estraneo
Sellerio, Pag. 59 Euro 9,00
La letteratura ha le sue leggi, l'editoria ne ha di più ferree: su questo niente da eccepire.
La letteratura vuole il suo guadagno, l'editoria lo deve avere. Quindi come non capire la ricorsa spasmodica delle case letterarie italiane all'ultimo istant- post- nobel- book e chi più ne ha più ne metta?
Ma Lo sguardo estraneo 'ovvero la vita è una scoreggia in un lampione' di Herta Müller ha veramente poco, a iniziare dalle pagine: solo trentasei. E una scrittura così miniaturizzata da rendere ogni avvenimento, lontano, assiderale e estraneo come lo sguardo che recita il titolo. Ora, parlare non benevolmente, di un Nobel (dell'ultimo per giunta) sembra un esercizio presuntuoso e politicamente scorretto, soprattutto se l'autore l'agognato premio non l'ha vinto solamente per meriti di penna, ma anche come triste ricompensa per aver dovuto subire un destino delittuoso. La scrittrice perseguitata dalla dittatura di Ceausescu e dalla sua Securitate, è fuggita nel 1987 dalla Romania per approdare in Germania. È da questa condizione da esule costretta, da straniera per caso (o destino) che la Müller elabora lo sguardo estraneo in contrapposizione con tutto quello che è invece familiare. Lo sguardo dell'altro viola tutte le regole, infrange la sacralità del quotidiano e tutto pervade e controlla, trasformando a sua volta il controllato in uno spettatore inerme: «ogni millimetro del proprio vissuto deve porsi a confronto col millimetro estraneo registrato dall'osservatore. In colui che si sente minacciato si verifica necessariamente un adeguamento del proprio modo di vivere alla tattica del persecutore".
La cosa migliore del libro è l'analisi di Adriano Sofri, capace di offrire molti spunti, ma non di mettere a salvo le pagine che seguono.
L'autrice scompone freddamente le azioni,così da sciorinare tutto in una somma di fatti, da guardare con il distacco degli anni che intercorrono tra l'infanzia (seppur negata) e la vita adulta, ma queste immagini sbiadite o fedelmente riportate sono incapaci di coinvolgere se slegate alla vita dell'autrice, che poco si preoccupa di coinvolgere il lettore. Posso sentirmi vicino all'infangante destino di Herta Müller, ma la sua narrativa sembra essere prima di tutto un triste spazio di ripiego del maltolto, e così la sua lingua che appare costruita e artificiosa e irrimediabilmente, dall'alto di quel nobel, un poco presuntuosa.
Così, almeno, siamo in due.
di Massimiliano Di Mino
La letteratura vuole il suo guadagno, l'editoria lo deve avere. Quindi come non capire la ricorsa spasmodica delle case letterarie italiane all'ultimo istant- post- nobel- book e chi più ne ha più ne metta?
Ma Lo sguardo estraneo 'ovvero la vita è una scoreggia in un lampione' di Herta Müller ha veramente poco, a iniziare dalle pagine: solo trentasei. E una scrittura così miniaturizzata da rendere ogni avvenimento, lontano, assiderale e estraneo come lo sguardo che recita il titolo. Ora, parlare non benevolmente, di un Nobel (dell'ultimo per giunta) sembra un esercizio presuntuoso e politicamente scorretto, soprattutto se l'autore l'agognato premio non l'ha vinto solamente per meriti di penna, ma anche come triste ricompensa per aver dovuto subire un destino delittuoso. La scrittrice perseguitata dalla dittatura di Ceausescu e dalla sua Securitate, è fuggita nel 1987 dalla Romania per approdare in Germania. È da questa condizione da esule costretta, da straniera per caso (o destino) che la Müller elabora lo sguardo estraneo in contrapposizione con tutto quello che è invece familiare. Lo sguardo dell'altro viola tutte le regole, infrange la sacralità del quotidiano e tutto pervade e controlla, trasformando a sua volta il controllato in uno spettatore inerme: «ogni millimetro del proprio vissuto deve porsi a confronto col millimetro estraneo registrato dall'osservatore. In colui che si sente minacciato si verifica necessariamente un adeguamento del proprio modo di vivere alla tattica del persecutore".
La cosa migliore del libro è l'analisi di Adriano Sofri, capace di offrire molti spunti, ma non di mettere a salvo le pagine che seguono.
L'autrice scompone freddamente le azioni,così da sciorinare tutto in una somma di fatti, da guardare con il distacco degli anni che intercorrono tra l'infanzia (seppur negata) e la vita adulta, ma queste immagini sbiadite o fedelmente riportate sono incapaci di coinvolgere se slegate alla vita dell'autrice, che poco si preoccupa di coinvolgere il lettore. Posso sentirmi vicino all'infangante destino di Herta Müller, ma la sua narrativa sembra essere prima di tutto un triste spazio di ripiego del maltolto, e così la sua lingua che appare costruita e artificiosa e irrimediabilmente, dall'alto di quel nobel, un poco presuntuosa.
Così, almeno, siamo in due.
di Massimiliano Di Mino
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Herta Muller
Il paese delle prugne verdi
Keller editore, Pag.256 Euro 16,00Perché Burroughs e Pavese non hanno vinto il Nobel? E' questo che
dovremmo chiederci col gusto di segnalare preferenze, idee e contrapposizioni del tutto inutili, peraltro)? Herta Muller vince perché fa parte di una cerchia vincente di intellettuali? Andiamo. Personalmente sono contenta: l'autrice della metafora asprigna, al succo di prugne acerbe, ha ottenuto il vitalizio e il riconoscimento dei parrucconi; le auguro un lungo e proficuo,liberatorio, lavoro letterario.
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