Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » Racconti » Andrea

Pagina dei contenuti


RACCONTI

Ersilia Anna Tomoe

Andrea

immagine
Andrea si scaraventò con furia fuori dall'auto, affogando tra i detriti umani, calpestando la sabbia fangosa e la polvere dei ricordi ormai lontani.

Si tuffò nel buio di una notte estiva qualunque, con la testa immersa nel mare grigio, come il suo vomito.

Lei non aveva mai notato, in tutto quel tempo che lo conosceva, una tale portata di energia. Era come se fuggisse da qualcosa, da una fine tanto anonima quanto imminente. La sua.

Una fine a colori con lo sfondo di toni scuri, la loro.

La festa era appena finita. I copioni dismessi e, poi, cancellati. Tutto risaliva a galla: il vino, le sostanze alterate, le collere stantie e il bieco disprezzo. La Ragazza vedeva tutto frammentato nel mare nero che era innanzi ai suoi grandi occhi stanchi, in quella livida notte estiva scandita in tempi annoiati. Aveva ancora, fisso nella testa, l'accento calabrese dei vicini al tavolo, e poi le vocine, le solite sue, che le grattavano le unghie dei piedi, tagliuzzandole mentre Andrea parlava parlava. La Ragazza abbassava il capo, annuiva, poi guardava qualche posto molto molto lontano per meglio prendere un grosso respiro. La Ragazza annuiva sempre quando le cose diventavano case piccole piccole senza fessure in cui potersi insinuare. Poi lui rideva a singhiozzi, ma il suo sorriso pareva essere più un tic isterico che un gesto spontaneo.



Ha lasciato la portiera aperta. Non sono ancora conscia della gravità della situazione. È una delle mie ultime serate allegre, si fa per dire. La peggiore.

Un tonfo improvviso. Mi sporgo dal lato del conducente, lui è in ginocchio su sé stesso, mentre chino si vomita addosso. Sembra an¬cora più piccolo di quello che è, una piccolezza adimensionale, quella più atroce, quella dell'anima, dei sentimenti interrotti.

Assumete le vostre posizioni, secondo i personaggi prestabiliti, siamo all'ultimo atto e all'altrettanto ultimo sforzo per voi altri, spettatori avidi di fine e del solito finale abusato.



In lontananza vedo castelli di carta, lambiti dalle onde, prima impregnarsi, poi afflosciarsi e infine sbriciolarsi. Forse sto già dormendo? Forse sono finalmente sveglia. Tutto ciò si consuma mentre lui, a pochi metri da me, continua a vomitarsi addosso – quasi senza interruzione – tutto lo schifo di un anno trascorso a scopare sé stesso, innamorato da sempre del suo specchio magico e rivelatore. Assisto inerme alla fine di un doppio ometto, tenace e vincente agli occhi del mondo, ma in realtà stabile quanto può esserlo un trapezista ubriaco.



La Ragazza osservava Andrea annegare nel suo vomito, in quell'estate di giovani amanti che tardava ad arrivare e che, forse, non sarebbe mai giunta.



Fa' qualcosa, devi reagire.



Fa' qualcosa, mi dico. Reagisci!

Vorrei lasciarlo lì, è quello che si merita. Ma mi rendo conto che facendolo non avrei nessuna convenienza: le due del mattino e io sono alticcia, lontana dagli affetti reali, con un moribondo svenuto ed un temporale incalzante e per niente rassicurante.



È straordinario come le cose si stiano complicando l'una dietro l'altra e a distanza di pochi minuti, l'una dall'altra. Premonizioni di cui, gentili signori della giuria, terrete sicuramente conto nell'istante preciso della vostra resa personale, perché ogni percorso giunge ad una conclusione che non sempre corrisponde al finale del vostro libro o del vostro film preferito. Molte volte è peggiore di quello che appare, secondo le prospettive russe; per quelle degli esperti la vita non può prescindere dall'angolazione da cui la si vede, per l'appunto. Secondo La Ragazza, l'essenza della stessa risiede nell'alone luminoso ma sbiadito dalle continue assenze.



Continuo a darmi dritte e buoni consigli per tenere testa alla situazione. Cos'altro posso fare? Mi appello a quella parte di me che fatico a scovare, mi ripeto non puoi lasciarlo lì, quel piccolo uomo accasciato sulle sue debolezze che imperterrito nasconde, indottrinato a vivere senza farsi domande.

Ad Andrea bastava questo ed era fin troppo, il massimo che potesse desiderare: godere di una discreta salute, un lavoro soddisfacente ed una solida famiglia alle spalle, amici cari – gli stessi dall'infanzia – sempre pronti a tenerlo in considerazione, infine La Ragazza pronta suo malgrado ad accudirlo.

In poco più di tre righe ho sintetizzato la vita, o meglio il senso della vita, secondo Andrea. E ancora adesso, a distanza di tempo, sento un magone stringermi alla gola, lo stesso che avverto ogni volta, in prossimità d'una grande delusione. Lontananza affettiva e pienezza del vuoto i successivi passi.

Ancora impietrita, sento un rumore provenire non molto lontano dall'auto: è Andrea che batte la testa nella cabina del lido vicino. Lo vedo, stordito, in penombra ricrollare, quasi svenuto. Osservo la scena nell'oscurità, è ancora peggio di prima. Sorrido amaramente.

Andrea, uccidi ma non vuoi morire ed io resto spettatrice di una fine inarrestabile: la nostra.

Fa' qualcosa, qualsiasi cosa! mi ripeto.

... E se muore per davvero?

Il dramma è un altro: rimanersene a respirare nell'inconsapevolezza dell'essere. Mi decido a scendere dall'auto, scalza assaporo quell'istante di vanagloria mentre mi convinco sempre più che l'esistenza è fatta di questo: infinitesimi attimi formano un'intera vita e la rivelazione di questi possono orientare il resto dei tuoi giorni. Le ore puttane e bugiarde non contano perché troppo lunghe, troppo confuse. Meglio affidarsi all'immediatezza dei secondi.

Ora basta.

Ma a chi voglio darla a bere? Non sono La Ragazza, sono solo una qualunque, una provinciale qualunque che raccoglie vomito su di una spiaggia nera e umida. All'improvviso s'alza il vento e la sabbia mi travolge e acceca. Mi bruciano gli occhi e inizio a lacrimare ma non piango, giuro non lo farò adesso, né urlerò per sentirmi meno sola e meno disperata. Tutto è buio intorno ed i miei occhi sono piccole lucciole spente.

Ma dov'è? Dove diavolo è? Si sarà spostato strisciando dalle cabine, eppure ricordo d'averlo visto svenire proprio lì, dall'auto.



Mia cara ragazza, forse sei tu a non essere più qui. Cosa sei? Vento? Onde? Notte senza l'orgasmo della luna all'orizzonte.



Continuo a camminare nella fredda sabbia, mi ferisco con qualcosa e non me ne importa. Devo trovarlo. Devo. Tira vento, la sabbia e la pioggia battente mi trascinano, adesso urlo, urlo parole sconnesse, ferocemente impreco e mi chiedo perché... perché l'amore vero finisce. Perché nessuno fa niente e guarda morire l'altro, anzi lo uccide in una sorta di eutanasia dei sentimenti. Perché.

Andrea, sai dirmelo tu? Dove cazzo sei.

Dov'è la sua stessa auto ne scorgo un'altra avvicinarsi e lampeggiarmi. Sorprendendomi di non avvertire alcuna paura, mantenni il mio stato disperato e continuai nella ricerca di Andrea, nella ricerca dell'amore vero.

Qualcun'altra avrebbe chiesto aiuto. Io no. E poi a quest'ora della notte, in questo posto sperduto e in queste pessime condizioni, chi potrebbe mai soccorrermi? Inoltre, è una questione di principio: devo regolare i conti in sospeso, non scendo più a compromessi. Nella peggiore delle ipotesi puoi contare solo su di te, nella migliore ci sei tu e il tuo buon senso. Si è in due, non è da poco. Scelgo la seconda opzione, come mio solito. Non mi perdo d'animo, scavalco il recinto del lido privato e dopo qualche passo lo trovo sotto uno dei tanti ombrelloni, in ginocchio e con la parte superiore del busto sulla sedia a sdraio. Lo scuoto, gli dò un paio di schiaffi. Apre gli occhi e sussurra con voce flebile "va bene, va tutto bene"

Ecco, come si fa a mentire dinanzi allo sfascio più evidente, giovane Andrea, io ti invidio. Mi metto il suo braccio cadente attorno al collo e cerco lentamente di sollevarlo, senza fare movimenti bruschi. Non dimenticherò mai quella puzza di vomito e tristezza, è come se mi fosse rimasta intrappolata nel naso, stampata nella mente, cicatrizzata nel cuore. Ci incamminiamo verso l'auto tra pioggia fitta, vento violento e speranze distrutte mentre lui continua a ripetere "sto bene, va tutto bene".

Il tuo è un disco rotto, Andrea, rotto proprio come noi.

Ti ricordi quando traboccavi di sogni? Proprio come l'uomo delle stelle, lontano e splendente appeso in quel capovolto cielo costruito con i tuoi colori artificiali. Adesso ti guardo e non ti riconosco, non brilli più, sei finto arcobaleno mai conosciuto. I silenzi mai interrotti e le parole sono nere violenze, macigni depositati nel profondo dell'anima.

Uomo delle stelle, da lassù sai dirmi perché l'amore vero finisce?

Piccolo uomo, cielo senza stelle, vomiti sulla luce. E quanto pesi. Non immaginavo pesassi così tanto, eppure hai una corporatura minuta, esule da qualsiasi tratto di virilità, bambino nel corpo e nella mente che gioca a fare il grande.

Il gioco è finito e adesso non puoi più nasconderti. Mentre trascino la pesantezza di anni passati a fingere ciò che non siamo, canticchio con quel filo di voce che mi resta, ingoiando granelli di sabbia, sale e veleno. Ricordo il grigiore soffocante di quei palazzi tutti uguali e parole di ghiaccio come regalo natalizio. Andrea, per te poco importa se la felicità dei molti fa l'infelicità dei pochi, quei pochi non contano, rimangono ai margini, acrobati menomati e attoniti.

Dunque Andrea, sai dirmi quanto vale la tua felicità?

E la mia quanto vale? Un abbraccio improvviso.

Ti osservo mentre hai la testa poggiata sulla mia spalla. È strano quanto sia fisicamente più grande rispetto al tuo corpicino. Avrei dovuto lasciarti sotto quell'ombrellone a crepare come quel Natale, trascorso da sola nella neve.

Inizio ad urlare quella canzone che mi piace tanto, unica compagna fedele nel mio trapasso.

Non ero molto lontana quando vedo l'auto sconosciuta lampeggiare nuovamente. Finalmente, a piccoli passi e con l'affanno notevole, metto in salvo i pezzi di Andrea nella sua confortevole auto, disteso e confuso rinviene a tratti per dire le solite cose "sto bene, va tutto bene". Poi cade in un sonno profondo. Non ho paura, vorrei averne, vorrei provare qualcosa. Non riesco a piangere, vorrei tanto farlo. Perdo sangue dal piede, tremo come una foglia che sta per morire, tutto è fragile. Inizia a piovere in modo incessante, sempre più forte. La ferita mi brucia, sarà la salsedine o saranno le lacrime che fanno fatica a scivolare sulla guancia. Sono le tre e la tormenta estiva sembra non darmi tregua. Il tempo passa, gli uomini non cambiano. Ho freddo. Balbetto sotto voce per riscaldarmi, per sentire un tono di voce più o meno conosciuto, per ricordarmi che sono lì. Ma cosa mi è successo? Avrei voluto essere ovunque ma non qui. Se questo significa vivere allora voglio distrarmi dalla vita, da questa mediocrità, dalle delusioni prodotte dalla totale assenza di rapporto con le cose. E malgrado i miei buoni propositi, i fallimenti mi affascinano come schifosa falena prigioniera della fioca luce. Avverto un dolore al collo, sarà stato lo sforzo mentre prendevo di peso Andrea, massaggiandomi con la mano le vertebre, mi giro verso destra e tra le ombre e le gocce sul finestrino noto sguardi altri e nuovi. Come un automa, scendo, scalza come prima e grondante sangue, solo qualche passo e il mio corpo si ritrova disteso in quell'auto che prima mi lampeggiava in modo ossessivo...







***********







... Sono quasi le cinque quando nuda come una larva rientro nell'auto di Andrea, beato e accoccolato, avvolto nelle sue deboli sicurezze.

E' ancora lì, non si è accorto di niente né mai lo saprà.

Invidio la sua serenità in cemento ben costruita.

Mi vedo nello specchietto che ho in borsa. C'è una signora sui sessant'anni: il viso smunto incorniciato in capelli radi e grigi, gli occhi rugosi e segnati dalla stanchezza di vivere, la bocca senza denti, arida come un prato d'inverno, il seno cadente non più rifugio d'amore, le mani ruvide e piene di vesciche.

Mi avvicino a fatica su di te e ti sussurro all'orecchio, come se intonassi una nenia, adesso sai dirmi perché l'amore vero finisce?

In quel momento la pioggia cessò. In quel momento soffocai nel pianto, un pianto amaro che sapeva di sangue e disperazione.





Ersilia Anna Tomoe



Ersilia Anna Tomoe applica a ciò che scrive la scienza geometrica delle emozioni e dei corpi, corpi intesi come contenitori fisiologici di tali emozioni.

Ha pubblicato diverse poesie per la casa editrice romana Aletti Editore. L'ultima sua pubblicazione è il racconto 'Aprile' presente nell'antologia Liquidi Inversi, Jota editore, novembre 2011.





CERCA

NEWS

RECENSIONI

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube