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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Enrico Crucco

L'accampamento

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La sera stava scendendo e vicino alle tende, davanti al fossetto, incominciavano ad accendersi le prime torce. Potula era accovacciata sull'erba a gambe incrociate e indossava dei pantaloncini neri. A Stefano piaceva ogni cosa dell'amica: l'orecchino al naso, le gambe nude, l'espressione annoiata, le risate singhiozzanti e la smorfia sul viso ad ogni tirata. Dalla stradina gli uomini lanciavano occhiate alle gambe nude di Potula e Pot lo sapeva. Stefano sbattè sul tacco dell'anfibio il cilum appena finito, per scrollare il fondo. Pulì il cilum con molta cura, quasi volesse lucidarlo, poi lo avvolse in un panno e lo ripose nello zaino.

«Alessio si sarà perso, è come un bambino piccolo e quest'accampamento è pieno di pericoli» disse Stefano.

«È strano che rimanga tanto tempo lontano da noi.»

«Già, si direbbe che non sia capace di pulirsi il culo da solo. È un bambino che non sa badare a se stesso. Avrà trovato da fumare oppure lo hanno rapito.»

Potula rise e la risatina raggiunse un uomo che barcollava nella stradina. L'uomo si rivolse a loro con la solita cantilena dello spacciatore. «Fumo, erba, bonza, paste, crac, acidi freschi, acidi freschissimi... Fumo, erba...»

«Dovremmo spostare la tenda, guarda le amache nel boschetto, mi piacerebbe dondolarmi lì dentro» cinguettò Pot.

Stefano disse: «Non c'è più posto nel boschetto», e dentro di sé bestemmiò di non essere partito prima, il giorno prima della data del raduno perchè voleva che tutto fosse perfetto: aveva una grandiosa ragazza vicino e il suo amico insieme ed era felice e voleva che ogni cosa fosse perfetta.

«Beh, credo che andrò a cercare Alessio» disse Pot.

Stefano disse: «Vado io, tu potresti rimanere qui a controllare la tenda, potresti entrare nella tenda e farti un pisolino prima di scendere in città».

«Credo che porterò il sacco fuori e lo srotolerò qui. Fa troppo caldo in tenda, sarebbe bello avere un'amaca.»

Un cane nero arrivò, leccò i due e si rotolò nell'erba, quindi, con fili di erba sul nero del pelo, andò a pisciare nel fossetto a pochi passi.

«No, credo che farò un pisolino dentro la tenda, non vorrei che qualche cane di questi figli dei fiori mi pisciasse addosso.»

«Qualcuno di questi figli dei fiori potrebbe pisciare sulla tenda scambiandola per il fossetto se non ci sta qualcuno di guardia» osservò Stefano. Pot rise, cambiando posizione sulle gambe. Ad ogni tiro di sigaretta la fronte si corrucciava e aveva delle belle gambe, snelle, proporzionate. Lì vicino un uomo ubriaco con la pelle color terra, misto di sporcizia e di abbronzatura, guardò Pot e si accovacciò sul prato all'indiana con la chitarra e chiese: «Canzone - sigaretta?». Iniziò una canzone dei Rolling Stone e si infilò la sigaretta dietro l'orecchio. Stefano si sentì sollevato quando l'uomo andò ad accollarsi ad una tenda vicina. Lo seguì con lo sguardo: aveva a tracolla la chitarra che penzolava lungo la schiena come una sciabola e l'uomo pareva qualcosa di molto simile ad un pirata dell'Isola del Tesoro.

«Occorre stare attenti agli zaini, quello è un tipico sciacallo.»

«Vai a cercare Alessio, si sarà messo in qualche guaio» disse Potula.

«Sì, è vero a quest'ora lo avranno già violentato: è come una fanciulla ingenua, piena di illusioni.»

Potula rise. La gente si faceva più rada nella stradina all'imbrunire. Era bello sentire ridere Pot e Stefano voleva bene ad Alessio e a Potula. Stefano faceva sempre quello che la sua amica Pot gli diceva di fare, quindi indossò una felpa nera perché era sceso il freschetto e si avviò in mezzo alle figure dell'accampamento, nel crepuscolo, mentre Pot entrò nella tenda, a riposare un po'.

Stefano ritornò, senza Alessio.

«Ho controllato nei fossi, dentro le tende, in mezzo ai cerchi della gente che fumava, alcuni mi hanno offerto da fumare, mi guardavano e mi dicevano: vuoi fumare? Sono tutti gentili, questi figli dei fiori. Mi sono ricreduto, pensavo che fossero solo buoni a picchiare i cani, a scroccare da mangiare e fare gli sciacalli nelle tende. Invece sono maledettamente gentili.»

«Hai passato il tempo a fumare» disse Pot, con aria disillusa e di rimprovero, un po' in apprensione.

«No, davvero, ho cercato ovunque. Lo sai com'è Ale, si fa trascinare, non sa distinguere il bene dal male.»

«Andiamo in città?»

«Andiamo in città. L'accampamento si sta svuotando. C'è il servizio bus gratuito.»

«Credi che sia andato in città?»

«Da solo? Non credo, è più facile che si sia perso.»

Si prepararono, chiusero la tenda, e si avviarono per la stradina polverosa. Si fermarono a bere un bicchiere di vino rosso a millelire. Il bus era stracarico e in un quarto d'ora arrivava in città. Nel bus c'era un'atmosfera d'allegria isterica. I visi delle persone ridevano e ognuno poteva specchiare il proprio stato d'alterazione nelle facce accaldate e tirate e allegre degli altri. Il bus correva dall'accampamento alla città. A piedi si impiegava almeno il doppio o il tripplo.

Le strade della città erano invase dalla festa. La gente saturava le vie principali e ai lati delle strade c'erano grosse e fornite bancarelle sgargianti. Ovunque si sentiva il tamburellare dei bonghi e agli incroci, davanti alla serrande chiuse dei negozi, alcuni gruppi improvvisavano della musica con chitarre elettriche e amplificatori gettati in mezzo alla strada.

Stefano senza pensare a nient'altro era parte della corrente della notte. Facce su facce. La presenza di Pot gli dava un senso di appartenenza a quella corrente ancora più autentico e completo. Pot aveva delle belle cosce, rideva alle sue battutine, gli stringeva il braccio, si appoggiava con la guancia alla sua spalla. Stefano sentiva il calore di Pot e le ore di vita insieme a Pot. Osservò con beatitudine i festaioli drogati e gli sembrarono allegri e immortali.

La festa era al culmine quando Stefano rimase incantato dal suono arrugginito di un amplificatore per un concerto in mezzo alla strada. Quando si voltò Pot non c'era più. Era stata inghiottita dalla corrente della gente. Si guardò un po' intorno, anche nei gruppi sul marciapiede, quando dei vicini di tenda lo salutarono con gli occhi lucidi e grossi sorrisi lo invitarono ad accendere un cilum, appena caricato. Stefano si fermò a fumare con loro, e ogni tanto si guardava intorno, per cercare la figura di Pot nella corrente. La gente nella strada cresceva sempre di più e a quel punto ci si poteva spostare solo lentamente in mezzo alla folla. Impossibile muoversi. Stefano rimase con i vicini di tenda a fumare.

Rientrò verso mezzanotte all'accampamento passando attraverso le tende e le torce e scavalcando gruppi radi di suonatori di flauti e di bonghi e si diresse verso la sua tenda sperando di ritrovare gli amici. Alessio e Potula erano sdraiati in tenda e sorridevano. Stefano si sentì bene. Loro gli chiesero il cilum. Stefano orgogliosamente prese un panno dalla tasca, lo srotolò con cura e ne trasse il suo cilum nuovo e lo preparò.

«Dove sei stato?» chiese Stefano.

Potula rise. «Me lo stava raccontando, avevi ragione tu: è come un bambino, è stato praticamente sequestrato.»

«Da chi, da qualche sciacallo?» si incuriosì Stefano.

«Da una vicina di tenda, prima gli ha fatto dei complimenti, poi visto che lui non riusciva a scrollarsela di dosso gli ha raccontato la storia della sua vita.»

Alessio aveva un bel sorriso, una mandibola perfetta e occhi azzurro- grigi della tonalità che hanno certi minerali che si trovano in montagna.

«Stefano, ci stava provando, non mi lasciava andare via. Era osceno il modo in cui ci provava. Continuava a toccarmi le braccia, a dirmi che ho dei begli occhi. Mi ha offerto da fumare e mi ha fatto stendere sull'amaca.»

«Ma tu hai dei bellissimi occhi» lo canzonò Pot.

«Mi diceva delle cose strane. Si è messa a piangere. Mi diceva che suo marito la picchiava, ma che lei è ancora innamorata di suo marito, gli viene su come il tonno non digerito, una brutta storia. Piangeva per questa storia delle botte, non sapevo come andarmene.»

Pot rideva felice. Il cilum era pronto e Alessio e Potula ridevano e Stefano era felice che fossero di nuovo tutti e tre insieme. Nessuno aveva più un accendino, così Stefano uscì dalla tenda. Vide lo sciacallo canzone – sigaretta farsi avanti con il sorriso furbo. Preferiva offrirgliela, era meglio non avere nemici così. Aveva dimenticato le sigarette e così fece pochi passi e introdusse la testa nella tenda.

Alessio e Pot si staccarono e le due facce lo guardarono.

Fuori, nell'acqua buia e sporca, si rifletteva la luce delle torce.





Enrico Crucco



E' nato nel 1979 a Torino. Vive e lavora a Torino come insegnante di lettere in un istituto professionale. Scrive da alcuni mesi racconti brevi e sta lavorando ad una prima raccolta.











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