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Roma durante l'occupazione nazifascista

Franco Angeli editore, Pag. 446 Euro 35,00
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Questa ricerca, a cura dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza, prende in esame un periodo di tempo ben preciso, quello che va dall'armistizio dell'8 settembre del 1943 al 4 giugno 1944, due giorni dopo l'entrata degli alleati a Roma. Nove mesi di 'passione' dove, come giustamente afferma nel primo contributo Anna Balzarro, la fame, la paura e l'attesa rappresentano le coordinate che scandiscono la vita quotidiana dei romani e di tutto il movimento resistenziale.

E da questo potrebbe già scattare una polemica. E cioè: quanto fu fatto effettivamente per la cacciata dei nazifascisti dalla cittadinanza e dalla molteplicità delle forze antifasciste e quanto la capitale fu debitrice agli angloamericani?

La domanda, a dir la verità, non viene mai posta in questo modo ma, come si suol dire, corre sul filo. Tommaso Baris in 'La ricostruzione dei partiti antifascisti e il Cln' riporta uno scritto di Giorgio Amendola: Si vive nell'attesa del prossimo arrivo degli inglesi; e questa attesa passiva snerva, corrompe, allontana dall'azione e crea anche nelle nostre file una resistenza attesista.

E' da questo 'attendismo' dunque che scaturisce l'episodio più significativo del periodo e che porta ancora con sé uno strascico di polemiche interminabile, e cioè l'attentato di Via Rasella? Secondo Baris parrebbe proprio di sì: In questo contesto il problema del rilancio della presenza dell'antifascismo in una capitale ormai controllata dai tedeschi con il supporto degli apparati polizieschi della Rsi, appariva urgente e irrinunciabile, almeno per i comunisti. La scelta dell'attentato a via Rasella, effettuato dai Gap il 23 marzo del 1944, va pertanto collocata dentro tale prospettiva di riattivizzazione della Resistenza romana.

Roma durante l'occupazione nazifascista proprio perché prende in considerazione un arco di tempo ben preciso e delimitato non è, né vuole rappresentare, l'ulteriore tessera da incastro della questione 'Rasella': c'è molto di più. E' una disamina attenta e a tratti curatissima della multiforme attività di una capitale snodo fondamentale di tutto il conflitto. Basti pensare all'iniziativa di Pio XII per rendere Roma 'città aperta' (in cui si vietava il transito di forze militari, ad esclusione di quelle di mero controllo, e soprattutto s'invitava le forze in gioco a non bombardarla) e sulla cui richiesta poi s'innesta altra polemica: quanto di quella proposta era dettata da meri interessi economici della Santa Sede e quanto fosse ispirata invece dalla reale attenzione del pontefice per le sorti di una popolazione a lui molto cara?

Bella la parte dedicata allo studio della vita quotidiana dei romani: dalla fatica, spesso improba, per il procacciamento di un minimo di cibo per sopravvivere (si dimentica spesso l'eccidio del Ponte dell'Industria dove, dopo un assalto ad un forno, furono trudicate dieci donne) alle dimostrazioni di coraggio di singoli cittadini nell'accogliere disertori, fascisti allo sbando e soprattutto ebrei.

Pensiamo alla temerarietà della manifestazione degli studenti del 16 aprile del '44 presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, celebrata in ricordo di tre professori uccisi alle Fosse Ardeatine o al costante impegno delle parrocchie e dei conventi per l'accoglienza degli ebrei fuggiti ai rastrellamenti.

Non sfugge a questa analisi dettagliata lo studio delle strutture e delle forme dell'amministrazione tedesca, l'osservazione degli uomini e delle politiche del Partito fascista repubblicano e soprattutto la disamina dell'azione della Questura nella città occupata e delle polizie politiche (non escludendo il ricorso che queste facevano a 'corpi' impazziti, a squadre speciali come le famigerate Banda Koch e Banda Perrone che seminarono terrore e morte nella cittadinanza).

Insomma, quel che si dice un lavorone di squadra questo saggio. Che si lascia dietro una considerazione finale (che non rientra negli aspetti dello studio, ma che viene 'toccata'). E cioè: perché un partito, quello fascista, che almeno a Roma poco prima dell'arrivo degli alleati, veniva ormai utilizzato dai tedeschi per portare doni ai bambini e organizzare spettacoli per le truppe e che aveva perso qualsiasi iniziativa e funzione realmente politica, nella costruzione poi del nuovo assetto democratico mantiene, in più parti, uomini e posizioni di un certo prestigio?

Possibile mai che nel 1960, dopo appena 15 anni dalla fine della guerra e della battaglia contro i fascisti, ci si ritrova un governo repubblicano a guida Scelba con l'appoggio degli stessi fascisti di allora? Qualcuno mi risponda. Non mi par di chiedere troppo. O forse sì?





di Alfredo Ronci


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