CLASSICI
Alfredo Ronci
Un esordio potente e silente: “Non ora, non qui” di Erri De Luca.
Questo è il tempo in cui in televisione si fa casino. Uno sproloquiare di insulti e di maldicenze. Curioso che in questo bailamme ogni tanto c’è qualcuno che dica qualcosa di giusto e non fazioso senza prendersela con qualcuno o con qualcosa. E questo qualcuno si chiama, nonostante tutto, Erri De Luca.
Personaggio quasi insolito, quasi mesto ma non modesto che, grazie alla sua cultura e al suo modo di approcciarsi agli altri, determina quasi una distanza tra sé e chi lo circonda, che so, anche e soprattutto chi lo intervista.
Personalmente, quando ho deciso di trattare il suo romanzo d’esordio che, nel titolo, l’ho intitolato potente e silente (non è una contraddizione), mi sono andato a rivedere (strano, perché non lo faccio mai) le sue foto su Internet. Tranne qualche vecchia immagine, il resto è dominato da questo viso vissuto (molto), ma nello stesso tempo giovanile. Quasi infantile. E poi ci sono anche un paio di foto dove De Luca si esercita nell’arte dello scalare. Non lo avrei mai immaginato, ma questo fa il doppio con quello che finora è stato detto.
Quando uscì Non ora, non qui ci fu un certo riscontro, per alcuni un grande evento, per altri un romanzo da tenere in considerazione. Raffaele La Capria, anni dopo, in occasione della ristampa del libro da parte di Feltrinelli, disse: Questo breve e intenso primo libro di Erri De Luca porta già impressi in ogni frase – mi sembra – i segni di un vero scrittore: un tono di voce che appena si coglie diventa inconfondibile, e la integrità di uno sguardo che sa mettere nel giusto fuoco i pensieri e i sentimenti. Qui la memoria non è consolazione, ma è un dramma, e il tempo gioca un suo gioco crudele stabilendo distanze insormontabili tra chi narra e la vicenda del proprio racconto.
E La Capria continua ancora, facendo di questo piccolo romanzo un oggetto di assoluta e trasparente immediatezza. Un romanzo che è una specie di viaggio nel passato, dico una specie perché, come dice appunto La Capria, la memoria non è consolazione, ma è un dramma.
Lo si capisce sin dall’inizio, che poi non è l’inizio della storia, quando la sua famiglia deve abbandonare Napoli… Non parlavamo napoletano. I genitori si difendevano dalla povertà e dall’ambiente con l’italiano.
E poi c’è tutto il resto che non lo distinguiamo con tanti altri reperti letterari della nostra conoscenza: che so, un padre, un fratello, un nonno (Non credetti mai che fosse morto. Da bambino la voce “morte” significava un tenersi in disparte, non farsi vedere, un insistere volontario nell’assenza) lui stesso, percorso da sottili sfumature intellettuali (Solo da adulto risalii le generazioni. Da bambino non ammettevo il passato).
E poi c’è lei, la madre. Anni fa, non si sa per quali motivi precisi, fu pubblicato da noi in prima edizione, il diario che Roland Barthes conservò dopo la morte della madre (andatevelo a rileggere: Dove lei non è). I segmenti, i pensieri dolenti, le immagini che compongono Journal de deuil (perdonatemi, ma lo preferisco alla traduzione), che ricordano i frammenti della poesia greca, girano attorno, essenzialmente, a tre concetti: il lutto appunto, la presunta libertà dalla 'prigione di un rapporto (con sfumature contraddittorie) e il valore terapeutico della scrittura.
Ovviamente nel libro non c’è l’elaborazione del lutto (perché, nonostante gli anni-, la madre non muore) e non c’è (forse) la presunta libertà dalla prigione di un rapporto, c’è invece il valore indistinguibile della scrittura, dell’essere dentro la storia nonostante tutto.
Scrive De Luca: Guardo la tua faccia: tu guardi. Strano che in strada tu posi lo sguardo su qualcosa. Stai fissando l’autobus. Sei già scesa dal marciapiede, ma tieni i piedi uniti, non stai cercando di attraversare. Sembra che ti sia fermata di colpo. Non ci sono vetture in arrivo. Una luce forte filtra bianca e densa, forse da nuvole alte. Che non sia più fotografia lo capisco dal naso.
Qualcuno dirà: cosa si deve pensare di un simile brano? Nonostante non succeda nulla, c’è tutta la madre di De Luca, la sua, la nostra. Con il valore della scrittura.
L’edizione da noi considerata è:
Erri De Luca
Non ora, non qui
Universale Economica Feltrinelli
Personaggio quasi insolito, quasi mesto ma non modesto che, grazie alla sua cultura e al suo modo di approcciarsi agli altri, determina quasi una distanza tra sé e chi lo circonda, che so, anche e soprattutto chi lo intervista.
Personalmente, quando ho deciso di trattare il suo romanzo d’esordio che, nel titolo, l’ho intitolato potente e silente (non è una contraddizione), mi sono andato a rivedere (strano, perché non lo faccio mai) le sue foto su Internet. Tranne qualche vecchia immagine, il resto è dominato da questo viso vissuto (molto), ma nello stesso tempo giovanile. Quasi infantile. E poi ci sono anche un paio di foto dove De Luca si esercita nell’arte dello scalare. Non lo avrei mai immaginato, ma questo fa il doppio con quello che finora è stato detto.
Quando uscì Non ora, non qui ci fu un certo riscontro, per alcuni un grande evento, per altri un romanzo da tenere in considerazione. Raffaele La Capria, anni dopo, in occasione della ristampa del libro da parte di Feltrinelli, disse: Questo breve e intenso primo libro di Erri De Luca porta già impressi in ogni frase – mi sembra – i segni di un vero scrittore: un tono di voce che appena si coglie diventa inconfondibile, e la integrità di uno sguardo che sa mettere nel giusto fuoco i pensieri e i sentimenti. Qui la memoria non è consolazione, ma è un dramma, e il tempo gioca un suo gioco crudele stabilendo distanze insormontabili tra chi narra e la vicenda del proprio racconto.
E La Capria continua ancora, facendo di questo piccolo romanzo un oggetto di assoluta e trasparente immediatezza. Un romanzo che è una specie di viaggio nel passato, dico una specie perché, come dice appunto La Capria, la memoria non è consolazione, ma è un dramma.
Lo si capisce sin dall’inizio, che poi non è l’inizio della storia, quando la sua famiglia deve abbandonare Napoli… Non parlavamo napoletano. I genitori si difendevano dalla povertà e dall’ambiente con l’italiano.
E poi c’è tutto il resto che non lo distinguiamo con tanti altri reperti letterari della nostra conoscenza: che so, un padre, un fratello, un nonno (Non credetti mai che fosse morto. Da bambino la voce “morte” significava un tenersi in disparte, non farsi vedere, un insistere volontario nell’assenza) lui stesso, percorso da sottili sfumature intellettuali (Solo da adulto risalii le generazioni. Da bambino non ammettevo il passato).
E poi c’è lei, la madre. Anni fa, non si sa per quali motivi precisi, fu pubblicato da noi in prima edizione, il diario che Roland Barthes conservò dopo la morte della madre (andatevelo a rileggere: Dove lei non è). I segmenti, i pensieri dolenti, le immagini che compongono Journal de deuil (perdonatemi, ma lo preferisco alla traduzione), che ricordano i frammenti della poesia greca, girano attorno, essenzialmente, a tre concetti: il lutto appunto, la presunta libertà dalla 'prigione di un rapporto (con sfumature contraddittorie) e il valore terapeutico della scrittura.
Ovviamente nel libro non c’è l’elaborazione del lutto (perché, nonostante gli anni-, la madre non muore) e non c’è (forse) la presunta libertà dalla prigione di un rapporto, c’è invece il valore indistinguibile della scrittura, dell’essere dentro la storia nonostante tutto.
Scrive De Luca: Guardo la tua faccia: tu guardi. Strano che in strada tu posi lo sguardo su qualcosa. Stai fissando l’autobus. Sei già scesa dal marciapiede, ma tieni i piedi uniti, non stai cercando di attraversare. Sembra che ti sia fermata di colpo. Non ci sono vetture in arrivo. Una luce forte filtra bianca e densa, forse da nuvole alte. Che non sia più fotografia lo capisco dal naso.
Qualcuno dirà: cosa si deve pensare di un simile brano? Nonostante non succeda nulla, c’è tutta la madre di De Luca, la sua, la nostra. Con il valore della scrittura.
L’edizione da noi considerata è:
Erri De Luca
Non ora, non qui
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