Attualità
Esordio della collana 'La nave dei folli'. O di ciò che è essenziale.
Allora, oggi dovremo fare un discorso che, se non è esattamente commerciale e consumista, si colloca però con saldezza nell'ambito di queste due svariate categorie: certamente le considera come premesse. In fondo questo discorso mira a decidere cosa sia meglio commerciare e consumare.
Sarà evidente, innanzitutto, che commerciare e consumare rientrano nel novero di quelle azioni definibili come belle, nel senso propriamente estetico di gesto bello: gesto bello possibile se,
La scuola. Ancora un De Profundis.
Filippo La Porta, nell'introduzione a un volumetto di scrittori-insegnanti sulla scuola, Consiglio di Classe, uscito da poco per Ediesse, scrive che "Non si ragiona abbastanza sul conflitto che si è formato tra la scuola e la società (come si è andato configurando nell'ultimo decennio)".
Ora, la maggioranza dei critici (lo dico in senso lato, visto che un senso proprio oggi non si vede, includendovi nominalmente recensori, promoter di ex-terze pagine e via di seguito)
Er Sor Costanzo
La nomina a direttore del Giallo Mondadori di Maurizio Costanzo ha suscitato un vespaio di polemiche, considerando che per far posto a lui hanno letteralmente defenestrato Alan D. Altieri, scrittore coi fiocchi, persona integerrima e, considerazione di non poco conto, molto più esperto dell'anchorman televisivo di gialli e di noir.
Allo schifo non c'è mai fine. Ma era davvero necessario fare una cosa del genere e dimostrare ancora una volta ai lettori italiani che è solo il potere che conta in questo paese di merda e non la competenza? Al Costanzo abbiamo sentito il bisogno di dedicargli un'ode in rima baciata. Come i baci ai rospi.
Aprite le finestre, che esce la paranoia ed entra il crealismo
Se dovessimo sempre parlare soltanto delle piccole cose di casa nostra, si potrebbe anche finire soffocati. Allora, non per tralasciare certi discorsi intrapresi in forma interinale su queste pagine, ma per riguardarli con la freschezza di chi ha appena aperto le finestre e fatto entrare un po' d'aria, vorrei presentarvi questo crealismo.
Qui da noi, pare, vige come stato di fatto che la letteratura debba passare per cosa piuttosto vieta. Abbiamo anche visto come lo stato di fatto poggi, ovviamente, su una verità, ossia che, come ha affermato Ferrari,
Citando Dalla. La letteratura gay come la musica andina: che noia mortale!
Lo confesso: non ho visto A single man, il film di Tom Ford tratto dall'omonimo romanzo di Christopher Isherwood, ma mi chiedo da dove il regista-stilista abbia preso spunto per realizzare la scena (mandata in onda in una trasmissione televisiva) in cui il protagonista s'aggiusta più volte sul letto per trovare una posizione comoda per poi spararsi in bocca. Mistero delle trasposizioni cinematografiche.
Perché A single man, il romanzo (tempestivamente riapparso in libreria per i tipi Adelphi),
Quando l'unico senso sta nella ricerca del senso.
Non mi capita quasi mai di parlare di pittura. Primo perché non sono un esperto né un critico d'arte. Poi perché quella contemporanea mi lascia totalmente indifferente. Il trionfo dell'astrattismo fine a se stesso e auto-celebrativo di questi tempi fa venir voglia di premiare i disegni dei bambini delle elementari, almeno ci mettono il cuore. Caso completamente a parte, almeno per la pittura italiana, è quello di Franco Ferrari.
Premetto una cosa. Non si può leggere un articolo sui quadri (ancora più che di musica senza ascoltarla ad esempio) senza averli visti.
La megalomania, o di una prospettiva letteraria.
Quando si afferma che una casa editrice può esimersi dal pubblicare letteratura, che in fondo è un concetto effimero e non catalogabile, e si aggiunge che chi, come Giulio Einaudi, elaborando un piano culturale che accordava certa preminenza proprio alla produzione di storie forti, altro non dava che segni di megalomania, si è detto qualcosa che non si può, o forse non si deve approvare, ma su cui vale la pena di riflettere, non fosse altro che perché rappresenta uno stato di fatto: in Italia, negli ultimi trenta anni, si è diffusa una certa tendenza a non produrre e consumare queste storie forti, a non elaborare e godere di metafore essenziali:
Che brutta gente! Viva il Grande Fratello!
Catodicamente recidivo. Ecco come mi definirei. Perché non si spiega il mio attaccamento ad una trasmissione come Che tempo che fa. Dico sempre (e l'ho scritto anche qua sopra, più di qualche volta) che alimenta il mio astio nei confronti della cultura in genere (detesto la Maria Goretti dei suggerimenti editoriali, tale Giovanna Zucconi che farebbe meglio a rivolgersi ad un hair-stylist coi coglioni prima di uscire di casa, ma, ad essere sinceri, ha fatto opera buona e meritoria nell'ultima puntata presentando Bruno Schulz), anche se a tratti, grazie al meteorologo Luca Mercalli,
Ma quelli dell'Accademia della Crusca non scopano?
Recentemente un concorrente del Grande Fratello (si dirà: ma ti vedi il Grande Fratello? La risposta è sì, ma non rivelerò mai, nemmeno sotto tortura, perché lo faccio) ha pronunciato la seguente espressione: ti voglio vivere. Qualcuno al di fuori della casa ha commentato che si tratta di un vero e proprio neologismo e che l'Accademia della Crusca avrebbe dovuto riflettere sull'accaduto.
Ora, l'appunto riportato dimostra la perfetta ignoranza di chi crede che una frase usatissima possa passare per un costrutto originale
Autobiografia di una repubblica: gli italiani e l'arte dell'auto-assoluzione.
Che quella italiana sia un'anomalia, è convinzione diffusa. Che sia un'anomalia di cui essere orgogliosi, ahimé anche, sebbene questo sia poco detto da un certo genere di 'intellettuali', sconosciuto a un pubblico internazionale per il semplice fatto che è incline meno allo studio che al trombonesco cazzeggio giornalistico. Gli editorialisti che fiancheggiano, orientano, giustificano il peggio dell'italica stirpe lo fanno nei modi democristiani che hanno fatto scuola, dissimulando poco onestamente e sparando contro il fantasma del comunismo – tralascio i Feltri perché allo schifo non si comanda.
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