I Classici
Un libro che non finisce mai di far discutere: 'Deviazione' di Luce D'Eramo.
Ricordo ancora con sgomento quando, in occasione della nuova edizione del libro, una nota informativa Mondadori scriveva che era in libreria la ristampa di Deiezione.
Chissà, ma mi viene da pensare ad un clamoroso lapsus dettato dall'esalazione che questo romanzo ha sempre emesso. A Roma si direbbe, cambiando totalmente espressione: un cagnaccio.
Verrebbe voglia, tutt'oggi, di dividersi nella valutazione, ed odiarlo, come nello stesso tempo amarlo.
Un simpatico e pazzerello futurista: Bruno Corra con 'Sam Dunn è morto'.
Dice Corra in una successiva ristampa al romanzo che uscì in prima edizione nel 1915: Questo che io ristampo, dunque, vuol essere semplicemente un racconto inconsueto, il quale si propone solo (bando alle tendenze, alle scoperte e alle rivelazioni!) d'interessare un pubblico ristretto di amatori del bizzarro.
Nonostante l'invito ad ignorare la 'moda' Corra appartiene di diritto alla corrente futurista, almeno fino a tutti gli anni venti (in seguito divenne autore di successo di romanzi di grosso richiamo),
Vita morte e miracoli di un uomo modesto: 'Memolo' di Enrico Emanuelli.
Titolo del pezzo (e sottotitolo del romanzo) già di per sé ossimorico: perché non t'aspetteresti da un uomo dimesso qualcosa che assomigli vagamente ad un miracolo, ad un tentativo di 'creare' un miracolo. Ed infatti nel personaggio di Emanuelli nulla fa pensare ad una soluzione del genere, perché l'aspirazione della persona rimane quella di diventare un pacifico abitatore d'una casetta, in aperta campagna, probabilmente sopra un poggio, da cui tra 'l filare di viti si fosse intravveduto il piano digradare lento, con un variar continuo di tinte sino a farsi azzurro e confondersi con l'aria.
Essere o non essere? Questo il problema di Gian Dàuli: 'La cabala bianca'.
Non è facile interpretare al meglio il titolo di questo fluviale ed onirico romanzo di Gian Dàuli. Escluderei la ritualistica ebraica e tutto ciò che ad essa è collegato. Mi parrebbe di più dar senso ad una condizione figurata del termine: tipo... fregatura. Dice infatti il protagonista, Carlo Filippo Valvai: Chi sei? Dove vai? Spiegami la vita! Spiegami la morte! Spiegami l'infinto! Cabala Bianca! Povero titolo che non dice nulla e che vorrebbe dir tutto. Pur tuttavia, è questa la storia vera della mia esistenza.
L'isola che non c'è: 'La spiaggia d'oro' di Raffaello Brignetti.
Ci si chiedeva qualcosa, e anche a proposito del Premio Strega, per Un gatto attraversa la strada di Giovanni Comisso: lì c'erano quadretti ben lontani dall'urgenza autobiografica dell'autore (su quale base si sceglie un candidato e poi un vincitore? Bella domanda). Qui, a proposito de La spiaggia d'oro, cosa può aver convinto i giurati ad assegnare il premio (1974) ad un romanzo di complessità metaforica e distante persino da una visione fiabesca della vita?
Un romanzo curioso di un uomo moderno: 'Purità' di Mario Mariani.
S'intenda 'purità' per purezza, ovvio. Ma Mariani che era uomo attento e anche un po' fumino, specifica nelle gustosissime note finali di questa edizione, che chiamerà 'comento', perché io non ho il coraggio futurista di foggiare il vocabolo postfazione, che Purità è soprattutto un sogno.
E vediamo di che tipo.
Trama che appare (anche ad una seconda lettura) succedanea alla letteratura d'appendice:
Cogli l'attimo, sembra voler dire. E ha colto l'eternità: 'Il mondo è una prigione' di Guglielmo Petroni.
Curioso come l'autore voglia determinare i fatti con estrema precisione e voler suggerire 'un cogli l'attimo' come se quello successivo potesse influire sulla memoria. Non si spiegherebbe l'affanno di Petroni di determinare la nascita di questo piccolo e straordinario libro.
Dice nella post-fazione dopo che su alcuni testi e articoli di giornale era apparsa la nota che l'anno di ideazione di Il mondo è una prigione fosse il 1949:
Per travisar discorsi: 'La cosa buffa' di Giuseppe Berto.
Ha ragione il titolo: si è scelto La cosa buffa (invece chessò, Il male oscuro o l'altro successone Il cielo è rosso), non per la nostra solita sicumera di distanziarsi dal prevedibile, ma per un breve viaggio tout-court nell'arte bertiana per travisar discorsi (e perché comunque il romanzo è riuscito). Discorsi che non sono quelli lappa palle dell'identificazione ideologica del personaggio (che si farebbe notte: ma dunque era fascista? Ma per i fascisti era comunista? Era un traditore? Era cattolico o no?)
Insisto su un grande scrittore (e un grande libro): 'Le figlie inquiete' di Ugo Facco de Lagarda.
Rimane un mistero perché Calvino, Vittorini, Cassola, Pavese e Fenoglio (tanto per citarne alcuni) sì e Facco de Lagarda no. Non mi spiego l'oblio che è caduto su uno scrittore straordinario che, se non fosse per un improvviso bagliore di lucidità di Ettore Scola che nel 1969 realizzò il film Il commissario Pepe, tratto da un suo bellissimo romanzo, rimarrebbe sconosciuto ai più ed ignorato dalla critica 'militante'.
Consolatorio o problematico? Direi subdolo: 'La cieca di Sorrento' di Francesco Mastriani.
Ne Il processo Kafka scrive: "No" disse il sacerdote "non si deve credere che tutto è vero, si deve credere soltanto che tutto è necessario". "Malinconica opinione" commentò K. "Così della menzogna si fa una norma universale".
Perché della 'panzana' vado a cercar padri putativi? Perché tutto si è detto e scritto sull'arte del Francesco Mastriani, e soprattutto del suo più famoso romanzo La cieca di Sorrento (1852), tranne che all'apice del senso ultimo di questo vi sia la bugia. E grossa pure come una casa.
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