Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » Archivio » Interviste » Alessandro Bertante

Pagina dei contenuti


INTERVISTE

Alessandro Bertante

immagine
Sorge davvero spontanea la domanda: ma perché proprio la guerra civile spagnola?



La Guerra Civile Spagnola riassume tragicamente tutte le grandi pulsioni politiche e ideali del Novecento. È un periodo formidabile dal punto di vista letterario: vi è l'insurrezione, il sogno, la caduta e la tremenda sconfitta. Durante quei tre anni tormentati si perde definitivamente la speranza di una rivoluzione sociale non veicolata dal totalitarismo stalinista e contemporaneamente le dittature nazifasciste svelano i propri piani egemonici, testando il proprio arsenale militare. Alla fine degli anni Trenta, in Spagna la storia corre a perdifiato.



Prima Carlotto che con 'La terra della mia anima' racconta la storia del malavitoso comunista Beniamino Rossini. Poi Luigi Balocchi che con 'Il diavolo custode' ci narra del bandito Sante che si fa beffa anche della polizia fascista. Ora te con Errico Nebbiascura anarchico che combatte nella guerra civile spagnola. Che la lettera italiana, attraverso i ritratti di 'eroi' mancati, voglia sostituirsi ad una stanca politica che non offre più nessuna sorta di appiglio ideologico?



Certo in questo periodo i percorsi umani marginali possono diventare vicende esemplari anche per una sorta di virtuoso paragone con il presente, stanco e immobile. Ma non c'è solo quello. L'individuo che si erge come singola volontà contro l'ingiustizia è un archetipo letterario sempre esistito. Riporta a una visione epica del divenire umano, che non si rassegna. Si trova in tutti i periodi storici. La novità forse sta in una nuova risolutezza degli autori italiani ad affrontare il mito, senza mediazioni post moderne o architetture intellettuali che ne smorzino la forza evocativa.

Per quanto riguarda il bel romanzo di Balocchi c'è poi una vicinanza tematica e geografica che andrebbe approfondita. Secondo me non è casuale e nasce dal tentativo, probabilmente disperato, di riproporre in chiave storico allegorica una idea di Padania operaia, contadina, socialista e insurrezionale oramai perduta, annichilita da un presente di medietà borghese che vede nel berlusconismo e nel leghismo i suoi principali, sebbene non unici, rappresentanti.



A pag. 141 del libro scrivi: Sapevano anche che il fascismo, in tutte le sue forme, non è mai una roba da sottovalutare, specie quando c'è una borghesia ricca e rancorosa... Che ti devo dire, a me pare un discorso molto attuale...



Molto attuale e si ricollega a quello che scrivevo prima. Ma l'atteggiamento da porsi secondo me deve essere quello dell'analisi storica diacronica: uno sguardo che sappia interpretare con lucidità le trasformazioni culturali e politiche degli ultimi trent'anni, senza farsi annebbiare dal populismo o dalla retorica piagnona che forse sono peggio del male che si vuole curare.



Cito di nuovo dal libro: Il qui presente Errico Nebbiascura, che scrive queste pagine perché non si perda la memoria di una vita... Mi chiedo se sia solo una questione di una vita , o qualcosa di più grande.



Errico è un personaggio archetipo, come tutte le figure letterarie. Riassume le pulsioni di un secolo impazzito. C'è senz'altro qualcosa di più grande dietro le sue scelte, qualcosa che lui vive in modo istintivo e non sempre consapevole.. Un tempo lo chiamavano "Sol dell'avvenir", adesso francamente non saprei.



Non mi va di fare pistolotti politici, ma a pag. 159 del libro, il protagonista ricordando un po' gli anni venti e facendo una sorta di riassunto pensa: Cosa era successo in quindici anni ai comunisti? Non so rispondervi. Erano tempi troppo veloci. Me lo chiedo pure io: negli ultimi quindici anni che cazzo è successo ai comunisti italiani? Sempre che la cosa ti interessi e tu ce lo voglia dire.



Questo è un punto fondamentale. Mi sono sempre chiesto che fine avessero fatto durante il fascismo tutte quelle centinaia di migliaia di militanti socialisti e comunisti che fino a pochi anni prima credevano possibile e prossima una rivoluzione sociale in Italia. Coloro che non si sono allineati alla dittatura hanno vissuto come degli esuli in patria. Come Errico. In Italia ci si abitua a tutto, temo. I comunisti italiani hanno fatto la stessa cosa in seguito alle numerose sconfitte del dopoguerra. Ma è anche una questione di paradossi e di false coscienze.



Nel 2007, quindi un anno prima del profluvio commemorativo, hai scritto 'Contro il '68'. Perchè?



False coscienze appunto. Il Sessantotto è stato un anno importantissimo. Il vero sintomo - attenzione sintomo non causa - di una modernizzazione culturale in atto. Il mito del Sessantotto invece ha avuto un effetto consolatorio con il quale l'intellighenzia borghese delle grandi città ha tenuto sotto tutela le spinte eversive, naturali e salvifiche, delle generazioni successive, compresa la mia. Negli anni Settanta abbiamo assistito a una sorta di tragica recita, durante il quale l'unico sconfitto è stato il conflitto di classe, devastando l'immaginario rivoluzionario degli ultimi trent'anni. E questo vuoto immaginifico è stato presidiato dalla sottocultura commerciale delle Tv private di Silvio Berlusconi, non a caso piene zeppe di quadri dirigenziali formatisi durante la contestazione. La svolta politica è stata una ovvia conseguenza.



Antonio Scurati ne 'La letteratura dell'inesperienza' dice: oggi la nostra letteratura, con buona pace di Marx, è generalmente priva di un contenuto... ciò che manca è quella "elementare universalità dei contenuti" che caratterizzava il neorealismo italiano del dopoguerra. Della serie finché c'è guerra c'è speranza. Tu che hai scritto un libro sul valore dell'impegno politico in qualche modo sembri venirgli incontro. O invece la letteratura è giusto che racconti tutto quello che c'è da raccontare?



Penso che la questione della mancanza di esperienza in letteratura sia ora centrale. La narrativa degli ultimi vent'anni ha visto il definitivo svilimento del romanzo di formazione. Le storie raccontate sono genericamente prive di sguardo sociale, si fermano a particolarismi, soggettivismi, alla descrizione di esistenze risibili e consuetudinarie, spettacolarizzate nella loro banalità, la cosa più rassicurante che esista. Questo in epoche più conflittuali non poteva succedere. C'era più carne al fuoco, c'erano urgenze. Lo stesso genere – noir, thriller, hard boiler - segna il passo, dopo l'illusione che potesse rappresentare senza retorica le dinamiche sociali in divenire. A mio avviso il compito dello scrittore ora è di creare delle grandi storie che, in modo diretto o allegorico, riescano a raccontare un mondo profondamente cambiato. Ma bisogna avere il coraggio di prendere posizione, affrontando a viso aperto i nodi irrisolti della contemporaneità.



Il libro che hai sul comodino.



Stella del mattino di Wu Ming 4.





CERCA

NEWS

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube