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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Alessio Ponzio

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La questione è annosa, ma in questo caso val la pena ritornarci: ma davvero il ventennio fascista è tutto da buttare oppure, al di là della tragedia e del dolore inflitti agli italiani, qualcosa è pur sempre salvabile? E' chiaro che stiamo parlando di 'dettagli': penso, per esempio, al bel saggio di Robert N. Proctor ('La guerra di Hitler al cancro' – Bollati Boringhieri) dove si documentava lo sforzo della Germania di Hitler nel condurre la più intelligente campagna di informazione contro i tumori.



Alcune iniziative prese dal regime fascista (ONMI, colonie elioterapiche, attività fisica giovanile ecc.) ebbero una funzione essenziale nell'Italia degli anni '20 e '30. Favorirono sicuramente un miglioramento delle condizioni fisiche, igieniche e sanitarie degli Italiani. Tuttavia credo che ogni scelta fatta dal regime debba essere letta e interpretata alla luce dell'ideologia fascista. Prendersi cura dei giovani, garantire la salute delle madri e dei figli non possono essere considerati degli atti di magnanimità di Mussolini e del suo entourage. Erano un modo per dare corpo alla "nuova Italia", per accrescerne la forza lavoro, ma, soprattutto, per garantire al paese un numero crescente di combattenti sani, forti e fascisti.



Già nel 1926, quando l'Opera Nazionale Balilla subentrava all'Enef (Ente Nazionale Educazione Fisica), lo scopo principale era quello di (e cito): preparare la nazione ad una eventuale guerra futura, evitando che degli italiani potessero trovarsi nuovamente a dovere affrontare le difficoltà cui erano andati incontro nel corso della Grande guerra. Insomma... altro che preparazione fisica...



Uno degli scopi della preparazione ginnico-sportiva era garantire dei soldati all'Italia. Ma ciò non fu una prerogativa dell'Italia fascista. Già nell'Italia liberale la ginnastica, anche se praticata in modo molto limitato, era stata una ginnastica per lo più di tipo militare. E anche in altri paesi l'educazione ginnico-sportiva aveva avuto come obiettivo ultimo la creazione del "soldato". Ginnastica e guerra nell'Europa di fine '800 e inizio '900 procedevano una al fianco dell'altra. L'ONB realizzò concretamente quello che fino ad allora era stato un mero progetto, dando però all'attività fisica giovanile un orientamento politico totalmente nuovo.



Secondo Mussolini la forza della nazione risiedeva nella forza demografica. Ecco che affida le sorti di quella che lei chiama 'medicina politica' al medico pugliese Nicola Pende. Che portò avanti il discorso sulla 'eugenica ambientale' e sulla 'bonifica costituzionale'. Considerando che si era a cavallo tra gli anni '20 e gli anni '30 è possibile che nelle tesi di Pende fossero già contenute anticipazioni delle future decisioni in materia di discriminazioni, dal momento che lo stesso medico firmò nel 1938 il famigerato 'Manifesto della razza'?



Nicola Pende era convinto che tutti potessero migliorare. Puntando alla quantità, alla crescita numerica del popolo italiano, il medico barese cercò di "salvare" tutti, senza gettare via nulla. Egli era convinto di poter contribuire alla grandezza del paese "sanando" i malati, i deformi e le persone socialmente poco utili. Le concezioni teoriche di Pende sarebbero divenute, nel tempo, fonte di ispirazione per il futuro razzismo fascista.



C'è un punto nel suo saggio che mi ha sorpreso: quando la Chiesa tentò di 'entrare' nelle dinamiche dell'Accademia Farnesina proponendo la sistemazione di una cappella al suo interno (ma solo per le donne!). Il duce, secondo quanto lei afferma, era tendenzialmente favorevole, ma chiese il definitivo parere di Ricci, l'allora responsabile dell'Opera Nazionale Balilla. Ma davvero in quel periodo Ricci era così influente?



Dalla mia analisi risulta chiaramente come Ricci considerasse l'Accademia una sua "creatura". Il duce non si occupò in prima persona dell'organizzazione dell'istituto. Lasciò tutto nelle mani del ras di Carrara. Si fidava, molto probabilmente, delle sue scelte e delle sue decisioni. Per questo cercò di non esprimere, anche in tale specifica situazione, un parere dissonante da quello di Ricci conformandosi a quanto da lui stabilito.



Quando furono introdotte le leggi razziali nel 1938, cambiarono inevitabilmente anche le procedure e i requisiti per l'ammissione all'Accademia. Tra l'altro veniva chiesto un certificato attestante l'appartenenza alla razza ariana italiana. Alcuni accademisti furono allontanati. Ma si sa qualcosa di quelli che già lavoravano da tempo?



La mia è stata una ricerca complessa e faticosa. Sin dal primo giorno mi è stato detto che non avrei trovato nulla negli archivi a proposito dell'Accademia del Foro Mussolini. Tutti sostenevano che i documenti erano andati distrutti o perduti. Ma la costanza e la tenacia sono state premiate. Ciò che ho trovato è frutto di anni di analisi. Molti punti però, nonostante i miei sforzi, sono rimasti oscuri. Soprattutto riguardo alle epurazioni che fecero seguito alle leggi razziali. Se al momento dell'entrata in vigore di tali provvedimenti i ragazzi ebrei che frequentavano i corsi furono allontanati, è probabile che una sorte analoga sia toccata ai diplomati dell'Accademia "non ariani" allora in servizio. Tuttavia non sono riuscito a reperire delle fonti che confermino tale supposizione.



Credo che solo nell'ottobre del 1937 fu chiaro il progetto dell'Accademia, quando cioè il partito fascista comunicò che i segretari federali e comunali del PNF dovessero assumere il comando dei comitati locali della Gioventù italiana littoria. Come a dire che nulla più doveva sfuggire alle alte sfere.



Francamente credo che la funzione dell'Accademia fosse chiara già a partire dal 1933 grazie al testo unico sugli Istituti superiori con ordinamento speciale. Dunque ben prima del passaggio dall'ONB alla GIL.



Considerando che la lotta per il 'controllo' della gioventù fu spesso all'ultimo sangue ... penso ai successivi cambi di gestione all'interno della struttura (dall'Opera Nazionale Balilla alla Gioventù Italiana Littoria, allo stesso Partito fascista), mi chiedo con quale spirito Pio XI e poi anche Pio XII pensarono di contrastare questa egemonia proponendo il modello dell'Azione cattolica?



A mio parere la Chiesa era convinta che prima o poi il regime sarebbe finito. Il Vaticano, a parte le crisi del 1931 e del 1938, cercò di evitare momenti di tensione. Tentò di non mettere in pericolo i propri i giovani e di salvaguardare la propria attività formativa, convinto che, una volta caduto il regime, i ragazzi cresciuti nell'Azione Cattolica avrebbero svolto un ruolo di primo piano nell'Italia liberata. Cosa che poi avvenne.





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