INTERVISTE
Angelo Petrella
La prima domanda è provocatoria. Nel tuo romanzo si parla di camorra. Qualcuno dirà: ancora??! Lo hai scritto per un'esigenza personale o per correre dietro alla 'moda'?
Il capitolo relativo al rapporto camorra/letteratura è antico, basti ricordare la figura del "guappo" tra Ottocento e Novecento nella poesia di Salvatore Di Giacomo o nel teatro di Raffaele Viviani. Detto questo, è indubbio che il tema "camorra" sia risorto per merito dell'ottimo libro di Roberto Saviano, uscito nel 2006. Il lavoro di documentazione e scalettatura de La città perfetta è in ogni caso cominciato molto prima, verso la fine del 2005.
A proposito sempre di camorra. A pag. 389 del libro leggo: La camorra lo sai meglio di me come funziona: nasce tra i poveri per tenere sotto controllo altri poveri... E' solo questo?
E' molto di più, ma nasce senz'altro da questo: precisamente, nasce come delega che lo Stato concede a taluni gruppi per la gestione dei quartieri popolari, altrimenti ingovernabili. Là dove tutto manca - lavoro, servizi, strutture e infrastrutture - i più arroganti si attribuiscono pieni poteri. Ma il tumore che infesta un corpo sano sarebbe semplice da debellare, anche solo tramite la repressione: il problema è che il tumore camorristico crea ben presto una vera e propria sottocultura che attecchisce in particolare sulle nuove generazioni.
Nel tuo romanzo da una parte ci sono i camorristi e gli uomini dello Stato collusi e dall'altra dei giovani terroristi che non esitano ad uccidere. Ma dov'è la parte buona della società?
La narrativa noir non può offrire immagini manichee o consolatorie. Per generare quel senso di spaesamento nel lettore devi necessariamente negargli ogni speranza, devi ricordargli costantemente che la letteratura non muta il mondo: è il lettore che può autonomamente decidere di farlo. In ogni caso, alcuni personaggi del libro come Betta, Boris, Improta o il padre di Chimicone... mi sembrano tutt'altro che negativi.
Lo so che questa domanda può sembrare antipatica e poco popolare, ma personalmente mi sono rotto le palle di sentire Saviano che un giorno sì e l'altro no dice che vuole andare via dall'Italia. Lo facesse e basta no?
La domanda mi sembra mal posta. Ognuno è libero di dire o fare quello che crede, nel rispetto degli altri. Tu cosa faresti se a trent'anni fossi costretto a lasciare il tuo paese perché qualcuno vuole ucciderti?
Credo che mi sentirei come Saviano, ma la smetterei di dire che vado via ogni volta mi si presenta l'occasione... Ho riscontrato nel tuo romanzo analogie con le storie di un grande del noir americano: James Ellroy. C'azzecca come direbbe Di Pietro?
Mi imbarazzi... Ellroy è un maestro ed essere paragonato a lui è come accostare un bicchiere di Sambuca a una bottiglia di Lagavulin. Anyway, sì, è il primo autore che mi viene in mente alla domanda "cos'è il noir?" o "quali scrittori leggi?".
'La città perfetta' è certo un titolo provocatorio, ma la nascita e la crescita di un giovane camorrista come Sanguetta dà l'idea di una perfetta e riuscita carriera...
Sì, come anche le carriere dell'aspirante rivoluzionario Chimicone e dello sbirro della Digos L'Americano. Quel momento storico da me narrato, gli anni dal 1988 al 1993, costituiscono il buco più grande nel tessuto sociale napoletano e italiano: un contesto perfetto affinché gli arrampicatori sociali di ogni specie vi si fiondassero a capofitto. Il fatto che anche Chimicone, l'unico portatore di un ideale inizialmente "sano", sia alla fine anche lui un arrivista, decreta lo scacco di tutto il nostro sistema sociale.
Tu hai pubblicato precedenti romanzi con editori più piccoli. Come ti è sembrato il salto con un nome importante come Garzanti?
Bellissimo e che a volte dà le vertigini. Ma il lavoro di scrittore resta quello, anzi, forse è più duro perché ti senti in obbligo di confermare te stesso continuamente e di non "sgarrare" mai (ma questa di sicuro è una mia patologia personale...)
Cosa hai a che spartire con altri autori che recentemente hanno parlato di Napoli e della camorra? Mi riferisco a Longo ('Dieci' – Adelphi) e Carrino ('Acqua storta' – Meridiano Zero).
Sicuramente lo stile, aderente alle cose e "basso-materiale", per dirla con Bachtin. L'unica differenza è che Andrej e Luigi utilizzano il dialetto, io prediligo una lingua basata sulla sintassi del napoletano - così spiazzante, così immediata - e contaminata dall'italiano gergale di strada. Non a caso ne La città perfetta ci sono molteplici omaggi all'hip hop.
Un libro che recentemente ti ha entusiasmato.
Eh eh... Te ne cito due: Una testa mozzata di Irvine Welsh. Il suo traduttore italiano è un genio. Ho riso dall'inizio alla fine. E poi Nel nome di Ishmael di Giuseppe Genna: non conoscevo nulla di lui. L'ho letto pochi giorni fa d'un fiato, l'ho riletto, poi gli ho inviato una email. Ora siamo amici.
Il capitolo relativo al rapporto camorra/letteratura è antico, basti ricordare la figura del "guappo" tra Ottocento e Novecento nella poesia di Salvatore Di Giacomo o nel teatro di Raffaele Viviani. Detto questo, è indubbio che il tema "camorra" sia risorto per merito dell'ottimo libro di Roberto Saviano, uscito nel 2006. Il lavoro di documentazione e scalettatura de La città perfetta è in ogni caso cominciato molto prima, verso la fine del 2005.
A proposito sempre di camorra. A pag. 389 del libro leggo: La camorra lo sai meglio di me come funziona: nasce tra i poveri per tenere sotto controllo altri poveri... E' solo questo?
E' molto di più, ma nasce senz'altro da questo: precisamente, nasce come delega che lo Stato concede a taluni gruppi per la gestione dei quartieri popolari, altrimenti ingovernabili. Là dove tutto manca - lavoro, servizi, strutture e infrastrutture - i più arroganti si attribuiscono pieni poteri. Ma il tumore che infesta un corpo sano sarebbe semplice da debellare, anche solo tramite la repressione: il problema è che il tumore camorristico crea ben presto una vera e propria sottocultura che attecchisce in particolare sulle nuove generazioni.
Nel tuo romanzo da una parte ci sono i camorristi e gli uomini dello Stato collusi e dall'altra dei giovani terroristi che non esitano ad uccidere. Ma dov'è la parte buona della società?
La narrativa noir non può offrire immagini manichee o consolatorie. Per generare quel senso di spaesamento nel lettore devi necessariamente negargli ogni speranza, devi ricordargli costantemente che la letteratura non muta il mondo: è il lettore che può autonomamente decidere di farlo. In ogni caso, alcuni personaggi del libro come Betta, Boris, Improta o il padre di Chimicone... mi sembrano tutt'altro che negativi.
Lo so che questa domanda può sembrare antipatica e poco popolare, ma personalmente mi sono rotto le palle di sentire Saviano che un giorno sì e l'altro no dice che vuole andare via dall'Italia. Lo facesse e basta no?
La domanda mi sembra mal posta. Ognuno è libero di dire o fare quello che crede, nel rispetto degli altri. Tu cosa faresti se a trent'anni fossi costretto a lasciare il tuo paese perché qualcuno vuole ucciderti?
Credo che mi sentirei come Saviano, ma la smetterei di dire che vado via ogni volta mi si presenta l'occasione... Ho riscontrato nel tuo romanzo analogie con le storie di un grande del noir americano: James Ellroy. C'azzecca come direbbe Di Pietro?
Mi imbarazzi... Ellroy è un maestro ed essere paragonato a lui è come accostare un bicchiere di Sambuca a una bottiglia di Lagavulin. Anyway, sì, è il primo autore che mi viene in mente alla domanda "cos'è il noir?" o "quali scrittori leggi?".
'La città perfetta' è certo un titolo provocatorio, ma la nascita e la crescita di un giovane camorrista come Sanguetta dà l'idea di una perfetta e riuscita carriera...
Sì, come anche le carriere dell'aspirante rivoluzionario Chimicone e dello sbirro della Digos L'Americano. Quel momento storico da me narrato, gli anni dal 1988 al 1993, costituiscono il buco più grande nel tessuto sociale napoletano e italiano: un contesto perfetto affinché gli arrampicatori sociali di ogni specie vi si fiondassero a capofitto. Il fatto che anche Chimicone, l'unico portatore di un ideale inizialmente "sano", sia alla fine anche lui un arrivista, decreta lo scacco di tutto il nostro sistema sociale.
Tu hai pubblicato precedenti romanzi con editori più piccoli. Come ti è sembrato il salto con un nome importante come Garzanti?
Bellissimo e che a volte dà le vertigini. Ma il lavoro di scrittore resta quello, anzi, forse è più duro perché ti senti in obbligo di confermare te stesso continuamente e di non "sgarrare" mai (ma questa di sicuro è una mia patologia personale...)
Cosa hai a che spartire con altri autori che recentemente hanno parlato di Napoli e della camorra? Mi riferisco a Longo ('Dieci' – Adelphi) e Carrino ('Acqua storta' – Meridiano Zero).
Sicuramente lo stile, aderente alle cose e "basso-materiale", per dirla con Bachtin. L'unica differenza è che Andrej e Luigi utilizzano il dialetto, io prediligo una lingua basata sulla sintassi del napoletano - così spiazzante, così immediata - e contaminata dall'italiano gergale di strada. Non a caso ne La città perfetta ci sono molteplici omaggi all'hip hop.
Un libro che recentemente ti ha entusiasmato.
Eh eh... Te ne cito due: Una testa mozzata di Irvine Welsh. Il suo traduttore italiano è un genio. Ho riso dall'inizio alla fine. E poi Nel nome di Ishmael di Giuseppe Genna: non conoscevo nulla di lui. L'ho letto pochi giorni fa d'un fiato, l'ho riletto, poi gli ho inviato una email. Ora siamo amici.
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