CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Chi la fa l’aspetti. Malia di Massimo Ranieri.
Non tutti sanno che il Massimo nazionale ha realizzato negli ultimi anni alcuni dei più gioviali e sentiti album di sempre.
Non li cito tutti e nemmeno riporto dei brani significativi, ma non per difetto o perché sono un bullo di periferia, ma solo perché l’insieme dell’operazione andava presa in toto… e su questo si era d’accordo tutti.
Ora abbiamo Malia, che sembra continuare il discorso dei precedenti dischi. Qui addirittura si va sul sottile, Napoli 1950-1960 e l’apporto musicale di mostri del settore: Rava, Di Battista, Marcotulli, Fioravanti e Bagnoli. Più l’apporto costruttivo ed insostituibile di Mauro Pagani.
Allora tutto bene? Anzi, di bene in meglio?
Al contrario.
Personalmente riesco solo a sentire Massimo Ranieri, vederlo mi crea una sorta di irritazione che scompare solo quando lui si da.
Troppo teatrale, troppo di parte, troppo alto, se solo la parola avesse un qualche significato.
Ascoltarlo invece crea una sorta di riconoscimento che lo fa apparire buono, anzi, ottimo alle orecchie di chi invece non ha avuto modo e maniera di gustarlo dal vivo.
Ma Malia, secondo me, è come vederlo in televisione. Tutto perfetto, tutto programmato, tutto alto (vorrei vedere, con tutta quella gente che suona!) ma tutto troppo pompato e soprattutto meno coerente e preciso delle precedenti avventure.
Tu vuò fa l’americano, Luna caprese, Resta cu’mme, Doce doce, Anema e core, tanto per riportare alcuni brani, sono eloquenti e arrangiati alla perfezione, ma non regalano nessuna emozione.
Anche Ranieri è bravo, alto, ma troppo per poter in qualche modo creare una sorta di contatto con l’ascoltatore.
Perché poi i musicisti jazz sono grandi, ma la loro grandezza li espone ad un riconoscimento che sottrae fascino e dolcezza al tutto.
Dunque… bravo Ranieri, bravi i capoccioni musicisti, bravo Mauro Pagani… e 6+.
Anzi 6- e tutto quello che ci suggerisce.
Non li cito tutti e nemmeno riporto dei brani significativi, ma non per difetto o perché sono un bullo di periferia, ma solo perché l’insieme dell’operazione andava presa in toto… e su questo si era d’accordo tutti.
Ora abbiamo Malia, che sembra continuare il discorso dei precedenti dischi. Qui addirittura si va sul sottile, Napoli 1950-1960 e l’apporto musicale di mostri del settore: Rava, Di Battista, Marcotulli, Fioravanti e Bagnoli. Più l’apporto costruttivo ed insostituibile di Mauro Pagani.
Allora tutto bene? Anzi, di bene in meglio?
Al contrario.
Personalmente riesco solo a sentire Massimo Ranieri, vederlo mi crea una sorta di irritazione che scompare solo quando lui si da.
Troppo teatrale, troppo di parte, troppo alto, se solo la parola avesse un qualche significato.
Ascoltarlo invece crea una sorta di riconoscimento che lo fa apparire buono, anzi, ottimo alle orecchie di chi invece non ha avuto modo e maniera di gustarlo dal vivo.
Ma Malia, secondo me, è come vederlo in televisione. Tutto perfetto, tutto programmato, tutto alto (vorrei vedere, con tutta quella gente che suona!) ma tutto troppo pompato e soprattutto meno coerente e preciso delle precedenti avventure.
Tu vuò fa l’americano, Luna caprese, Resta cu’mme, Doce doce, Anema e core, tanto per riportare alcuni brani, sono eloquenti e arrangiati alla perfezione, ma non regalano nessuna emozione.
Anche Ranieri è bravo, alto, ma troppo per poter in qualche modo creare una sorta di contatto con l’ascoltatore.
Perché poi i musicisti jazz sono grandi, ma la loro grandezza li espone ad un riconoscimento che sottrae fascino e dolcezza al tutto.
Dunque… bravo Ranieri, bravi i capoccioni musicisti, bravo Mauro Pagani… e 6+.
Anzi 6- e tutto quello che ci suggerisce.
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