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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

David Calvo

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Per prima cosa parlaci un po' di te e delle tue esperienze letterarie.



Ho sempre scritto. A 20 anni ho avuto la possibilità di pubblicare un primo romanzo e da allora non ho mai smesso di farlo. Cerco di sperimentare molteplicità di forme, dalla letteratura ai fumetti ai video giochi. Mi sono impegnato ben presto in una forma di lotta un po' naif per restituire un posto all'invisibile in una società che ha riempito tutti i nostri spazi vuoti. Col tempo mi sono radicalizzato.



Hai avuto già contatti con editori italiani o siamo noi i primi a tradurti?



Voi siete i primi. Ho dei contatti, adoro l'Italia, ho bisogno di esserci. Ma è difficile perché sono pubblicato da un piccolo editore, in Francia, e il mio lavoro interessa poche persone. Vorrei rivolgermi all'Europa, ma non ho un agente. E' la fortuna e la sfortuna di essere indipendente. Si è liberi ma si è invisibili.



Nel tuo racconto ci sembra di scorgere influenze che vanno da Kerouac fino a Gibson.



Gibson sì, certamente. Ho cominciato a leggerlo quando ero molto giovane, era qualcosa di unico, essere cyberpunk negli anni '80, essere depositario di un segreto, del futuro. Avevo 16 anni e vivevo in un mondo parallelo, attraverso la letteratura, attraverso il gioco di ruolo cyberpunk di Talsorian, ma anche attraverso i video giochi, i MUDS e MUSHes (1), gli occhiali a specchio(2), tutta l'informatica nascente, le tracce verdi sullo schermo. Ora il cyberpunk è solo una moda del passato, un futuro al contrario. Nel frattempo sono cresciuto,sono diventato un autore del XXI secolo, ma Gibson è rimasto. Il suo fraseggio, il suo freddo humour, la sua distanza. Credo che costituisca la mia influenza maggiore, non smetterò mai di leggerlo e rileggerlo ed evolvermi con lui. Divido con Kerouac o Hunter Thompson una volontà di fare una letteratura immediata, poco riflessiva, istintiva e rapida. Amo la densità, la concisione.



Il personaggio del tuo racconto potrebbe ricordare i "Doya-gai" (senza fissa dimora) che spesso incontriamo nelle pagine di Gibson?



Ambient otaku è nato durante un periodo della mia vita in cui vivevo in un cartone e la mia unica cosa un pc portatile. E' un racconto autobiografico anche se personalmente non ho mai ucciso nessuno. Ne sono uscito moltiplicandomi. Il virtuale mi ha salvato. L'idea di dare accesso illimitato alla rete ai disgraziati, qualunque essi siano, dai senza fissa dimora ai disoccupati agli abitanti del terzo mondo, è la sola fantascienza speculativa che difendo, in termine di tecnologia. Un pensiero che sarebbe capace di disfarsi del materiale per abbracciare l'astratto. Contemplare, non più godere, è qualche cosa che al di là delle rivoluzioni, delle ideologie, potrebbe offrire una soluzione ai nostri problemi di spazio. E' difficile affrancarsi dai fattori organici, bisogna sopravvivere ed è impossibile debellare le carestie con un pixel, ma trovando un equilibrio, un va e viene tra l'astratto e il reale, si potrebbe forse trasformare l'Occidente, riapprendere una responsabilità, un'umiltà per correggere i propri errori. La tragedia sarebbe quella di duplicare gli errori nel virtuale, ancora e di più, e di perdere quel vantaggio di cui oggi noi beneficiamo.



Recentemente hai affermato che non sei un fan della fantasy, come hanno sostenuto alcuni biografi che tu detesti. Insomma chi ti ha affibbiato questa etichetta?



No, non è vero, io non detesto la fantasy. Ci sono cose che adoro, Jonathan Caroll, James Stottard, il Silmarillion. Alcuni mondi della fantasy, nel gioco di ruolo o nei video giochi, come per esempio Tribe 8, sono ancora tra i momenti che preferisco in assoluto. Credo che quel che scrivo sia più vicino alla fantasy che alla fantascienza – l'idea che sta dietro la scienza più importante della scienza stessa o alle sue applicazioni. Far decollare le persone con i sogni di luce piuttosto che con le fibre ottiche. Fare Internet coi post-it. Quel che detesto è quel che si è fatto della fantasy in Francia. Una succursale, invece della possibilità di far emergere un vero immaginario europeo. La Francia soffre di un eccessivo razionalismo ed è quello che la rende arrogante e sterile. In Francia la gente detesta l'immaginario perché non è mai stato pubblicizzato. Non conosciamo che le iterazioni anglosassoni e noi replichiamo quegli schermi senza comprendere, solo per una necessità commerciale. E' a questo che io ho voltato le spalle, a tutta questa deriva fantastica stomachevole, autoreferenziale dal cinismo spaventoso.



Sappiamo che ami la musica elettronica. Hai avute esperienze dirette?



La musica elettronica me la porto dentro da sempre, prima ancora che fosse catalogata come musica elettronica. Viene dai video giochi probabilmente ed è la sola verità culturale. Poi ho scoperto il rock indipendente e più tardi l'elettronica pura. Sono dei paesaggi prima ancora di essere dei brani perché personalmente ho sempre ragionato in termini di paesaggi. Ho ancora in testa il momento in cui la musica elettronica ha cessato di essere un semplice suono di gruppo per diventare la tessitura del mio pensiero. E' stato un momento importante e in un certo qual modo Ambient otaku è una dichiarazione di intenti: un autismo ambientale, il tentativo di uscire da un ripiegamento in un universo virtuale per reintegrare la realtà e adattarvi le cose viste, ascoltate ed apprese nel pixel per sviluppare un nuovo rapporto col mondo dove ogni piccola cosa, il minimo suono, la minima forma, il minimo gesto diventino componente di un mondo sentito, una realtà soggettiva in perpetuo movimento, nella quale ci si può perdere di nuovo.



Vorremmo sapere se conosci il testo di Baudry "La pornographie" e le sue immagini o altri testi di teorici del sesso nell'età di Internet.



Non leggo teorie. Per me la sessualità virtuale non ha nessun interesse. Il virtuale deve essere un'estensione dell'immaginario umano, della vita stessa. Non è un palliativo. Non si deve andare in rete per fare cose che si possono fare tutti i giorni nel mondo reale. Adoro il virtuale, lo vivo spesso, ma non ci scopo.





(1)MUSHes sta per Multi User Shared Hallucination e MUDs per Multi User Dungeons

(2)Si riferisce all'antologia cyberpunk Mirrorshades (in Italia a cura di Daniele Brolli e Antonio Caronia – I Grandi Tascabili Bompiani - 1994).





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