RACCONTI
Fabio Zuffanti
Doppia immagine
Lui è in piedi e le giura che cambierà. Lei è seduta sul letto e non gli crede. Lui le dice che non può pensare di non starle accanto per sempre. Lei gli rimprovera di avere vissuto, negli ultimi sei mesi, accanto a un'altra. Lui ammette il suo errore e le giura che da ora in poi tutto sarà diverso. Lei non dice nulla, si alza ed esce dalla camera. Lui le urla di ascoltarlo. Lei si chiude a chiave in bagno.
Lui si dirige verso il bagno e comincia a prendere a pugni la porta. Lei piangendo gli dice di andarsene. Lui torna in camera, si siede sul letto e comincia a singhiozzare, e mentre singhiozza ripete che non può vivere senza lei, che cambierà, che torneranno a stare bene. Lei gli grida che se la voleva così tanto poteva pensarci prima. Lui si rialza di scatto, rabbioso, torna verso il bagno, ricomincia a prendere a pugni la porta implorandola di uscire, dicendole che le spiegherà tutto. Lei resta in silenzio. Lui cade in ginocchio, singhiozza con le mani intrecciate, come se pregasse, e chiede perdono mentre batte ripetutamente la testa sul legno della porta. Lei ricomincia a piangere forte e gli dice che stava cominciando a farsi una ragione del suo abbandono, che il suo ritorno la getta di nuovo nella confusione, che deve smettere di torturarla. Lui non riesce altro che biascicare la parola 'perdonami' mentre batte col capo sul legno. Lei sbraita che non c'è nessun perdono, che se ne deve andare e non farsi vedere mai più.
Sopraggiungono lunghi istanti di silenzio da parte di entrambi. Si avverte solo il rintocco del vecchio orologio a pendolo, una volta proprietà della nonna di lui.
È passato del tempo. Lei lo chiama piano. Lui non risponde. Lei pronuncia il suo nome un po' più forte. Lui rimane muto. Lei si alza dalla tazza del water con il coperchio chiuso e si avvicina alla porta, vi appoggia l'orecchio e cerca di captare qualche suono proveniente dalla casa. Tutto tace. Lei lo chiama ancora, a voce più alta, senza ricevere risposta. Poi gira la chiave nella toppa e tocca la maniglia.
Apre la porta, la luce bassa del pomeriggio inoltrato illumina fiocamente le stanze, negli angoli più nascosti cominciano ad apparire chiazze di tenebra. Lo chiama senza ricevere risposta, la voce esausta e avvizzita che risuona tra i muri pare quella di un vecchio sacco vuoto. Fa il giro dell'appartamento continuando a chiamarlo, lo cerca ovunque, e a ogni minuto in più che trascorre in sua assenza si sente affogare nell'angoscia. Guarda dietro le tende, sposta le poltrone, butta all'aria i cuscini del divano, apre i cassetti della cucina, rovescia le posate, getta dal lavello piatti e bicchieri. Come una furia si reca in camera da letto, strappa le lenzuola, prende a calci il materasso, apre l'armadio e scaraventa tutti i vestiti per terra. E intanto lo chiama ancora e ancora, con la voce sempre più devastata dal pianto e dalla disperazione. E nel mentre gli giura che lo perdona, che lo rivuole, che non può pensare di non vivergli accanto per sempre. Poi si accascia stremata sul pavimento, tra i gli abiti che giacciono inermi come animali morti.
Svuotata di tutte le lacrime che aveva in corpo poi tace, resta sdraiata, respira profondamente e singhiozza. Lentamente il respiro si placa e il pianto cessa.
La casa ricade nel silenzio. Si avverte solo il lieve rumore del traffico che penetra dalle finestre chiuse, qualcuno grida qualcosa, un nome ripetuto più volte, poi smette.
È passato del tempo. Un suono attutito sta accarezzando la coltre di quiete ai confini della notte. Lei si alza in piedi a fatica, come se avesse dormito per secoli. La casa ora è immersa nel buio, ma lei non accende la luce, ha paura che questa possa trafiggere in maniera troppo violenta il suo stato d'animo. Procede così all'interno della casa aiutata solo dal chiaro di luna che penetra dalle finestre. Si asciuga le lacrime, si soffia il naso con una maglietta buttata a terra con il resto dei vestiti e si dirige verso il bagno. Prova ad aprire la porta ma questa è chiusa a chiave. Appoggia l'orecchio, il flebile suono che proviene dall'interno è un gemito. Chiama il nome di lui. Silenzio. Lo chiama ancora a voce più alta. Lui finalmente risponde con un sussurro che sembra doversi spezzare da un momento all'altro. La prega di lasciarlo in pace. Lei prende il pomello, lo scuote e gli supplica di aprire, di lasciarla spiegare. Lui alza il tono della voce e le dice che è tutto inutile, che non la perdonerà mai. Lei sull'orlo delle lacrime gli giura che cambierà, che farà di tutto per riconquistare la sua fiducia. Lui le grida di smetterla e di tornare dal suo amante, quello per il quale lo ha abbandonato sei mesi prima. Lei prende pugni la porta e gli strilla che non c'è più nessun amante, che c'è solo lui, ed è con lui che vuole condividere il resto della sua esistenza. Lui riprende a sussurrarle ferocemente di andarsene, di non farsi vedere mai più. Lei cade in ginocchio e con la testa batte sul legno della porta, singhiozzando non riesce altro che biascicare la parola 'perdonami'.
È passato del tempo. Il vecchio orologio a pendolo batte il terzo rintocco.
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