CINEMA E MUSICA
Francesco Tromba
Electronic Frames: live report Mit Sabato 9 giugno Roma.
Sabato 9 giugno è la serata clou del M.I.T., festival di musica elettronica che si svolge da tre anni a questa parte all'Auditorium Parco della Musica di Roma. La line-up propone nomi interessanti, alcuni molto famosi, quasi storici come Afrika Bambaataa, Squarepusher, Mouse on Mars; altri sulla cresta dell'onda come James Blake, Sebastian Tellier, Ghostpoet o giovani appena saliti alla ribalta come Brandt Brauer Frick ed Herva.
Si parte subito forte con Afrika Bambaataa nella Cavea (lo spazio esterno dell'Auditorium) che inizia il suo dj set con musica nera remixata e ricodificata in base al suo stile in bilico tra hip hop, electro funk e break beat. Nelle seconda metà del set Afrika Bambaataa aggiunge anche musica italiana con la colonna sonora diIl buono, il brutto e il cattivo di Ennio Morricone e "Andamento Lento" di Tullio De Piscopo, sorprendendo il pubblico e dimostrando che molti brani, anche i più insospettabili, possono entrare a far parte della musica black. Ma quello che il dj newyorkese del Bronx vuole dimostrare è che tutte le culture possono avere un punto d'incontro che dal suo punto di vista è la musica.
Seconda stella a salire sul palco è Squarepusher che si presenta con una maschera da saldatore con la visiera illuminata di bianco. Il sound che contraddistingue l'artista gallese è una drum 'n bass più acida e più noise, tanto da essere ribattezzata drill 'n bass. La prima metà dell'esibizione è sullo stile Aphex Twin, più ballabile e più visionaria mentre nell'ultima parte il suono si fa più profondo e molto più rumoroso, quasi disturba in alcuni tratti. Quando Squarepusher prende in mano il basso inizia un altro concerto, più sperimentale e maggiormente avanguardista e perciò più difficile da seguire per il pubblico. Può piacere o non piacere, sta di fatto che è poco fruibile per la maggior parte degli ascoltatori perché il rumore è sovrano. Tutto ciò però non dura molto solo due brani e si ritorna a sonorità più morbide.
Fra Squarepusher e il dj set di James Blake ho ritenuto opportuno spostarmi nel foyer Petrassi dove Dukwa, Spinoff ed Herva si sono esibiti a turno. Il talento di quest'ultimo è sembrato evidente, soprattutto rispetto agli altri due. Herva 19enne fiorentino ha una poetica molto particolare e semplice al tempo stesso, creando un suono soul-elettronico-mentale, intimo e davvero personale oltre che fresco. La classe c'è e si nota perché è cristallina, il tempo è dalla sua parte e tra qualche anno sentiremo parlare di lui come una stella dell'elettronica.
James Blake nel 2011 ha dimostrato di essere un artista innovativo e rivoluzionario nel mondo dell'elettronica. Il suo album James Blake ha messo d'accordo tutti i critici consacrandolo come piccolo genio. Purtroppo è solo un dj set ma il ragazzo ha stile, il suono ipnotizza ed affascina l'ascoltatore, lasciandolo spiazzato ed attonito. Le manipolazioni di samples e il dubstep leggero sullo sfondo creano la magia, questa musica non si balla ma si ascolta ed entra dentro, nel profondo, fotografa la nebbia delle città inglesi e le file di villette di mattoni scuri con il camino. Ne viene fuori un'immagine sfocata ma che colpisce e rimane fissa nella mente.
Da mezzanotte aprono le sale e i concerti si susseguono in contemporanea. Bisogna prendere una decisione: stare fermo in una sala o muoversi da una sala all'altra per vedere un po' di tutto. Decido di rimanere in una singola sala per assistere alle esibizioni dall'inizio alla fine, per capirle bene evitando la fruizione alla youtube passando da un artista all'altro in maniera un po' superficiale. Scelgo la sala "Teatro Studio" dove si alterneranno RocketNumberNine, Ghostpoet e Brandt Brauer Frick.
RocketNumberNine è un duo londinese composto dai fratelli Tom (tastiere) e Ben Page (batteria). Il loro nome nasce da una canzone di Sun Ra "Rocket number nine take off for the planet Venus" e proprio dalle idee del musicista santone-alieno prende corpo lo stile dei fratelli Page. È un elettronica psichedelica con uno sfondo jazz, con una potenzialità visuale molto alta. Peccato le videoproiezioni siano praticamente assenti o solo pubblicitarie e fuori tema. Ma il mood è intrigante e coinvolgente, si può ballare ma si può anche ascoltare, è un suono che ammalia così tanto che persino Thom Yorke, leader dei Radiohead, li ha voluti per aprire il concerto della sua band a New York. Un incontro fondamentale per il duo inglese è stato quello con Four Tet, grande sperimentatore e stregone del suono che ha contribuito alla poetica e all'espressività dei RocketNumberNine.
Dopo il viaggio spaziale con i fratelli Page si ritorna sulla terra con Ghostpoet. Il suo stile crepuscolare crea una figura al limite tra il poeta ed il rapper, figure che sono tenute insieme da una musica fra il post dubstep e il garage britannico. Sound ombroso, scuro e difficilmente decifrabile, da fantasma che sembra palesarsi nei fraseggi minimal rap dell'artista inglese e che richiama alla mente un altro grande poeta della periferia newyorkese, Gil Scott Heron. Il ragazzo di Coventry ha uno stile molto personale e può piacere anche a chi non ama il rap e l'hip hop come il sottoscritto. Il suo disco d'esordio Peanut Butter & Melancholy Jam è stato apprezzato dalla critica e potrebbe preannunciare la nascita di un nuovo artista dei suburb inglesi.
Brandt Brauer Frick è un trio tedesco che mischia la techno agli strumenti classici come pianoforte, archi e fiati. Nel loro ultimo album Mr. Machine questo mix di classico e moderno crea una dicotomia interessante e riporta alla luce il contrasto tra l'uomo e la macchina, tra l'analogico e il digitale, tra l'uomo e il robot, temi che avevano già proposto i loro connazionali Kraftwerk in passato. Nella loro esibizione al Mit però non si portano dietro strumenti analogici ma solo tastiere, mixer e synth. Il risultato è diverso dall'album ma è comunque musica di alta qualità. Negli intro si intuisce la loro formazione classica tramite il tocco della tastiera. L'energia che trasmette la loro musica farebbe ballare anche uno scheletro, è techno ma più raffinata e più colta. È come se sullo sfondo ci fosse tutta la tradizione musicale occidentale rivestita in forma diversa, vicina allo stile dub-techno.
Il M.I.T. è un appuntamento che cresce e si migliora di anno in anno, riuscendo a portare nella capitale il meglio della musica elettronica sulla scena internazionale. Il problema più grande per il fruitore è il dover scegliere tra una sala e l'altra tra un artista ed un altro senza spesso realmente conoscere la sua musica. Il contributo video è stato il grande assente del festival, almeno nella serata di sabato, dove mentre la magia sul palco non mancava sugli schermi non compariva altro che il nome degli sponsor e i video pubblicitari in loop. Se anche questo ultimo dettaglio fosse migliorato avremmo un festival quasi perfetto, invidiato a livello mondiale.
Si parte subito forte con Afrika Bambaataa nella Cavea (lo spazio esterno dell'Auditorium) che inizia il suo dj set con musica nera remixata e ricodificata in base al suo stile in bilico tra hip hop, electro funk e break beat. Nelle seconda metà del set Afrika Bambaataa aggiunge anche musica italiana con la colonna sonora di
Seconda stella a salire sul palco è Squarepusher che si presenta con una maschera da saldatore con la visiera illuminata di bianco. Il sound che contraddistingue l'artista gallese è una drum 'n bass più acida e più noise, tanto da essere ribattezzata drill 'n bass. La prima metà dell'esibizione è sullo stile Aphex Twin, più ballabile e più visionaria mentre nell'ultima parte il suono si fa più profondo e molto più rumoroso, quasi disturba in alcuni tratti. Quando Squarepusher prende in mano il basso inizia un altro concerto, più sperimentale e maggiormente avanguardista e perciò più difficile da seguire per il pubblico. Può piacere o non piacere, sta di fatto che è poco fruibile per la maggior parte degli ascoltatori perché il rumore è sovrano. Tutto ciò però non dura molto solo due brani e si ritorna a sonorità più morbide.
Fra Squarepusher e il dj set di James Blake ho ritenuto opportuno spostarmi nel foyer Petrassi dove Dukwa, Spinoff ed Herva si sono esibiti a turno. Il talento di quest'ultimo è sembrato evidente, soprattutto rispetto agli altri due. Herva 19enne fiorentino ha una poetica molto particolare e semplice al tempo stesso, creando un suono soul-elettronico-mentale, intimo e davvero personale oltre che fresco. La classe c'è e si nota perché è cristallina, il tempo è dalla sua parte e tra qualche anno sentiremo parlare di lui come una stella dell'elettronica.
James Blake nel 2011 ha dimostrato di essere un artista innovativo e rivoluzionario nel mondo dell'elettronica. Il suo album James Blake ha messo d'accordo tutti i critici consacrandolo come piccolo genio. Purtroppo è solo un dj set ma il ragazzo ha stile, il suono ipnotizza ed affascina l'ascoltatore, lasciandolo spiazzato ed attonito. Le manipolazioni di samples e il dubstep leggero sullo sfondo creano la magia, questa musica non si balla ma si ascolta ed entra dentro, nel profondo, fotografa la nebbia delle città inglesi e le file di villette di mattoni scuri con il camino. Ne viene fuori un'immagine sfocata ma che colpisce e rimane fissa nella mente.
Da mezzanotte aprono le sale e i concerti si susseguono in contemporanea. Bisogna prendere una decisione: stare fermo in una sala o muoversi da una sala all'altra per vedere un po' di tutto. Decido di rimanere in una singola sala per assistere alle esibizioni dall'inizio alla fine, per capirle bene evitando la fruizione alla youtube passando da un artista all'altro in maniera un po' superficiale. Scelgo la sala "Teatro Studio" dove si alterneranno RocketNumberNine, Ghostpoet e Brandt Brauer Frick.
RocketNumberNine è un duo londinese composto dai fratelli Tom (tastiere) e Ben Page (batteria). Il loro nome nasce da una canzone di Sun Ra "Rocket number nine take off for the planet Venus" e proprio dalle idee del musicista santone-alieno prende corpo lo stile dei fratelli Page. È un elettronica psichedelica con uno sfondo jazz, con una potenzialità visuale molto alta. Peccato le videoproiezioni siano praticamente assenti o solo pubblicitarie e fuori tema. Ma il mood è intrigante e coinvolgente, si può ballare ma si può anche ascoltare, è un suono che ammalia così tanto che persino Thom Yorke, leader dei Radiohead, li ha voluti per aprire il concerto della sua band a New York. Un incontro fondamentale per il duo inglese è stato quello con Four Tet, grande sperimentatore e stregone del suono che ha contribuito alla poetica e all'espressività dei RocketNumberNine.
Dopo il viaggio spaziale con i fratelli Page si ritorna sulla terra con Ghostpoet. Il suo stile crepuscolare crea una figura al limite tra il poeta ed il rapper, figure che sono tenute insieme da una musica fra il post dubstep e il garage britannico. Sound ombroso, scuro e difficilmente decifrabile, da fantasma che sembra palesarsi nei fraseggi minimal rap dell'artista inglese e che richiama alla mente un altro grande poeta della periferia newyorkese, Gil Scott Heron. Il ragazzo di Coventry ha uno stile molto personale e può piacere anche a chi non ama il rap e l'hip hop come il sottoscritto. Il suo disco d'esordio Peanut Butter & Melancholy Jam è stato apprezzato dalla critica e potrebbe preannunciare la nascita di un nuovo artista dei suburb inglesi.
Brandt Brauer Frick è un trio tedesco che mischia la techno agli strumenti classici come pianoforte, archi e fiati. Nel loro ultimo album Mr. Machine questo mix di classico e moderno crea una dicotomia interessante e riporta alla luce il contrasto tra l'uomo e la macchina, tra l'analogico e il digitale, tra l'uomo e il robot, temi che avevano già proposto i loro connazionali Kraftwerk in passato. Nella loro esibizione al Mit però non si portano dietro strumenti analogici ma solo tastiere, mixer e synth. Il risultato è diverso dall'album ma è comunque musica di alta qualità. Negli intro si intuisce la loro formazione classica tramite il tocco della tastiera. L'energia che trasmette la loro musica farebbe ballare anche uno scheletro, è techno ma più raffinata e più colta. È come se sullo sfondo ci fosse tutta la tradizione musicale occidentale rivestita in forma diversa, vicina allo stile dub-techno.
Il M.I.T. è un appuntamento che cresce e si migliora di anno in anno, riuscendo a portare nella capitale il meglio della musica elettronica sulla scena internazionale. Il problema più grande per il fruitore è il dover scegliere tra una sala e l'altra tra un artista ed un altro senza spesso realmente conoscere la sua musica. Il contributo video è stato il grande assente del festival, almeno nella serata di sabato, dove mentre la magia sul palco non mancava sugli schermi non compariva altro che il nome degli sponsor e i video pubblicitari in loop. Se anche questo ultimo dettaglio fosse migliorato avremmo un festival quasi perfetto, invidiato a livello mondiale.
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