CINEMA E MUSICA
Stefano Torossi
Elettronica e samba.
Emutif. Electroacoustic Music tra Italia e Francia. E' un festival in quattro episodi dal 7 al 10 maggio alla Sala Accademica del Conservatorio di S. Cecilia. Prima serata dedicata a Guido Baggiani. Atmosfera del tutto informale. Ingresso libero. Pubblico scarsetto, ma di amici e intenditori, e questo permette totale naturalezza quando per un impiccio a noi incomprensibile il brano per viola elettrica e live electronics non si può eseguire. Armeggiano un po' intorno ai computer, poi, come abbiamo detto, senza il minimo imbarazzo si passa all'esecuzione del brano successivo, promettendo che appena possibile ascolteremo la viola.
Ci piace molto questo modo di fare e ascoltare musica che, attenzione, non è cialtrone, è familiare. I due brani di Baggiani sono davvero molto belli, specialmente il più vecchio (1985); dell'altra musica non ci siamo quasi accorti. Comunque in questi concerti c'è sempre qualcosa da apprezzare, se non l'ispirazione, almeno il trattamento degli strumenti e dei suoni. Buoni gli esecutori, quasi tutte ragazze. Assolutamente delizioso il direttore, Tonino Battista, il quale, dopo ogni brano fa corsette su e giù per il palco con mosse da Mr. Bean, e va a baciare la mano alle esecutrici. Altrettanto deliziosamente impacciato il maestro Baggiani quando gli consegnano un premio alla carriera. Tutto come in un film americano anni quaranta, rigorosamente in bianco e nero. Ma con buoni attori.
Errare è umano, perseverare è diabolico, e noi diabolicamente siamo andati anche alla seconda serata del festival, il giorno dopo. Ammettiamo subito che ci siamo accorti dell'errore a metà concerto, e abbiamo prontamente tagliato la corda. In ogni caso vi riferiamo, invece che le impressioni sulla musica, di scarso interesse, alcuni nostri rilievi sul programma di sala (quel foglietto che di solito ricorda pericolosamente le presentazioni delle mostre di pittura: aria fritta), che ci ha fatto divertire assai di più. Saremo assolutamente scorretti nelle citazioni, però non vi diremo gli autori. Intanto i titoli, spesso più pittoreschi della musica a cui si riferiscono. Brano numero uno: "Sedimenti". Il foglietto dice: "...giardino di suono, dove l'ascoltatore...può cedere a sensazioni che diventano uniche a ogni singola esecuzione e per ogni singolo spettatore". Nostro commento: E allora? E' quello che succede a qualsiasi ascolto, anche di Orietta Berti. Numero due: "Come occhi che videro deserti". Foglietto: "Dopo aver visto l'infinito degli abissi, gli occhi non riescono a credere più a nulla..." Commento: Da sempre pensavamo che a un concerto servissero principalmente le orecchie. Numero tre: "Umori – Rumori". Foglietto: "...dislocazione degli eventi impulsivi fra fronte e retro, spazializzazione degli eventi lunghi in movimento orario e antiorario". Commento: Mah?
Non sapremo mai cosa è successo dopo, né quel pomeriggio, né per tutto il resto del festival.
Preghiera in samba. Alle sette e mezza di venerdì 11 maggio entrando nella basilica di S. Giovanni in Laterano eravamo convinti di andare a sentire l'orchestra di Alfredo Santoloci in un programma non precisato. Con nostro stupore ci siamo trovati quasi al carnevale di Rio. L'occasione era il conferimento dello statuto da parte della Santa Sede alla comunità cattolica brasiliana Shalom (ci sfugge il perché di questo nome ebraico per una comunità cattolica, per di più brasiliana). Chiesa gremita, e ce n'entra di gente a S. Giovanni. Processione con ostensione di reliquie, e poi sono cominciate le loro canzoni; noi che vorremmo solo Bach. A questo punto ci è tornato in mente quello che diceva Vinicius de Moraes. 'Metti una canzone in bocca a un brasiliano, e diventa un samba'. E infatti c'era samba nei canti che tutte quelle migliaia di persone cantavano battendo le mani a tempo (giusto), quasi ballando, e soprattutto appoggiandosi ai magnifici arrangiamenti di Santoloci. La gente ha bisogno, quando si raduna in chiesa o altrove, di fede e di appartenenza, ma se è gente brasiliana, ci aggiunge di sicuro una bella dose di ritmo. Alla fine ce ne siamo andati sorpresi e contenti (e sambando un po' anche noi , ma di nascosto).
Ci piace molto questo modo di fare e ascoltare musica che, attenzione, non è cialtrone, è familiare. I due brani di Baggiani sono davvero molto belli, specialmente il più vecchio (1985); dell'altra musica non ci siamo quasi accorti. Comunque in questi concerti c'è sempre qualcosa da apprezzare, se non l'ispirazione, almeno il trattamento degli strumenti e dei suoni. Buoni gli esecutori, quasi tutte ragazze. Assolutamente delizioso il direttore, Tonino Battista, il quale, dopo ogni brano fa corsette su e giù per il palco con mosse da Mr. Bean, e va a baciare la mano alle esecutrici. Altrettanto deliziosamente impacciato il maestro Baggiani quando gli consegnano un premio alla carriera. Tutto come in un film americano anni quaranta, rigorosamente in bianco e nero. Ma con buoni attori.
Errare è umano, perseverare è diabolico, e noi diabolicamente siamo andati anche alla seconda serata del festival, il giorno dopo. Ammettiamo subito che ci siamo accorti dell'errore a metà concerto, e abbiamo prontamente tagliato la corda. In ogni caso vi riferiamo, invece che le impressioni sulla musica, di scarso interesse, alcuni nostri rilievi sul programma di sala (quel foglietto che di solito ricorda pericolosamente le presentazioni delle mostre di pittura: aria fritta), che ci ha fatto divertire assai di più. Saremo assolutamente scorretti nelle citazioni, però non vi diremo gli autori. Intanto i titoli, spesso più pittoreschi della musica a cui si riferiscono. Brano numero uno: "Sedimenti". Il foglietto dice: "...giardino di suono, dove l'ascoltatore...può cedere a sensazioni che diventano uniche a ogni singola esecuzione e per ogni singolo spettatore". Nostro commento: E allora? E' quello che succede a qualsiasi ascolto, anche di Orietta Berti. Numero due: "Come occhi che videro deserti". Foglietto: "Dopo aver visto l'infinito degli abissi, gli occhi non riescono a credere più a nulla..." Commento: Da sempre pensavamo che a un concerto servissero principalmente le orecchie. Numero tre: "Umori – Rumori". Foglietto: "...dislocazione degli eventi impulsivi fra fronte e retro, spazializzazione degli eventi lunghi in movimento orario e antiorario". Commento: Mah?
Non sapremo mai cosa è successo dopo, né quel pomeriggio, né per tutto il resto del festival.
Preghiera in samba. Alle sette e mezza di venerdì 11 maggio entrando nella basilica di S. Giovanni in Laterano eravamo convinti di andare a sentire l'orchestra di Alfredo Santoloci in un programma non precisato. Con nostro stupore ci siamo trovati quasi al carnevale di Rio. L'occasione era il conferimento dello statuto da parte della Santa Sede alla comunità cattolica brasiliana Shalom (ci sfugge il perché di questo nome ebraico per una comunità cattolica, per di più brasiliana). Chiesa gremita, e ce n'entra di gente a S. Giovanni. Processione con ostensione di reliquie, e poi sono cominciate le loro canzoni; noi che vorremmo solo Bach. A questo punto ci è tornato in mente quello che diceva Vinicius de Moraes. 'Metti una canzone in bocca a un brasiliano, e diventa un samba'. E infatti c'era samba nei canti che tutte quelle migliaia di persone cantavano battendo le mani a tempo (giusto), quasi ballando, e soprattutto appoggiandosi ai magnifici arrangiamenti di Santoloci. La gente ha bisogno, quando si raduna in chiesa o altrove, di fede e di appartenenza, ma se è gente brasiliana, ci aggiunge di sicuro una bella dose di ritmo. Alla fine ce ne siamo andati sorpresi e contenti (e sambando un po' anche noi , ma di nascosto).
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