INTERVISTE
Fabio Geda
Prima domanda di interesse, diciamo, personale: conoscevi, prima di questa intervista, Il Paradiso degli Orchi?
Sì, lo conoscevo. Come conosco gran parte dei luoghi sparsi per il web in cui si parla di letteratura e narrazione. Ma sono un frequentatore di quei luoghi molto discontinuo.
Quanto ti ha sorpreso il grande successo di 'Nel mare ci sono i coccodrilli'?
Enormemente. Nei miei progetti era un libretto di passaggio tra il secondo e il terzo romanzo, e coincideva anche con la necessità di un cambio di editore (non perché con la Instar stessi male, anzi, tutt'altro, ma per un banale e naturale desiderio di crescita e trasformazione), e invece è diventato qualcosa di inaspettato: se oggi posso tentare di rendere la scrittura la mia occupazione principale lo devo alla storia di Enaiat e al lavoro fatto insieme per renderla fruibile a un grande pubblico.
Nei tuoi romanzi ritorna spesso l'elemento dell'adolescenza. Ragazzi alle prese coi problemi della crescita, ma soprattutto, credo, coi temi della nostalgia.
Per scrivere, come tanti, forse come tutti, vado a scavare nella mia memoria e nelle mie esperienze di uomo, figlio, fratello, studente, lavoratore eccetera. Non sarei in grado di scrivere cose che non conoscono e soprattutto usare materiale narrativo che, in qualche modo, non mi bruci dentro. Il dialogo tra le generazioni, il rapporto adulto-ragazzo sono temi che tornano perché sono temi che mi appassionano e che indago non solo con i libri: ho lavorato come educatore e mi sono occupato di disagio minorile per circa dodici anni (stavo studiando all'università quando ho cominciato) ed è per condividere quelle esperienze che ho cominciato a raccontare storie.
Veniamo al tuo ultimo romanzo, 'L'estate alla fine del secolo'. Io l'ho personalmente inserito nella cinquina dei miei libri preferiti per il 2011. Ma ho seguito la polemica dopo la recensione di Daniele Giglioli sul 'Corriere' che, in breve, ti ha definito un gran furbastro. Guglielmi ti ha definito un onesto artigiano. Tu che ne pensi di questa diatriba? Fa soprattutto gioco?
Partendo dal presupposto che per indole e formazione la critica non mi spaventa, anzi, mi stimola, penso, tuttavia, che la polemica sollevata dal 'Corriere', nei termini e nei modi, sia povera di argomenti e fastidiosamente pregiudiziale. E data la nebulosità dell'analisi mi sento autorizzato a pensare che sia o un tentativo di attirare attenzione su un nuovo inserto culturale che in realtà è molto simile a tutti gli altri, o un tentativo di attirare attenzione su di sé da parte delle persone che hanno firmato gli articoli. Detto questo, l'immagine dell'onesto artigiano mi piace molto. Io non sono un teorico, non ho mai studiato letteratura: sono uno da sempre appassionato di ogni forma di narrazione (dalla fotografia al teatro alla musica) che ora ha la fortuna di poter lavorare in questo campo e che quando ha una buona storia che gli cresce dentro tenta di raccontarla nel modo migliore che gli riesce.
Una cosa però la condivido con Giglioli: mica ho capito perché, nel romanzo, papà e figlia non si parlano.
Bella domanda. Potrei dirti che non lo so neppure io, ma che mi sembrava logico che a una persona la cui vita sfugge non tanto di mano, ma tra le mani, nel senso che fa fatica a trattenere a sé tutto quello che conquista, be', anche il rapporto con la figlia sfuggisse nello stesso modo. Senza un motivo particolare, come se Simone Coifmann fosse destinato a perdere, ma non come si perde una partita di pallone, piuttosto come perde un tubo screpolato o una ruota con la valvola dissaldata; trovavo coerente il fatto che l'esistenza della figlia defluisse via da lui come lui permea gli oggetti o i tramezzi. Nulla segna il nostro passaggio sulla Terra più di un figlio e Simone Coifmann, che non si sente autorizzato a esistere, lascia che la sua unica figlia scompaia – per non essere scoperto, per non essere trovato. Guarda, ho un amico a Torino che abita nello stesso quartiere di suo padre (dico: lo stesso quartiere) e non si vedono e non si parlano da otto anni. Un disinteresse reciproco sì è insinuato tra loro con il tempo fino a trasformarsi in assenza totale. A chi dei due tocca fare il primo passo?
Nonostante abbia detto un gran bene di te e quindi del tuo romanzo (o viceversa, c'est la même chose...) non ho un grande amore per quella che, impropriamente, viene definita letteratura giovanile (infatti non mi piace, tranne qualche rara eccezione, nemmeno quella 'adulta'). Tu vedi invece qualcosa di propositivo ed interessante?
Certo che più si legge più è difficile trovare oggetti narrativi nuovi che ci entusiasmino. Però sì, mi capita cinque o sei volte all'anno di leggere libri che poi sono davvero felice di aver letto. Quest'anno appena passato mi sono entusiasmato per Open la biografia di Agassi scritta dal premio Pulitzer J.R. Moehringer, per i racconti di Non saremo confusi per sempre di Marco Mancassola e per lo strepitoso libro di Emanuel Carrère Vite che non sono la mia. E sono certo che tanti altri libri che mi avrebbero entusiasmato nello stesso modo me li sono persi, soffocati dal rumore di fondo di un mercato editoriale bulimico e aggressivo.
Un domandone classico: cos'hai sul comodino? Puoi anche dire il preservativo, tanto non ci scandalizziamo. Anzi...
Allora ti rispondo che non ho un comodino. Ma sul tavolino del salotto ho un mucchio di fumetti (non amo il termine graphic novel) che mi sono stati regalati per Natale e nei quali sto con gioia sprofondando.
Sì, lo conoscevo. Come conosco gran parte dei luoghi sparsi per il web in cui si parla di letteratura e narrazione. Ma sono un frequentatore di quei luoghi molto discontinuo.
Quanto ti ha sorpreso il grande successo di 'Nel mare ci sono i coccodrilli'?
Enormemente. Nei miei progetti era un libretto di passaggio tra il secondo e il terzo romanzo, e coincideva anche con la necessità di un cambio di editore (non perché con la Instar stessi male, anzi, tutt'altro, ma per un banale e naturale desiderio di crescita e trasformazione), e invece è diventato qualcosa di inaspettato: se oggi posso tentare di rendere la scrittura la mia occupazione principale lo devo alla storia di Enaiat e al lavoro fatto insieme per renderla fruibile a un grande pubblico.
Nei tuoi romanzi ritorna spesso l'elemento dell'adolescenza. Ragazzi alle prese coi problemi della crescita, ma soprattutto, credo, coi temi della nostalgia.
Per scrivere, come tanti, forse come tutti, vado a scavare nella mia memoria e nelle mie esperienze di uomo, figlio, fratello, studente, lavoratore eccetera. Non sarei in grado di scrivere cose che non conoscono e soprattutto usare materiale narrativo che, in qualche modo, non mi bruci dentro. Il dialogo tra le generazioni, il rapporto adulto-ragazzo sono temi che tornano perché sono temi che mi appassionano e che indago non solo con i libri: ho lavorato come educatore e mi sono occupato di disagio minorile per circa dodici anni (stavo studiando all'università quando ho cominciato) ed è per condividere quelle esperienze che ho cominciato a raccontare storie.
Veniamo al tuo ultimo romanzo, 'L'estate alla fine del secolo'. Io l'ho personalmente inserito nella cinquina dei miei libri preferiti per il 2011. Ma ho seguito la polemica dopo la recensione di Daniele Giglioli sul 'Corriere' che, in breve, ti ha definito un gran furbastro. Guglielmi ti ha definito un onesto artigiano. Tu che ne pensi di questa diatriba? Fa soprattutto gioco?
Partendo dal presupposto che per indole e formazione la critica non mi spaventa, anzi, mi stimola, penso, tuttavia, che la polemica sollevata dal 'Corriere', nei termini e nei modi, sia povera di argomenti e fastidiosamente pregiudiziale. E data la nebulosità dell'analisi mi sento autorizzato a pensare che sia o un tentativo di attirare attenzione su un nuovo inserto culturale che in realtà è molto simile a tutti gli altri, o un tentativo di attirare attenzione su di sé da parte delle persone che hanno firmato gli articoli. Detto questo, l'immagine dell'onesto artigiano mi piace molto. Io non sono un teorico, non ho mai studiato letteratura: sono uno da sempre appassionato di ogni forma di narrazione (dalla fotografia al teatro alla musica) che ora ha la fortuna di poter lavorare in questo campo e che quando ha una buona storia che gli cresce dentro tenta di raccontarla nel modo migliore che gli riesce.
Una cosa però la condivido con Giglioli: mica ho capito perché, nel romanzo, papà e figlia non si parlano.
Bella domanda. Potrei dirti che non lo so neppure io, ma che mi sembrava logico che a una persona la cui vita sfugge non tanto di mano, ma tra le mani, nel senso che fa fatica a trattenere a sé tutto quello che conquista, be', anche il rapporto con la figlia sfuggisse nello stesso modo. Senza un motivo particolare, come se Simone Coifmann fosse destinato a perdere, ma non come si perde una partita di pallone, piuttosto come perde un tubo screpolato o una ruota con la valvola dissaldata; trovavo coerente il fatto che l'esistenza della figlia defluisse via da lui come lui permea gli oggetti o i tramezzi. Nulla segna il nostro passaggio sulla Terra più di un figlio e Simone Coifmann, che non si sente autorizzato a esistere, lascia che la sua unica figlia scompaia – per non essere scoperto, per non essere trovato. Guarda, ho un amico a Torino che abita nello stesso quartiere di suo padre (dico: lo stesso quartiere) e non si vedono e non si parlano da otto anni. Un disinteresse reciproco sì è insinuato tra loro con il tempo fino a trasformarsi in assenza totale. A chi dei due tocca fare il primo passo?
Nonostante abbia detto un gran bene di te e quindi del tuo romanzo (o viceversa, c'est la même chose...) non ho un grande amore per quella che, impropriamente, viene definita letteratura giovanile (infatti non mi piace, tranne qualche rara eccezione, nemmeno quella 'adulta'). Tu vedi invece qualcosa di propositivo ed interessante?
Certo che più si legge più è difficile trovare oggetti narrativi nuovi che ci entusiasmino. Però sì, mi capita cinque o sei volte all'anno di leggere libri che poi sono davvero felice di aver letto. Quest'anno appena passato mi sono entusiasmato per Open la biografia di Agassi scritta dal premio Pulitzer J.R. Moehringer, per i racconti di Non saremo confusi per sempre di Marco Mancassola e per lo strepitoso libro di Emanuel Carrère Vite che non sono la mia. E sono certo che tanti altri libri che mi avrebbero entusiasmato nello stesso modo me li sono persi, soffocati dal rumore di fondo di un mercato editoriale bulimico e aggressivo.
Un domandone classico: cos'hai sul comodino? Puoi anche dire il preservativo, tanto non ci scandalizziamo. Anzi...
Allora ti rispondo che non ho un comodino. Ma sul tavolino del salotto ho un mucchio di fumetti (non amo il termine graphic novel) che mi sono stati regalati per Natale e nei quali sto con gioia sprofondando.
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