INTERVISTE
Flavio Caprera
101 dischi jazz. E come hai fatto a raccogliere questa carica dei 101?
Ho fatto un'analisi musicale, storica e sociale che mi ha portato alle origini del jazz, alle composizioni di Scott Joplin, a Freddie Keppard, a King Oliver, a Louis Armstrong, ecc.. Era fondamentale partire dai capisaldi, dai costruttori di un genere musicale meraviglioso. Sono loro le basi e bisognava non sbagliare avendo a disposizione solo 101 dischi. Poi il resto è venuto da solo, direi fino agli anni sessanta. A quel punto è stata dura fare una sintesi tra i generi di jazz e i gusti personali. Ho cercato di mantenere un atteggiamento obiettivo e avere come riferimento i giudizi dei critici più importanti. Questo mi ha permesso d'arrivare con serenità ai giorni nostri. Chiaramente qualche musicista è rimasto fuori ma questo fa parte del gioco dei 101.
Pensi di aver davvero preso il meglio?
Credo di aver preso i fondamentali, gli indiscutibili anche se ognuno poi ha le sue preferenze. Ma essendo un libro dal taglio divulgativo, che avvia alla conoscenza del jazz, penso che vadano bene così.
È il tuo secondo libro. Come è stato mettersi di nuovo alla prova con la tua grande passione? Hai scoperto qualcosa di nuovo di te e del jazz?
E' stato molto stimolante scrivere un altro libro di jazz. Ho rinnovato la mia passione. Chiaramente ho scoperto nuovi musicisti, suoni su cui non mi ero soffermato, imparato ad amare dischi che prima snobbavo.
C'è stata un'evoluzione nel pubblico del jazz in questi anni? E pensi che raccolte e inserti in grandi settimanali possa davvero aiutare?
In Italia sono cresciuti gli appassionati di jazz. C'è una fascia di pubblico molto più ampia che ha fame di sapere, di conoscere in maniera più profonda questo genere. Soprattutto che frequenta i festival. Credo che gli inserti servano nella loro facilità comunicativa, ad avvicinare quanta più gente possibile al jazz.
Il jazz deve essere sdoganato?
Come tante altre cose in Italia, il jazz ha bisogno di un "linguaggio popolare", fuori dai paroloni, dai tecnicismi e dalle "tribù" che si contendono il sapere per pochi. Dopo tutto la natura del jazz è popolare e lì deve tornare o perlomeno tenerci i piedi ben saldi.
Qual è il tuo groove preferito?
Sopra tutti Lover Man suonato da Charlie Parker
Se dovessi iniziare qualcuno al jazz con chi partiresti?
Forse partirei con il primo Louis Armstrong e dopo con i lavori iniziali di Duke Ellington. Lì c'è il passato, il presente e il futuro del jazz.
Il jazz è criptico emozionale o chiaro concettuale?
A seconda dei generi all'interno del jazz è uno e l'altro.
Sei dell'opinione del tuo collega Marsalis, che il jazz può cambiarci la vita? Se sì come?
Credo di si, soprattutto a livello emotivo e psicofisico. Ti aiuta a vedere la vita in un altro modo.
Senti questa musica come un'esplosione o un'implosione?
E' un esplosione che ti colpisce allo stomaco e poi ti arriva alla mente.
Non trovi che alcuni jazzisti si facciano un po' troppe "pippe" mentali?
Mmm, si, ma questo è connaturato in una certa concezione che si ha dell'arte nella cultura occidentale, soprattutto tra noi latini.
Il jazz per te in una frase
E' un mondo che non si finisce mai di esplorare.
Ho fatto un'analisi musicale, storica e sociale che mi ha portato alle origini del jazz, alle composizioni di Scott Joplin, a Freddie Keppard, a King Oliver, a Louis Armstrong, ecc.. Era fondamentale partire dai capisaldi, dai costruttori di un genere musicale meraviglioso. Sono loro le basi e bisognava non sbagliare avendo a disposizione solo 101 dischi. Poi il resto è venuto da solo, direi fino agli anni sessanta. A quel punto è stata dura fare una sintesi tra i generi di jazz e i gusti personali. Ho cercato di mantenere un atteggiamento obiettivo e avere come riferimento i giudizi dei critici più importanti. Questo mi ha permesso d'arrivare con serenità ai giorni nostri. Chiaramente qualche musicista è rimasto fuori ma questo fa parte del gioco dei 101.
Pensi di aver davvero preso il meglio?
Credo di aver preso i fondamentali, gli indiscutibili anche se ognuno poi ha le sue preferenze. Ma essendo un libro dal taglio divulgativo, che avvia alla conoscenza del jazz, penso che vadano bene così.
È il tuo secondo libro. Come è stato mettersi di nuovo alla prova con la tua grande passione? Hai scoperto qualcosa di nuovo di te e del jazz?
E' stato molto stimolante scrivere un altro libro di jazz. Ho rinnovato la mia passione. Chiaramente ho scoperto nuovi musicisti, suoni su cui non mi ero soffermato, imparato ad amare dischi che prima snobbavo.
C'è stata un'evoluzione nel pubblico del jazz in questi anni? E pensi che raccolte e inserti in grandi settimanali possa davvero aiutare?
In Italia sono cresciuti gli appassionati di jazz. C'è una fascia di pubblico molto più ampia che ha fame di sapere, di conoscere in maniera più profonda questo genere. Soprattutto che frequenta i festival. Credo che gli inserti servano nella loro facilità comunicativa, ad avvicinare quanta più gente possibile al jazz.
Il jazz deve essere sdoganato?
Come tante altre cose in Italia, il jazz ha bisogno di un "linguaggio popolare", fuori dai paroloni, dai tecnicismi e dalle "tribù" che si contendono il sapere per pochi. Dopo tutto la natura del jazz è popolare e lì deve tornare o perlomeno tenerci i piedi ben saldi.
Qual è il tuo groove preferito?
Sopra tutti Lover Man suonato da Charlie Parker
Se dovessi iniziare qualcuno al jazz con chi partiresti?
Forse partirei con il primo Louis Armstrong e dopo con i lavori iniziali di Duke Ellington. Lì c'è il passato, il presente e il futuro del jazz.
Il jazz è criptico emozionale o chiaro concettuale?
A seconda dei generi all'interno del jazz è uno e l'altro.
Sei dell'opinione del tuo collega Marsalis, che il jazz può cambiarci la vita? Se sì come?
Credo di si, soprattutto a livello emotivo e psicofisico. Ti aiuta a vedere la vita in un altro modo.
Senti questa musica come un'esplosione o un'implosione?
E' un esplosione che ti colpisce allo stomaco e poi ti arriva alla mente.
Non trovi che alcuni jazzisti si facciano un po' troppe "pippe" mentali?
Mmm, si, ma questo è connaturato in una certa concezione che si ha dell'arte nella cultura occidentale, soprattutto tra noi latini.
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E' un mondo che non si finisce mai di esplorare.
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