INTERVISTE
Franco Limardi
Quando ho letto il titolo del suo libro ho subito pensato a "Il senso di Smilla per la neve". Sbaglio?
Mi spiace, sì! Nel senso che credo di essere uno dei pochi italiani a non aver letto il romanzo, e confesso di non ricordare il nome dell'autore. Immaginavo però, nel momento in cui ho scelto il titolo, che l'accostamento sarebbe stato inevitabile.
Mi pare evidente che fra tutti i personaggi del romanzo la sua 'personale' preferenza vada per Sergio Asciuti. Credo che lei gli abbia dedicato anche la frase iniziale di Mishima. E' un perdente a tutti gli effetti no?
Vero, Sergio Asciuti è, tra tutti i personaggi del romanzo, quello che ha più della mia simpatia. Tra i quattro personaggi principali è quello che ha più storia da raccontare, più strada percorsa e da percorrere durante lo svolgimento della vicenda. La frase tratta da Mishima è dedicata a Sergio, ma non solo a lui; anche Ferradino impara a conoscere la passione e la sua irrinunciabile incongruenza, così come la passione di Silvestri è di natura diversa, ma non meno divorante. Forse il più disincantato è il commissario Martello o, forse, sotto altri aspetti, la frase di Mishima è buona anche per lui come per tutti noi. Devo dare conferma per quanto riguarda la natura di perdente di Sergio, però voglio ricordare un'intervista a Buster Keaton vista in televisione quando ero un ragazzino e alla domanda perché avesse preso come protagonista del suo film The general un confederato, un sudista, uno "antipatico" insomma, Keaton rispose che aveva scelto un perdente, perché i perdenti hanno un fascino agli occhi di un autore, che uno spavaldo vincente non possiederà mai.
Ma il suo libro non è una storia di tanti perdenti?
Si, è vero. Si può dare questa definizione a quasi tutti i personaggi del mio romanzo. La spiegazione, in parte, l'ho già data citando Keaton, in parte la si può trovare in quello che credo sia la realtà dell'esistenza, solo in parte governabile dalle nostre decisioni e molto indirizzata dal caso; aggiunga a questo che il caso, sempre secondo me, possiede una capacità di beffare le nostre aspettative assolutamente straordinaria.
La domanda è provocatoria: ma non crede che si stia esagerando con queste storie dove c'è sempre un poliziotto corrotto, uno buono, un delinquente schiacciato dagli ingranaggi della società e la canaglia vera e propria?
Posso rispondere solo per quello che mi riguarda, per il mio romanzo; l'ho costruito utilizzando, consapevolmente, alcuni stereotipi, perché mi piace giocare con i meccanismi del genere.
Non so in quanti romanzi italiani ci sia, effettivamente, la figura di un poliziotto "cattivo"; di solito il tutore dell'ordine viene dipinto come una persona assolutamente buona e umanissima o se compare qualche "mela marcia" è sempre una figura di secondo piano e destinata a soccombere, così ho deciso di mettere nella vicenda un personaggio negativo, che agisce per un disegno preciso di potere e che non è un semplice scagnozzo, ma qualcuno di peso. E se si prende il potere come chiave di lettura, anche le altre figure assumono dei connotati in più, diversi e, spero, ancora più interessanti.
Su queste pagine abbiamo polemizzato con chi ha 'sfruttato' (che l'abbia fatto intenzionalmente... ai posteri l'ardua sentenza) la cronaca vera per costruire un 'impero' di finzione. E abbiamo citato 'Gomorra' e 'Romanzo Criminale' e ovviamente i rispettivi autori. Cosa ci dice in proposito?
Io credo che l'intenzionalità dell'autore arrivi fino ad un certo punto, nel senso che non credo che Saviano o De Cataldo abbiano pianificato così scientificamente, meticolosamente e anche un po' cinicamente, il successo dei loro libri e, diciamo così, il "merchandising" ad essi collegato. C'è un'industria editoriale, ma forse sarebbe più giusto chiamarla mediatica, che si occupa di questo, di creare il caso letterario, l'occasione di discussione intorno ad un libro e non succede solo per la letteratura di genere o contigua ad essa; penso a tanta letteratura mainstream i cui autori sono presentati come autori di romanzi "definitivi", come coronamenti della storia della letteratura italiana e poi ci troviamo di fronte ad opere assolutamente dimenticabili e intrise di luoghi comuni a volte peggiori del più vieto romanzo di genere. Tornando alla domanda vera e propria, per completare la risposta, credo che al successo dei due libri da voi citati, abbia contribuito un'atmosfera che respiriamo quotidianamente, in cui una necessaria operazione d'indagine sulla realtà e sulla storia, che potrebbe servire a comprendere meglio la società in cui viviamo, diventa invece un succedaneo spettacolare, qualcosa che soddisfa la nostra coscienza civica un po' sporca lasciandola tranquillamente seduta in poltrona.
Pensa che il noir goda ancora ottima salute?
Non lo so, anche perché (so di non dire una cosa nuova) dietro a questa etichetta c'è un quantità di cose diverse tra loro, che spesso non hanno punti di contatto; ci sono romanzi che si rifanno a topoi classici del genere, così come libri che mescolano in modo a volte intelligente, a volte furbetto, elementi che provengono da generi e sottogeneri diversi. Se per salute intendiamo i dati di vendita, probabilmente il genere è ancora forte e robusto; se intendiamo salute come qualità letteraria non saprei; peraltro sono parte in causa, il mio romanzo potrebbe proprio essere il segnale della prossima decadenza, no?
Lei è un insegnante di un istituto superiore. Ma 'sti ragazzi di oggi sono proprio tutti da buttare?
Devo confessare che qualche volta la mia mente è attraversata dall'idea che un ragazzo o più d'uno, siano "riusciti male" e che se si potesse rifarli da capo se ne guadagnerebbe sicuramente; però mi rendo subito conto che loro, i ragazzi, sono solo il prodotto di anni di distruzione sistematica di un sistema di valori che comprendeva la capacità critica, l'educazione alla bellezza, il piacere della scoperta personale e la spinta ad affermare la propria personalità nei confronti degli adulti attraverso scelte culturali. I miei ragazzi sono diffidenti nei confronti di tutto ciò che comporti loro uno sforzo, una "spesa" esistenziale; li hanno abituati a non affrontare i problemi ad aspettare che qualcuno lo faccia per loro; ormai fanno fatica anche a vedere un film, perché anche capire una storia, la più semplice, è un impegno che non tutti reggono. Sono convinto, senza fare del catastrofismo, che dovranno passare generazioni e succedere chissà cosa, prima che non solo i liceali figli di liberi professionisti, riprendano in mano un libro. Tuttavia, ogni tanto, succede un piccolo miracolo: l'altro giorno, parlando in una classe (io insegno in un istituto tecnico industriale) del tempo del viaggio di Dante nella Commedia, della sua dilatazione e della partecipazione al "gioco" di Dante da parte del lettore, nel credere ad un viaggio simile concluso in pochi giorni, siamo finiti a parlare di Mattatoio n 5 di Vonnegut e qualcuno(!) si è scritto i dati editoriali del libro...chissà...
Ammettendo che una domanda del genere abbia un senso ma, a parte, il noir, quali autori preferisce leggere?
Sono un lettore disordinatissimo, praticamente onnivoro, privo di un qualsiasi canone e abbastanza curioso. Sgombrando il campo da qualsiasi equivoco politico, oltre a Mishima, prediligo Celine, ma anche Camus, Durrennmatt, Cormack McCarthy, Ian McEwan, Tanizaki, Javier Marìas, Saramago, Pavese, Pasolini, Buzzati, Fante e potrei continuare ancora, ma sicuramente non citerei autori sconosciuti, clamorose scoperte letterarie. Posso dire cosa non leggo, se la cosa può interessare gli Orchi: diffido degli autori precocissimi, così come di quelli "compresi", nel cui sguardo balena la consapevolezza di aver capito l'essenza più profonda della vita; i buoni che si chinano pietosi sugli ultimi della terra, scrivendo nel comodo studio della loro villetta liberty; gli autori fantasy, gli impastatori di pseudo misteri esoterici e poi basta così, anche qui mi sembra che l'elenco sia sufficiente.
Quanto ci piace a noi orchi questo riferimento agli autori precocissimi...
Mi spiace, sì! Nel senso che credo di essere uno dei pochi italiani a non aver letto il romanzo, e confesso di non ricordare il nome dell'autore. Immaginavo però, nel momento in cui ho scelto il titolo, che l'accostamento sarebbe stato inevitabile.
Mi pare evidente che fra tutti i personaggi del romanzo la sua 'personale' preferenza vada per Sergio Asciuti. Credo che lei gli abbia dedicato anche la frase iniziale di Mishima. E' un perdente a tutti gli effetti no?
Vero, Sergio Asciuti è, tra tutti i personaggi del romanzo, quello che ha più della mia simpatia. Tra i quattro personaggi principali è quello che ha più storia da raccontare, più strada percorsa e da percorrere durante lo svolgimento della vicenda. La frase tratta da Mishima è dedicata a Sergio, ma non solo a lui; anche Ferradino impara a conoscere la passione e la sua irrinunciabile incongruenza, così come la passione di Silvestri è di natura diversa, ma non meno divorante. Forse il più disincantato è il commissario Martello o, forse, sotto altri aspetti, la frase di Mishima è buona anche per lui come per tutti noi. Devo dare conferma per quanto riguarda la natura di perdente di Sergio, però voglio ricordare un'intervista a Buster Keaton vista in televisione quando ero un ragazzino e alla domanda perché avesse preso come protagonista del suo film The general un confederato, un sudista, uno "antipatico" insomma, Keaton rispose che aveva scelto un perdente, perché i perdenti hanno un fascino agli occhi di un autore, che uno spavaldo vincente non possiederà mai.
Ma il suo libro non è una storia di tanti perdenti?
Si, è vero. Si può dare questa definizione a quasi tutti i personaggi del mio romanzo. La spiegazione, in parte, l'ho già data citando Keaton, in parte la si può trovare in quello che credo sia la realtà dell'esistenza, solo in parte governabile dalle nostre decisioni e molto indirizzata dal caso; aggiunga a questo che il caso, sempre secondo me, possiede una capacità di beffare le nostre aspettative assolutamente straordinaria.
La domanda è provocatoria: ma non crede che si stia esagerando con queste storie dove c'è sempre un poliziotto corrotto, uno buono, un delinquente schiacciato dagli ingranaggi della società e la canaglia vera e propria?
Posso rispondere solo per quello che mi riguarda, per il mio romanzo; l'ho costruito utilizzando, consapevolmente, alcuni stereotipi, perché mi piace giocare con i meccanismi del genere.
Non so in quanti romanzi italiani ci sia, effettivamente, la figura di un poliziotto "cattivo"; di solito il tutore dell'ordine viene dipinto come una persona assolutamente buona e umanissima o se compare qualche "mela marcia" è sempre una figura di secondo piano e destinata a soccombere, così ho deciso di mettere nella vicenda un personaggio negativo, che agisce per un disegno preciso di potere e che non è un semplice scagnozzo, ma qualcuno di peso. E se si prende il potere come chiave di lettura, anche le altre figure assumono dei connotati in più, diversi e, spero, ancora più interessanti.
Su queste pagine abbiamo polemizzato con chi ha 'sfruttato' (che l'abbia fatto intenzionalmente... ai posteri l'ardua sentenza) la cronaca vera per costruire un 'impero' di finzione. E abbiamo citato 'Gomorra' e 'Romanzo Criminale' e ovviamente i rispettivi autori. Cosa ci dice in proposito?
Io credo che l'intenzionalità dell'autore arrivi fino ad un certo punto, nel senso che non credo che Saviano o De Cataldo abbiano pianificato così scientificamente, meticolosamente e anche un po' cinicamente, il successo dei loro libri e, diciamo così, il "merchandising" ad essi collegato. C'è un'industria editoriale, ma forse sarebbe più giusto chiamarla mediatica, che si occupa di questo, di creare il caso letterario, l'occasione di discussione intorno ad un libro e non succede solo per la letteratura di genere o contigua ad essa; penso a tanta letteratura mainstream i cui autori sono presentati come autori di romanzi "definitivi", come coronamenti della storia della letteratura italiana e poi ci troviamo di fronte ad opere assolutamente dimenticabili e intrise di luoghi comuni a volte peggiori del più vieto romanzo di genere. Tornando alla domanda vera e propria, per completare la risposta, credo che al successo dei due libri da voi citati, abbia contribuito un'atmosfera che respiriamo quotidianamente, in cui una necessaria operazione d'indagine sulla realtà e sulla storia, che potrebbe servire a comprendere meglio la società in cui viviamo, diventa invece un succedaneo spettacolare, qualcosa che soddisfa la nostra coscienza civica un po' sporca lasciandola tranquillamente seduta in poltrona.
Pensa che il noir goda ancora ottima salute?
Non lo so, anche perché (so di non dire una cosa nuova) dietro a questa etichetta c'è un quantità di cose diverse tra loro, che spesso non hanno punti di contatto; ci sono romanzi che si rifanno a topoi classici del genere, così come libri che mescolano in modo a volte intelligente, a volte furbetto, elementi che provengono da generi e sottogeneri diversi. Se per salute intendiamo i dati di vendita, probabilmente il genere è ancora forte e robusto; se intendiamo salute come qualità letteraria non saprei; peraltro sono parte in causa, il mio romanzo potrebbe proprio essere il segnale della prossima decadenza, no?
Lei è un insegnante di un istituto superiore. Ma 'sti ragazzi di oggi sono proprio tutti da buttare?
Devo confessare che qualche volta la mia mente è attraversata dall'idea che un ragazzo o più d'uno, siano "riusciti male" e che se si potesse rifarli da capo se ne guadagnerebbe sicuramente; però mi rendo subito conto che loro, i ragazzi, sono solo il prodotto di anni di distruzione sistematica di un sistema di valori che comprendeva la capacità critica, l'educazione alla bellezza, il piacere della scoperta personale e la spinta ad affermare la propria personalità nei confronti degli adulti attraverso scelte culturali. I miei ragazzi sono diffidenti nei confronti di tutto ciò che comporti loro uno sforzo, una "spesa" esistenziale; li hanno abituati a non affrontare i problemi ad aspettare che qualcuno lo faccia per loro; ormai fanno fatica anche a vedere un film, perché anche capire una storia, la più semplice, è un impegno che non tutti reggono. Sono convinto, senza fare del catastrofismo, che dovranno passare generazioni e succedere chissà cosa, prima che non solo i liceali figli di liberi professionisti, riprendano in mano un libro. Tuttavia, ogni tanto, succede un piccolo miracolo: l'altro giorno, parlando in una classe (io insegno in un istituto tecnico industriale) del tempo del viaggio di Dante nella Commedia, della sua dilatazione e della partecipazione al "gioco" di Dante da parte del lettore, nel credere ad un viaggio simile concluso in pochi giorni, siamo finiti a parlare di Mattatoio n 5 di Vonnegut e qualcuno(!) si è scritto i dati editoriali del libro...chissà...
Ammettendo che una domanda del genere abbia un senso ma, a parte, il noir, quali autori preferisce leggere?
Sono un lettore disordinatissimo, praticamente onnivoro, privo di un qualsiasi canone e abbastanza curioso. Sgombrando il campo da qualsiasi equivoco politico, oltre a Mishima, prediligo Celine, ma anche Camus, Durrennmatt, Cormack McCarthy, Ian McEwan, Tanizaki, Javier Marìas, Saramago, Pavese, Pasolini, Buzzati, Fante e potrei continuare ancora, ma sicuramente non citerei autori sconosciuti, clamorose scoperte letterarie. Posso dire cosa non leggo, se la cosa può interessare gli Orchi: diffido degli autori precocissimi, così come di quelli "compresi", nel cui sguardo balena la consapevolezza di aver capito l'essenza più profonda della vita; i buoni che si chinano pietosi sugli ultimi della terra, scrivendo nel comodo studio della loro villetta liberty; gli autori fantasy, gli impastatori di pseudo misteri esoterici e poi basta così, anche qui mi sembra che l'elenco sia sufficiente.
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