INTERVISTE
Franco Pezzini
Il vampiro è sempre di moda. Negli anni '80/90 c'era la Anne Rice. Ora ci tocca sopportare la Stephanie Meyer. Abbiamo persino singulti indigeni: 'Ho freddo' di Gianfranco Manfredi e Il vampiro modenese in era McDonald di Claudio Vergnani. Lo so, la domanda è scontata: ma perché tutto questo interesse?
Solo con le risposte si potrebbe scrivere un libro... e del resto gli esempi che riporti offrono già un quadro molto variegato, sia per tipologia vampirica (diciamo così) che per profondità di riflessione. La produzione Rice ha avuto alti e bassi, Ho freddo è uno splendido romanzo filosofico, Il 18° vampiro di Vergnani è una prova di genere molto buona, mentre la Meyer scrive decorosamente ma non è horror... Mi limito quindi a qualche riflessione.
Il vampiro, soprattutto quello rivisto e corretto dalla fiction, è figura dell'ambiguità – a cavallo tra vita e morte, umanità e ferinità, inafferrabilità spettrale e concretezza corporea, ripugnanza e fascinazione. Un signore insomma dell'indecidibile fermo al crocevia della possibilità: come un perenne adolescente in agguato all'incrocio tra tutte le determinazioni di natura e cultura. In più è un irriducibile trasformista, un attore e un dominatore dei media: fin da quando, nel Settecento, i lettori di gazzette si strappavano dalle mani le pagine sui suoi crimini in remote Ungherie. Il passaggio stesso dall'impresentabile babau del folklore all'X-man belloccio di Twilight la dice lunga: anzi il suo metamorfismo gli permette di assurgere oggi a supermetafora del fantastico, un passe-partout per spendere i temi della morte, del sesso e dell'irresolubilità esistenziale nell'ambito dei più vari generi narrativi. Vampiri detective o eroi fantasy, vampiri astronauti o sui banchi di scuola... Col suo statuto sfuggente il vampiro è insomma immagine di un'ambiguità che ha molto a che vedere con la nostra condizione (post)moderna di fedi oscurate, categorie in crisi, mancate scelte e possibilità non chiuse.
Per questo, d'altra parte, piace tanto agli adolescenti, con cui condivide una condizione di indefinitezza che pare proiettata verso ogni futuro possibile, la sensazione d'immortalità e di potere illimitato, la scoperta del sesso ma anche delle nostre zone più oscure e segrete... e i fastidi per i paletti (scusa il gioco di parole) del mondo adulto.
C'è poi la dimensione seduttiva: sorto dalle nebbie di un oscuro immaginario sulla sessualità dei morti, il vampiro diventa divoratore sessuale. E per noi, che viviamo nell'Età della Seduzione (erotica ma anche mediatica, politica, finanziaria...) una simile figura risulta terribilmente intrigante.
Nell'introduzione si dice che il vampiro è sempre di moda perché è un pianificatore, mostro di seduzione e manipolatore delle menti più deboli. Mi sembra francamente il ritratto di Berlusconi.
(Ride:) Il fantastico come genere – anzi, supergenere, comprensivo di horror, SF, eccetera – è in effetti una formidabile, provocatoria macchina per pensare. Un linguaggio-laboratorio, in cui esaminiamo le possibilità del reale: quelle già declinate a livello storico o interiore, e insieme quelle che potrebbero esserlo... magari un secolo dopo. Se poi rammentiamo che lo specchio non riflette il vampiro – cioè non ce lo fa riconoscere nella nostra immagine riflessa, e in quella della società che edifichiamo – la metafora svela tutta la sua potenza, la sua scomodità.
Anche se, ovviamente, lo statuto mitico di una figura come quella del Conte non-morto impedisce che si consumi nelle sue rifrazioni storiche. E appunto la forma soggettiva, rispettivamente memoriale ed epistolare, delle due grandi narrazioni anglosassoni ottocentesche sui vampiri, Carmilla e Dracula, sembra ricordarci qualcosa di impegnativo: che cioè l'icona del Seduttore vampiresco ha anzitutto le sue radici in noi, nei nostri sogni spesso di piccolo cabotaggio, nella nostra disponibilità a farci assoggettare. È il caso di Jonathan, di Lucy... Certo, resistere a tutto questo può essere molto difficile – e non sto facendo dell'irenismo a basso prezzo. Non è un caso che i vampiri trionfino nei momenti di crisi, quando il mondo intorno, quello delle nostre appartenenze familiari e magari ideologiche (penso a Carmilla) sembra costituito da vecchi impotenti. Che nella furia di distruggere il vampiro finiscono con l'assomigliargli... Di materiale per riflettere ce n'è insomma moltissimo.
Impossibile non pensare al bel film di Corrado Farina del '71, ...hanno cambiato faccia, ora riproposto in dvd da Gargoyle. E in particolare al suo personaggio-chiave, l'ingegner Giovanni Nosferatu con la faccia di Adolfo Celi, magnate di una grande casa automobilistica torinese – che però governa in modo occulto l'intera società con gli strumenti tecnologici e mediatici.
A questo punto, ovviamente, si attende da un momento all'altro l'interpellanza parlamentare contro Stoker, gli Orchi e il sottoscritto. Spero che la mia coautrice si salvi.
Non sarà che il vampiro ha un così grande successo perché, come si dice nel saggio, può vantare una specifica vocazione scenica? Visto che viviamo in un'epoca dove si preferisce l'apparire all'essere...
Sicuramente. Il vampiro è un mattatore, un formidabile animale scenico e un attore, come rimarcano i grandi classici vampireschi. Vivo virtuale anche se è morto, giovane virtuale anche se è plurisecolare... E del resto la codificazione moderna della sua figura, quella consumata attraverso le grandi platee, avviene nel segno dello spettacolo. L'uomo della strada ha un'idea di Dracula modellata non sul romanzo ma sulle trasposizioni cinematografiche, per il tramite teatrale di Hamilton Deane e John L. Balderston che avvicina il personaggio ai cattivi esotici della narrativa popolare anni Venti. Nella loro riscrittura il Conte diventa un pericoloso prestigiatore/ciarlatano in abito di seta: un modello che transiterà nel cinema attraverso la versione con Lugosi, ricevendo da lui un'ombra potente di torbida sensualità. A questo proposito mi fa piacere ricordare che per la prima volta in Italia la play Deane-Balderston è stata portata sulle scene qualche giorno fa (16/18 aprile 2009), a Torino, dalla giovane compagnia Thealtro per la regia di Antonello Panero. Riuscendo brillantemente a trasfondere vita in un copione che, alla lettura, mostrava il segno degli anni.
Di questa vocazione scenica del vampiro con la mia coautrice Angelica Tintori – che è appunto una specialista dei meccanismi della fiction televisiva e cinematografica – abbiamo cercato di dar conto in The Dark Screen. Una vocazione evidente fin dalle radici del romanzo, nei teatri vampirici precedenti a Dracula e nella vita dell'impresario Stoker, che lo progettò con un occhio alle scene. Ma anche in quella del modello virtuale Vlad l'Impalatore, che dello spettacolo – nell'accezione più nera – faceva uno strumento politico per tener testa a nemici interni ed esterni.
Personalmente posso dire che Dracula è anche un personaggio radiofonico. L'ho scoperto durante una malattia quando a letto ascoltavo i radiodrammi di radiouno con tanto di nacchere che riproducevano i rumori degli zoccoli dei cavalli. Dunque una personalità a tutto tondo?
Ricordo anch'io una versione radiofonica, penso la stessa (Raoul Grassilli come dottor Seward, vero?). Per non parlare di quella classica di Orson Welles: e del resto la radio, ancora nel Nuovo Millennio, mantiene qualcosa degli affascinanti strumenti di registrazione fonografica evocati da Stoker. Il calore del timbro vocale, ma la descrizione – che lascia libera la fantasia – in luogo della tagliente visione diretta...
Comunque certo, il vampiro e in particolare Dracula è un personaggio infinitamente pervasivo. E se nello spettacolo impazza, si trova perfettamente a suo agio anche su altri piani. Per esempio in letteratura: penso alla splendida monografia di Renato Giovannoli, Il vampiro innominato, uscita per Medusa in contemporanea col nostro libro. Col rapporto tra Dracula e Manzoni, Poe, Barrie, Kafka e Joyce...
Sul fatto della personalità a tutto tondo, però, si tratta di intendersi. Noi conosciamo Dracula solo attraverso le memorie dei suoi nemici, che oltretutto sono sempre in dubbio sulla propria lucidità mentale. I vampiri suoi nipoti brilleranno per presenzialismo, seminando persino interviste; al contrario Dracula resta distante, ombra irriconosciuta dei suoi stessi avversari e lettori. E qualcosa del genere vale anche per Carmilla, di cui parla un memoriale dell'amica Laura (morta), conservato dal dottor Hesselius (morto) e pubblicato dal suo curatore testamentario (devoto, e forse tonto). Certo, ci sono infiniti altri vampiri, ma il fatto che i capisaldi del filone offrano questo quadro sfuggente sembra già molto significativo. Diciamo che Dracula e Carmilla sono persone, soprattutto nel senso latino di maschere: e maschere anzitutto nostre e delle nostre crisi individuali e sociali. Qualcosa insomma di serissimo, che chi dileggia la letteratura di genere (termine brutto e limitante, ma tant'è) farebbe meglio a riconsiderare.
Perché secondo voi Dracula oltre ad essere il simbolo del male suggerisce anche una condizione di parziale impotenza? Non è forse vero che il vampiro del film di Herzog è un aristocratico consunto dal male di vivere e che la pellicola si basa su una nostalgica rivisitazione del passato?
Sì, Herzog è il regista che più enfatizza la patologia esistenziale di questo Passato-che-non-passa, la sua malinconica senescenza/impotenza venata a tratti di delirio: rileggendo così liberamente quella figura ibrida tra rapace, zanzara anofele e cadavere col rigor mortis che era l'Orlok di Murnau. Il Nosferatu di Herzog è un film che si può interpretare in parecchi modi, e certo è lontano dal romanzo: Dracula rappresenta forse solo un detonatore per le crisi e i vampirismi che il regista si vede intorno.
Ma la dimensione di senescenza sottolineata dai maestri tedeschi è presente già nel modello di Stoker. Dracula vi appare come un vecchio, e con caratteristiche piuttosto ripugnanti: la sua è una sopravvivenza da sanguisuga, una deriva della vita bloccata un passo prima della decomposizione. Persino quando "ringiovanisce" dopo essersi nutrito, il suo aspetto ha qualcosa di gonfio e laido. Certo, il Dracula di Stoker è latore del male, potente ed efficiente: una maschera anticristica, signore degli ossessi e dispensatore di antisacramenti. Nei fatti, il vampiro ha parzialmente occupato la nicchia dei diavoli romantici dell'Ottocento in abito da cavaliere e manto tenebroso – e ancora l'Orlok di Murnau compare a cassetta della sua surrealissima carrozza tenendo in testa il cappellino piumato di Mefistofele. Ma come il diavolo della teologia, Dracula è anzitutto vittima del male cui si è abbandonato (probabilmente con l'adesione alla Scolomanzia, la scuola degli stregoni, anche se il tema non viene sviluppato); e, divenuto non-morto, il suo comportamento è forzato da una sorta di incoercibile patologia dell'anima. In sostanza non è libero: un limite generale che si sovrappone a tutti i limiti particolari rispetto alla croce, l'aglio, eccetera. Mettiamo poi da parte le improbabili storie d'amore assegnategli dal cinema (Coppola incluso, anche se il suo film è bellissimo): per il Dracula del romanzo l'amore è qualcosa che, se mai c'è stato, appartiene al passato.
E questo limite tocca la stessa dimensione sessuale. In quanto (non-)morto, il vampiro è sterile: il folklore registra rarissimi casi di figli del vampiro, i cosiddetti dampyr, a ispirazione del bel fumetto di Mauro Boselli. L'impotenza di un personaggio che per consumare deve mordere, quasi ingrippato nella fase orale, è stata ovviamente oggetto di studi psicanalitici. Ma Stoker fa un discorso più ampio su vecchiaia e senescenza, fecondità e sterilità: pensiamo a quando, all'improvviso, nel romanzo spariscono quasi contemporaneamente tutte le figure di genitori dei protagonisti. È la crisi di una generazione che si trova improvvisamente orfana, e l'alternativa diventa quella tra due possibili padri di adozione, due vecchi contrapposti: il tirannico e incestuoso Dracula e il buono e saggio Van Helsing, modello di Uomo Nuovo. Ma se Dracula riesce almeno a "figliare" altri vampiri, la sua più avvenente consimile Carmilla sembra incapace anche di quello: un ulteriore livello, insomma, di sterilità in un orizzonte desolato che si fa metafora interiore.
Tolto però di scena il Conte Malinconico, Herzog ci avverte che un nuovo tipo di vampiro si trova già felicemente al galoppo: e stavolta senza nostalgie, senza memoria. Un vampiro che cavalca nel mondo che ci troviamo davanti, e di cui facciamo inevitabilmente parte.
Dracula è bisex?
Se partiamo dal presupposto che le vittime del vampiro abbiano una funzione essenzialmente alimentare, il problema si relativizza: ma una dimensione sessuale è innegabile. E senza qui entrare nel lungo discorso sulle spose di Dracula, in effetti alcuni accenni nel rapporto con l'ospite Harker possono far pensare a una tendenziale bisessualità del Conte.
Che tuttavia va letta, alla luce della morale e dell'immaginario vittoriani, in un più ampio e vago orizzonte di disordine esistenziale del vampiro: un mondo oscuro e segreto, indicibile e legato in particolare al sesso. Stoker trova del resto un precedente autorevole in Le Fanu, che a Carmilla attribuisce tendenze saffiche, ma anche connotazioni sadiche, incestuose...
Mi rendo conto che la domanda può sembrare azzardata... ma mi frullava nel cervello. Com'è che il mito del vampiro induce altri ad un'ossessiva coazione a ripetere? Penso a Bela Lugosi che negli ultimi anni si era pressoché identificato col personaggio di Dracula o il regista Jess Franco che realizzò decine e decine di pellicole sempre sullo stesso tema (secondo alcuno critici impietosi realizzò sempre lo stesso film).
Domanda molto bella, invece. Pensiamo alla contessa Mircalla del romanzo di Le Fanu, che vive il suo Eterno Ritorno nella schiavitù di uno stesso nome indefinitamente anagrammato: Carmilla, Millarca... D'altra parte il tema della coazione a ripetere è in stretta relazione con altri associati al vampiro: la rifrazione, il Doppio. O anche quella figura sghemba del ritrovare che è il Perturbante, riconoscibile/non riconosciuto spesso in senso sessuale. Le Fanu, coi suoi ossessivi racconti di doppi spettrali, tendeva a riscrivere continuamente le stesse storie; e nel mondo simbolico di Jess Franco – visto che l'hai citato – gli specchi hanno un'importanza particolare. In qualche modo il vampiro è anche la proiezione di questi meccanismi, dei rapporti irrisolti con qualcosa di profondo in noi stessi, a livello interiore ma anche sociale. Qualcosa che, è stato detto, finchè resta inascoltato continuerà a grattare contro i nostri vetri.
Il grande successo del 'Dracula'di Browning portò, nel 1931, un anno di attivo alla Universal durante la depressione. Come a dire che certo cinema possiede la facoltà di dare una forma visibile alle ombre (e che ombre! Ancora non si era usciti dallo spaventoso crack del '29). Facendo le debite differenze, che cinema ci dobbiamo aspettare in questo clima di sfiducia generale? Forse un 'Dracula contro la Marcegaglia'?
Anzi: quando Lugosi porta Dracula su grande schermo si è nel momento più cupo della Grande Crisi. Non saprei, la situazione è oggi molto diversa. Nel '31 i gangster soprannaturali dell'horror rappresentavano per il cinema un fenomeno relativamente circoscritto, oggi non più. Ma ora, come in genere nei momenti di crisi, potrebbe aprirsi per reazione qualche spazio nuovo di creatività. Potrebbero riapparire i film sperimentali, a budget minimo, che negli anni Settanta hanno costituito un bacino di straordinario interesse. Non so, sono semplici ipotesi.
Visto però che siamo in clima di auspici, chissà che in Italia non si scopra finalmente che la narrativa horror è un altro importante modo di dar forma visibile alle ombre, di definirle e ragionarci. E che non rappresenta affatto un genere di serie B, rispetto (che so?) al noir giustamente celebrato. Trovo in questo senso molto importante e coraggiosa – e lo dico da tempi non sospetti, prima che diventasse il nostro editore – l'operazione che Paolo De Crescenzo della Gargoyle sta portando avanti.
Di tutte le parodie che sono state fatte (ci si è messa anche la letteratura con romanzi che spesso mostravano l'incontro tra personaggi-mito) qual è quella che secondo voi mostra meno i limiti di un mero prodotto commerciale?
Credo di interpretare anche il pensiero della mia coautrice menzionando Per favore non mordermi sul collo di Roman Polanski, che non parla in senso proprio di Dracula ma lo richiama indirettamente. In realtà confesso che mi sono divertito anche con prodotti ingenui e commerciali come Il cervello di Frankenstein con Gianni e Pinotto, o Tempi duri per i vampiri con Renato Rascel: in uno c'è Lugosi e nell'altro Lee, e sono fatti con onesto mestiere. Se però dovessi consigliare a un amico qualcosa di meno noto, suggerirei l'esilarante Magic Christian (Le incredibili avventure del signor Grand col complesso del miliardo e il pallino della truffa): solo per patiti dell'humor britannico, ma schiera Peter Sellers, Ringo Starr, Richard Attenborough, Raquel Welch come "sacerdotessa della frusta", Ferdy Mayne, Dennis Price... e Chistopher Lee nei panni di un vampiro, pochi minuti di film ma indimenticabili. Per la narrativa – ma con infiniti ammiccamenti cinefili – citerei invece Anno Dracula di Kim Newman, apparso anche in Italia qualche anno fa: un gioco scintillante d'intelligenza sui problemi delle società multiculturali.
Come mai avete spesso titolato dei sottocapitoli con i nomi di altri film? Sembra una sorta di continuità storico-filologica che determina l'assoluta imprescindibilità del personaggio-cinematografico Dracula.
A dir la verità è nato soprattutto come un divertissement, per rendere più lieve la narrazione. Ma sposo senz'altro la tua interpretazione, che mi piace moltissimo...
Solo con le risposte si potrebbe scrivere un libro... e del resto gli esempi che riporti offrono già un quadro molto variegato, sia per tipologia vampirica (diciamo così) che per profondità di riflessione. La produzione Rice ha avuto alti e bassi, Ho freddo è uno splendido romanzo filosofico, Il 18° vampiro di Vergnani è una prova di genere molto buona, mentre la Meyer scrive decorosamente ma non è horror... Mi limito quindi a qualche riflessione.
Il vampiro, soprattutto quello rivisto e corretto dalla fiction, è figura dell'ambiguità – a cavallo tra vita e morte, umanità e ferinità, inafferrabilità spettrale e concretezza corporea, ripugnanza e fascinazione. Un signore insomma dell'indecidibile fermo al crocevia della possibilità: come un perenne adolescente in agguato all'incrocio tra tutte le determinazioni di natura e cultura. In più è un irriducibile trasformista, un attore e un dominatore dei media: fin da quando, nel Settecento, i lettori di gazzette si strappavano dalle mani le pagine sui suoi crimini in remote Ungherie. Il passaggio stesso dall'impresentabile babau del folklore all'X-man belloccio di Twilight la dice lunga: anzi il suo metamorfismo gli permette di assurgere oggi a supermetafora del fantastico, un passe-partout per spendere i temi della morte, del sesso e dell'irresolubilità esistenziale nell'ambito dei più vari generi narrativi. Vampiri detective o eroi fantasy, vampiri astronauti o sui banchi di scuola... Col suo statuto sfuggente il vampiro è insomma immagine di un'ambiguità che ha molto a che vedere con la nostra condizione (post)moderna di fedi oscurate, categorie in crisi, mancate scelte e possibilità non chiuse.
Per questo, d'altra parte, piace tanto agli adolescenti, con cui condivide una condizione di indefinitezza che pare proiettata verso ogni futuro possibile, la sensazione d'immortalità e di potere illimitato, la scoperta del sesso ma anche delle nostre zone più oscure e segrete... e i fastidi per i paletti (scusa il gioco di parole) del mondo adulto.
C'è poi la dimensione seduttiva: sorto dalle nebbie di un oscuro immaginario sulla sessualità dei morti, il vampiro diventa divoratore sessuale. E per noi, che viviamo nell'Età della Seduzione (erotica ma anche mediatica, politica, finanziaria...) una simile figura risulta terribilmente intrigante.
Nell'introduzione si dice che il vampiro è sempre di moda perché è un pianificatore, mostro di seduzione e manipolatore delle menti più deboli. Mi sembra francamente il ritratto di Berlusconi.
(Ride:) Il fantastico come genere – anzi, supergenere, comprensivo di horror, SF, eccetera – è in effetti una formidabile, provocatoria macchina per pensare. Un linguaggio-laboratorio, in cui esaminiamo le possibilità del reale: quelle già declinate a livello storico o interiore, e insieme quelle che potrebbero esserlo... magari un secolo dopo. Se poi rammentiamo che lo specchio non riflette il vampiro – cioè non ce lo fa riconoscere nella nostra immagine riflessa, e in quella della società che edifichiamo – la metafora svela tutta la sua potenza, la sua scomodità.
Anche se, ovviamente, lo statuto mitico di una figura come quella del Conte non-morto impedisce che si consumi nelle sue rifrazioni storiche. E appunto la forma soggettiva, rispettivamente memoriale ed epistolare, delle due grandi narrazioni anglosassoni ottocentesche sui vampiri, Carmilla e Dracula, sembra ricordarci qualcosa di impegnativo: che cioè l'icona del Seduttore vampiresco ha anzitutto le sue radici in noi, nei nostri sogni spesso di piccolo cabotaggio, nella nostra disponibilità a farci assoggettare. È il caso di Jonathan, di Lucy... Certo, resistere a tutto questo può essere molto difficile – e non sto facendo dell'irenismo a basso prezzo. Non è un caso che i vampiri trionfino nei momenti di crisi, quando il mondo intorno, quello delle nostre appartenenze familiari e magari ideologiche (penso a Carmilla) sembra costituito da vecchi impotenti. Che nella furia di distruggere il vampiro finiscono con l'assomigliargli... Di materiale per riflettere ce n'è insomma moltissimo.
Impossibile non pensare al bel film di Corrado Farina del '71, ...hanno cambiato faccia, ora riproposto in dvd da Gargoyle. E in particolare al suo personaggio-chiave, l'ingegner Giovanni Nosferatu con la faccia di Adolfo Celi, magnate di una grande casa automobilistica torinese – che però governa in modo occulto l'intera società con gli strumenti tecnologici e mediatici.
A questo punto, ovviamente, si attende da un momento all'altro l'interpellanza parlamentare contro Stoker, gli Orchi e il sottoscritto. Spero che la mia coautrice si salvi.
Non sarà che il vampiro ha un così grande successo perché, come si dice nel saggio, può vantare una specifica vocazione scenica? Visto che viviamo in un'epoca dove si preferisce l'apparire all'essere...
Sicuramente. Il vampiro è un mattatore, un formidabile animale scenico e un attore, come rimarcano i grandi classici vampireschi. Vivo virtuale anche se è morto, giovane virtuale anche se è plurisecolare... E del resto la codificazione moderna della sua figura, quella consumata attraverso le grandi platee, avviene nel segno dello spettacolo. L'uomo della strada ha un'idea di Dracula modellata non sul romanzo ma sulle trasposizioni cinematografiche, per il tramite teatrale di Hamilton Deane e John L. Balderston che avvicina il personaggio ai cattivi esotici della narrativa popolare anni Venti. Nella loro riscrittura il Conte diventa un pericoloso prestigiatore/ciarlatano in abito di seta: un modello che transiterà nel cinema attraverso la versione con Lugosi, ricevendo da lui un'ombra potente di torbida sensualità. A questo proposito mi fa piacere ricordare che per la prima volta in Italia la play Deane-Balderston è stata portata sulle scene qualche giorno fa (16/18 aprile 2009), a Torino, dalla giovane compagnia Thealtro per la regia di Antonello Panero. Riuscendo brillantemente a trasfondere vita in un copione che, alla lettura, mostrava il segno degli anni.
Di questa vocazione scenica del vampiro con la mia coautrice Angelica Tintori – che è appunto una specialista dei meccanismi della fiction televisiva e cinematografica – abbiamo cercato di dar conto in The Dark Screen. Una vocazione evidente fin dalle radici del romanzo, nei teatri vampirici precedenti a Dracula e nella vita dell'impresario Stoker, che lo progettò con un occhio alle scene. Ma anche in quella del modello virtuale Vlad l'Impalatore, che dello spettacolo – nell'accezione più nera – faceva uno strumento politico per tener testa a nemici interni ed esterni.
Personalmente posso dire che Dracula è anche un personaggio radiofonico. L'ho scoperto durante una malattia quando a letto ascoltavo i radiodrammi di radiouno con tanto di nacchere che riproducevano i rumori degli zoccoli dei cavalli. Dunque una personalità a tutto tondo?
Ricordo anch'io una versione radiofonica, penso la stessa (Raoul Grassilli come dottor Seward, vero?). Per non parlare di quella classica di Orson Welles: e del resto la radio, ancora nel Nuovo Millennio, mantiene qualcosa degli affascinanti strumenti di registrazione fonografica evocati da Stoker. Il calore del timbro vocale, ma la descrizione – che lascia libera la fantasia – in luogo della tagliente visione diretta...
Comunque certo, il vampiro e in particolare Dracula è un personaggio infinitamente pervasivo. E se nello spettacolo impazza, si trova perfettamente a suo agio anche su altri piani. Per esempio in letteratura: penso alla splendida monografia di Renato Giovannoli, Il vampiro innominato, uscita per Medusa in contemporanea col nostro libro. Col rapporto tra Dracula e Manzoni, Poe, Barrie, Kafka e Joyce...
Sul fatto della personalità a tutto tondo, però, si tratta di intendersi. Noi conosciamo Dracula solo attraverso le memorie dei suoi nemici, che oltretutto sono sempre in dubbio sulla propria lucidità mentale. I vampiri suoi nipoti brilleranno per presenzialismo, seminando persino interviste; al contrario Dracula resta distante, ombra irriconosciuta dei suoi stessi avversari e lettori. E qualcosa del genere vale anche per Carmilla, di cui parla un memoriale dell'amica Laura (morta), conservato dal dottor Hesselius (morto) e pubblicato dal suo curatore testamentario (devoto, e forse tonto). Certo, ci sono infiniti altri vampiri, ma il fatto che i capisaldi del filone offrano questo quadro sfuggente sembra già molto significativo. Diciamo che Dracula e Carmilla sono persone, soprattutto nel senso latino di maschere: e maschere anzitutto nostre e delle nostre crisi individuali e sociali. Qualcosa insomma di serissimo, che chi dileggia la letteratura di genere (termine brutto e limitante, ma tant'è) farebbe meglio a riconsiderare.
Perché secondo voi Dracula oltre ad essere il simbolo del male suggerisce anche una condizione di parziale impotenza? Non è forse vero che il vampiro del film di Herzog è un aristocratico consunto dal male di vivere e che la pellicola si basa su una nostalgica rivisitazione del passato?
Sì, Herzog è il regista che più enfatizza la patologia esistenziale di questo Passato-che-non-passa, la sua malinconica senescenza/impotenza venata a tratti di delirio: rileggendo così liberamente quella figura ibrida tra rapace, zanzara anofele e cadavere col rigor mortis che era l'Orlok di Murnau. Il Nosferatu di Herzog è un film che si può interpretare in parecchi modi, e certo è lontano dal romanzo: Dracula rappresenta forse solo un detonatore per le crisi e i vampirismi che il regista si vede intorno.
Ma la dimensione di senescenza sottolineata dai maestri tedeschi è presente già nel modello di Stoker. Dracula vi appare come un vecchio, e con caratteristiche piuttosto ripugnanti: la sua è una sopravvivenza da sanguisuga, una deriva della vita bloccata un passo prima della decomposizione. Persino quando "ringiovanisce" dopo essersi nutrito, il suo aspetto ha qualcosa di gonfio e laido. Certo, il Dracula di Stoker è latore del male, potente ed efficiente: una maschera anticristica, signore degli ossessi e dispensatore di antisacramenti. Nei fatti, il vampiro ha parzialmente occupato la nicchia dei diavoli romantici dell'Ottocento in abito da cavaliere e manto tenebroso – e ancora l'Orlok di Murnau compare a cassetta della sua surrealissima carrozza tenendo in testa il cappellino piumato di Mefistofele. Ma come il diavolo della teologia, Dracula è anzitutto vittima del male cui si è abbandonato (probabilmente con l'adesione alla Scolomanzia, la scuola degli stregoni, anche se il tema non viene sviluppato); e, divenuto non-morto, il suo comportamento è forzato da una sorta di incoercibile patologia dell'anima. In sostanza non è libero: un limite generale che si sovrappone a tutti i limiti particolari rispetto alla croce, l'aglio, eccetera. Mettiamo poi da parte le improbabili storie d'amore assegnategli dal cinema (Coppola incluso, anche se il suo film è bellissimo): per il Dracula del romanzo l'amore è qualcosa che, se mai c'è stato, appartiene al passato.
E questo limite tocca la stessa dimensione sessuale. In quanto (non-)morto, il vampiro è sterile: il folklore registra rarissimi casi di figli del vampiro, i cosiddetti dampyr, a ispirazione del bel fumetto di Mauro Boselli. L'impotenza di un personaggio che per consumare deve mordere, quasi ingrippato nella fase orale, è stata ovviamente oggetto di studi psicanalitici. Ma Stoker fa un discorso più ampio su vecchiaia e senescenza, fecondità e sterilità: pensiamo a quando, all'improvviso, nel romanzo spariscono quasi contemporaneamente tutte le figure di genitori dei protagonisti. È la crisi di una generazione che si trova improvvisamente orfana, e l'alternativa diventa quella tra due possibili padri di adozione, due vecchi contrapposti: il tirannico e incestuoso Dracula e il buono e saggio Van Helsing, modello di Uomo Nuovo. Ma se Dracula riesce almeno a "figliare" altri vampiri, la sua più avvenente consimile Carmilla sembra incapace anche di quello: un ulteriore livello, insomma, di sterilità in un orizzonte desolato che si fa metafora interiore.
Tolto però di scena il Conte Malinconico, Herzog ci avverte che un nuovo tipo di vampiro si trova già felicemente al galoppo: e stavolta senza nostalgie, senza memoria. Un vampiro che cavalca nel mondo che ci troviamo davanti, e di cui facciamo inevitabilmente parte.
Dracula è bisex?
Se partiamo dal presupposto che le vittime del vampiro abbiano una funzione essenzialmente alimentare, il problema si relativizza: ma una dimensione sessuale è innegabile. E senza qui entrare nel lungo discorso sulle spose di Dracula, in effetti alcuni accenni nel rapporto con l'ospite Harker possono far pensare a una tendenziale bisessualità del Conte.
Che tuttavia va letta, alla luce della morale e dell'immaginario vittoriani, in un più ampio e vago orizzonte di disordine esistenziale del vampiro: un mondo oscuro e segreto, indicibile e legato in particolare al sesso. Stoker trova del resto un precedente autorevole in Le Fanu, che a Carmilla attribuisce tendenze saffiche, ma anche connotazioni sadiche, incestuose...
Mi rendo conto che la domanda può sembrare azzardata... ma mi frullava nel cervello. Com'è che il mito del vampiro induce altri ad un'ossessiva coazione a ripetere? Penso a Bela Lugosi che negli ultimi anni si era pressoché identificato col personaggio di Dracula o il regista Jess Franco che realizzò decine e decine di pellicole sempre sullo stesso tema (secondo alcuno critici impietosi realizzò sempre lo stesso film).
Domanda molto bella, invece. Pensiamo alla contessa Mircalla del romanzo di Le Fanu, che vive il suo Eterno Ritorno nella schiavitù di uno stesso nome indefinitamente anagrammato: Carmilla, Millarca... D'altra parte il tema della coazione a ripetere è in stretta relazione con altri associati al vampiro: la rifrazione, il Doppio. O anche quella figura sghemba del ritrovare che è il Perturbante, riconoscibile/non riconosciuto spesso in senso sessuale. Le Fanu, coi suoi ossessivi racconti di doppi spettrali, tendeva a riscrivere continuamente le stesse storie; e nel mondo simbolico di Jess Franco – visto che l'hai citato – gli specchi hanno un'importanza particolare. In qualche modo il vampiro è anche la proiezione di questi meccanismi, dei rapporti irrisolti con qualcosa di profondo in noi stessi, a livello interiore ma anche sociale. Qualcosa che, è stato detto, finchè resta inascoltato continuerà a grattare contro i nostri vetri.
Il grande successo del 'Dracula'di Browning portò, nel 1931, un anno di attivo alla Universal durante la depressione. Come a dire che certo cinema possiede la facoltà di dare una forma visibile alle ombre (e che ombre! Ancora non si era usciti dallo spaventoso crack del '29). Facendo le debite differenze, che cinema ci dobbiamo aspettare in questo clima di sfiducia generale? Forse un 'Dracula contro la Marcegaglia'?
Anzi: quando Lugosi porta Dracula su grande schermo si è nel momento più cupo della Grande Crisi. Non saprei, la situazione è oggi molto diversa. Nel '31 i gangster soprannaturali dell'horror rappresentavano per il cinema un fenomeno relativamente circoscritto, oggi non più. Ma ora, come in genere nei momenti di crisi, potrebbe aprirsi per reazione qualche spazio nuovo di creatività. Potrebbero riapparire i film sperimentali, a budget minimo, che negli anni Settanta hanno costituito un bacino di straordinario interesse. Non so, sono semplici ipotesi.
Visto però che siamo in clima di auspici, chissà che in Italia non si scopra finalmente che la narrativa horror è un altro importante modo di dar forma visibile alle ombre, di definirle e ragionarci. E che non rappresenta affatto un genere di serie B, rispetto (che so?) al noir giustamente celebrato. Trovo in questo senso molto importante e coraggiosa – e lo dico da tempi non sospetti, prima che diventasse il nostro editore – l'operazione che Paolo De Crescenzo della Gargoyle sta portando avanti.
Di tutte le parodie che sono state fatte (ci si è messa anche la letteratura con romanzi che spesso mostravano l'incontro tra personaggi-mito) qual è quella che secondo voi mostra meno i limiti di un mero prodotto commerciale?
Credo di interpretare anche il pensiero della mia coautrice menzionando Per favore non mordermi sul collo di Roman Polanski, che non parla in senso proprio di Dracula ma lo richiama indirettamente. In realtà confesso che mi sono divertito anche con prodotti ingenui e commerciali come Il cervello di Frankenstein con Gianni e Pinotto, o Tempi duri per i vampiri con Renato Rascel: in uno c'è Lugosi e nell'altro Lee, e sono fatti con onesto mestiere. Se però dovessi consigliare a un amico qualcosa di meno noto, suggerirei l'esilarante Magic Christian (Le incredibili avventure del signor Grand col complesso del miliardo e il pallino della truffa): solo per patiti dell'humor britannico, ma schiera Peter Sellers, Ringo Starr, Richard Attenborough, Raquel Welch come "sacerdotessa della frusta", Ferdy Mayne, Dennis Price... e Chistopher Lee nei panni di un vampiro, pochi minuti di film ma indimenticabili. Per la narrativa – ma con infiniti ammiccamenti cinefili – citerei invece Anno Dracula di Kim Newman, apparso anche in Italia qualche anno fa: un gioco scintillante d'intelligenza sui problemi delle società multiculturali.
Come mai avete spesso titolato dei sottocapitoli con i nomi di altri film? Sembra una sorta di continuità storico-filologica che determina l'assoluta imprescindibilità del personaggio-cinematografico Dracula.
A dir la verità è nato soprattutto come un divertissement, per rendere più lieve la narrazione. Ma sposo senz'altro la tua interpretazione, che mi piace moltissimo...
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