INTERVISTE
Giuseppe Schillaci
Noi orchi ci si lamenta della letteratura giovanile tutta uguale che è 'afflitta' dai riti di passaggio di salingeriana memoria. Poi s'affaccia Schillaci, che ha poco più di trent'anni e parla del '48 e ci si meraviglia. Dici che non ci accontentiamo mai?
C'è la letteratura e l'editoria, l'opera e il mercato: cose diverse. E poi c'è questo bisogno esasperato di classificare e di racchiudere un libro in categorie consolatorie, di "personalizzare" l'autore, di ridurlo a feticcio, di parlare di uno scrittore a partire dalla sua biografia, persino dall'anagrafe. A me interessa il testo, l'opera. Il romanzo non muore e l'ambientazione storica è una scelta, né più difficile né più banale di altre.
Ma tu perché hai scelto proprio la Sicilia del 48? Confessa!
C'è poco da confessare, l'ho scritto in modo esplicito anche nella bandella del libro: mi sembra un anno emblematico per capire l'Italia di oggi, le ceneri che restano oggi. Ho cercato l'origine di questo sgretolamento dell'umanità, o almeno di una nobile idea di umanità. Il 1948 è l'anno delle prime elezioni italiane in un contesto di alleanze segrete, di voti di scambio e presenze oscure, un anno in cui tutto era ancora virtualmente possibile e in cui è stato deciso il destino culturale, sociale e politico dell'Italia.
Quanto devi a 'Le parrocchie di Regalpetra' di Sciascia?
Devo molto a Sciascia, per la verità non in modo particolare all'opera a cui fai riferimento, così come a tutti gli scrittori siciliani del Novecento: Brancati, Vittorini, Bufalino, Consolo, D'Arrigo, Addamo, etc.
Ma era necessario citare Gedda, il microfono di Dio e l'attentato a Togliatti per descrivere l'Itali(ett)a del '48?
I riferimenti a figure storiche realmente esistite sono funzionali alla narrazione, non sono lì ad arredare. E poi spesso riesumano una memoria storica ormai dimenticata. Cosa ne sai di Gedda? Ne hai sentito parlare ultimamente? Il riferimento alla politica è ovvio perché i personaggi del mio romanzo sono attivi nella propaganda elettorale del 1948 e vivono in un ambiente in cui la politica è vita quotidiana. Non mi piacciono le citazioni colte, ma trovo che questa tua domanda sia davvero superficiale e quindi chiamo in causa una scrittrice che non mi sembra sia proprio siciliana o marxista, Marguerite Yourcenar: "i personaggi dei romanzi storici debbono essere sempre sorretti da testimonianze ed eventi tratti dai fatti e dalle date della vita passata, e cioè dalla storia, per imprimere realtà specifica al personaggio immaginario, condizionato dal tempo o dal luogo, senza di che il romanzo storico non è che un ballo in maschera".
Personalmente non mi è piaciuto il tuo incedere linguistico-vernacolare (anche neologismi? Dimmelo tu) della prima parte. Preferisco quello che dici a pag. 49: I Bonanno ridono come non capitava da prima delle bombe.
Non capisco la definizione linguistico-vernacolare, non capisco cosa c'entrino i neologismi. Ovviamente, se parliamo di letteratura italiana, non possiamo prescindere dal dato regionalistico, soprattutto in un romanzo ambientato vent'anni prima dell'unificazione linguistico-televisiva degli anni Sessanta. Prima parlavi di Sciascia, appunto. Io ho tentato di sporcare l'italiano con dialettismi e innesti gergali (c'è anche l'americano) secondo un metodo più vicino a Sciascia e Vittorini, che a D'Arrigo o Consolo. Ho provato a fare questa operazione con cura, cercando di legare ogni intervento alla necessità di esprimere un senso che solo la parola "locale" poteva cogliere. Queste erano le mie intenzioni, ma poi è il testo che parla e quindi non è detto che io ci sia riuscito.
Insisto: noi orchi detestiamo la letteratura degli esordienti. Il libro della Silvia Avallone, Acciaio, che ha già vinto il premio Campiello opera prima, ci ha fatto cagare (scusa l'espressione). Tu come stai messo in proposito? Hai qualche nome su cui puntare?
Non so, lascio a voi il giudizio e gli slogan. Ci sono opere interessanti anche tra gli esordienti e ci sono tante operazioni di marketing. Un bravo critico dovrebbe analizzare il testo, orientare il lettore rispetto all'opera, non schierarsi con partiti "intellettuali" più o meno alla moda.
Ma Consolo, che partecipa alla presentazione del tuo libro, dove lo hai pescato?
Sinceramente, è proprio una domanda formulata male e le parole, specie per chi scrive in un blog "letterario", dovrebbero essere importanti.
Ti senti rappresentato dalla Sicilia di Camilleri?
Ecco, ci mancava pure la domanda su Camilleri.
Ti interessi anche di cinema. Hai vinto pure un premio speciale al Torino Film Festival con un documentario sul fotografo della Magnum Antoine D'Agata. Ce ne vuoi parlare?
Documentario e romanzo sono linguaggi evidentemente molto diversi, ma entrambi condividono una forte passione per la realtà e la necessità di strutturare la narrazione, lottare con il caos per cercare il senso. Riguardo al film che citi, si tratta di una co-regia: sul sito www.cambodianroom.com ci sono maggiori informazioni.
C'è la letteratura e l'editoria, l'opera e il mercato: cose diverse. E poi c'è questo bisogno esasperato di classificare e di racchiudere un libro in categorie consolatorie, di "personalizzare" l'autore, di ridurlo a feticcio, di parlare di uno scrittore a partire dalla sua biografia, persino dall'anagrafe. A me interessa il testo, l'opera. Il romanzo non muore e l'ambientazione storica è una scelta, né più difficile né più banale di altre.
Ma tu perché hai scelto proprio la Sicilia del 48? Confessa!
C'è poco da confessare, l'ho scritto in modo esplicito anche nella bandella del libro: mi sembra un anno emblematico per capire l'Italia di oggi, le ceneri che restano oggi. Ho cercato l'origine di questo sgretolamento dell'umanità, o almeno di una nobile idea di umanità. Il 1948 è l'anno delle prime elezioni italiane in un contesto di alleanze segrete, di voti di scambio e presenze oscure, un anno in cui tutto era ancora virtualmente possibile e in cui è stato deciso il destino culturale, sociale e politico dell'Italia.
Quanto devi a 'Le parrocchie di Regalpetra' di Sciascia?
Devo molto a Sciascia, per la verità non in modo particolare all'opera a cui fai riferimento, così come a tutti gli scrittori siciliani del Novecento: Brancati, Vittorini, Bufalino, Consolo, D'Arrigo, Addamo, etc.
Ma era necessario citare Gedda, il microfono di Dio e l'attentato a Togliatti per descrivere l'Itali(ett)a del '48?
I riferimenti a figure storiche realmente esistite sono funzionali alla narrazione, non sono lì ad arredare. E poi spesso riesumano una memoria storica ormai dimenticata. Cosa ne sai di Gedda? Ne hai sentito parlare ultimamente? Il riferimento alla politica è ovvio perché i personaggi del mio romanzo sono attivi nella propaganda elettorale del 1948 e vivono in un ambiente in cui la politica è vita quotidiana. Non mi piacciono le citazioni colte, ma trovo che questa tua domanda sia davvero superficiale e quindi chiamo in causa una scrittrice che non mi sembra sia proprio siciliana o marxista, Marguerite Yourcenar: "i personaggi dei romanzi storici debbono essere sempre sorretti da testimonianze ed eventi tratti dai fatti e dalle date della vita passata, e cioè dalla storia, per imprimere realtà specifica al personaggio immaginario, condizionato dal tempo o dal luogo, senza di che il romanzo storico non è che un ballo in maschera".
Personalmente non mi è piaciuto il tuo incedere linguistico-vernacolare (anche neologismi? Dimmelo tu) della prima parte. Preferisco quello che dici a pag. 49: I Bonanno ridono come non capitava da prima delle bombe.
Non capisco la definizione linguistico-vernacolare, non capisco cosa c'entrino i neologismi. Ovviamente, se parliamo di letteratura italiana, non possiamo prescindere dal dato regionalistico, soprattutto in un romanzo ambientato vent'anni prima dell'unificazione linguistico-televisiva degli anni Sessanta. Prima parlavi di Sciascia, appunto. Io ho tentato di sporcare l'italiano con dialettismi e innesti gergali (c'è anche l'americano) secondo un metodo più vicino a Sciascia e Vittorini, che a D'Arrigo o Consolo. Ho provato a fare questa operazione con cura, cercando di legare ogni intervento alla necessità di esprimere un senso che solo la parola "locale" poteva cogliere. Queste erano le mie intenzioni, ma poi è il testo che parla e quindi non è detto che io ci sia riuscito.
Insisto: noi orchi detestiamo la letteratura degli esordienti. Il libro della Silvia Avallone, Acciaio, che ha già vinto il premio Campiello opera prima, ci ha fatto cagare (scusa l'espressione). Tu come stai messo in proposito? Hai qualche nome su cui puntare?
Non so, lascio a voi il giudizio e gli slogan. Ci sono opere interessanti anche tra gli esordienti e ci sono tante operazioni di marketing. Un bravo critico dovrebbe analizzare il testo, orientare il lettore rispetto all'opera, non schierarsi con partiti "intellettuali" più o meno alla moda.
Ma Consolo, che partecipa alla presentazione del tuo libro, dove lo hai pescato?
Sinceramente, è proprio una domanda formulata male e le parole, specie per chi scrive in un blog "letterario", dovrebbero essere importanti.
Ti senti rappresentato dalla Sicilia di Camilleri?
Ecco, ci mancava pure la domanda su Camilleri.
Ti interessi anche di cinema. Hai vinto pure un premio speciale al Torino Film Festival con un documentario sul fotografo della Magnum Antoine D'Agata. Ce ne vuoi parlare?
Documentario e romanzo sono linguaggi evidentemente molto diversi, ma entrambi condividono una forte passione per la realtà e la necessità di strutturare la narrazione, lottare con il caos per cercare il senso. Riguardo al film che citi, si tratta di una co-regia: sul sito www.cambodianroom.com ci sono maggiori informazioni.
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