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CINEMA E MUSICA

Adriano Angelini Sut

"Given To the Wild" dei Maccabees è l'album dell'anno, lo dico a marzo.

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La prima volta che ho ascoltato "Feel to follow", il singolo estratto dall'ultimo album di questo straordinario gruppo di Brighton, i Maccabees, non solo sono rimasto folgorato ma mi sono detto che eravamo in presenza di uno di quei capolavori che fiuti subito. Bastano poche note. Un pezzo che sembra ispirato da una divinità delle ballate elettriche. Con quel finale incalzante e allucinato. Solo che per parlare di Given to the Wild, il nuovo incredibile album dei Maccabees (il terzo in studio dal 2005) mi ci vorrebbe uno spazio illimitato.

Perché siamo in presenza di un miracolo. Da dove cominciamo? Dal suono. Dalla voce celestiale di Orlando Weeks, ispirata da altri mondi. Tutto è una meraviglia in questo lavoro. Prendiamo un brano a caso delle tredici tracce, "Glimmer", dove riff di chitarra ripetuti e le ipnotiche tastiere di Will White sono capaci di abbracciare in meno di 4 minuti dai Tears for Fears agli Horrors passando per i Simple Minds, e le atmosfere elettrizzate post Radiohead. Un incanto. Così come un incanto e un portento è "Pelican"; un indefinibile ballata che parte rock come nemmeno i Van Halen per trasformarsi in un viaggio folk psichedelico, stessa struttura di Feel to Follow con un finale che incalzante e frenetico è dire poco. Prendete "Forever I've Known", distorsioni sonore che ricordano, udite udite, i Roxy Music in salsa elettro punk; tutto è crescendo, ballate impetuose come cavalcate, affondi e arretramenti, momenti riflessivi e scoppi di suono violentissimi. La voce di Weeks sapientemente modula ritmi ed eccessi. "Heave", malinconica e sottile come un coro lontano che s'insinua da chissà dove. Prendete "Go", solenne nelle sue accensioni. Dove le chitarre giocano e ricorrersi in fraseggi spericolati e quasi dark. Oppure "Unknown"; forse il brano più cupo con echi sfrangiati di paesaggi post new wave, dove i Sister of Mercy addolciti lanciano bordate di fuoco agli anni 2000 che tutto hanno fagocitato, rimescolato, reinventato. Straziante. Orlando Weeks è la voce del decennio, condensa di tutto, dal rock al punk al bel canto. Prendete "Slowly One", una piccola estasi, uno spazio calmo di tastiere oceaniche, little by little ripetuta come una nenia ossessiva che infila perle nel prezioso tessuto sonoro distorto. Il solito impeto nel crescendo, le chitarre che parlano e dicono. Dicono che la musica inglese quando piazza i suoi colpi lo fa con una precisione, un'eleganza e una sagacia ineguagliabili a livello planetario. "Grew up at midnight", sibilo solitario in chiusura (oddio non vi ho parlato di "Child", brano d'apertura; come sopra, sensorialmente dilatante). C'è qualcosa che richiama gli Elbow, ma li supera in poesia e spaziosità. I Maccabees sono la rivelazione dell'anno e non solo. Non ditemi che non c'azzecco, avevo predetto fiamme e fuoco per i Foo Fighters, lo scorso anno. Hanno vinto di tutto. Aspettiamo e vediamo. Anzi vedrete. "Grew up at midnight" un tripudio. In chiusura di album c'è un video clip della title track. Visionario, in mezzo alla natura selvaggia. La perfetta colonna sonora per chi vuole andarsene alla scoperta di quel sé inesplorato e mai sufficientemente domo, fra grotte, mare impetuoso del nord e incontaminati terreni grigio verdi di pietre, rocce, radici. Qui, andate qui. http://www.themaccabees.co.uk/





The Maccabees

Given to the Wild

Fiction Records - 2012







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