ATTUALITA'
Raffaele Izzo
I detective dell'occulto: Rileggendo "Uno scomodo cappotto di legno" di Simone Dellera
Questo romanzo assume, a rileggerlo adesso, una importanza duplice: da un lato come una storia autonoma, in grado di intrattenere il lettore, reinterpretando in maniera non banale alcuni canoni classici dell’horror da Poe a Lovecraft. Dall’altro è un testo seminale, perché introduce quello che sarà il personaggio vincente dell’autore, quel Mickey De Santis, detective dell’occulto, presente in altri due libri, Sette e Sette vibrisse.
Tutto il testo dimostra la veridicità della teoria secondo cui non è l’Autore a inventare i personaggi ma, viceversa, pirandellianamente, sono loro a farsi largo nella mente dei lettori e dello scrittore.
Chi ha letto il libro alla sua uscita, ovviamente, non avrebbe potuto trarre queste conclusioni, non avendo ancora visto gli sviluppi futuri. E per questo che il lavoro del critico è sempre un work in progress. Il punto di vista deve sempre essere messo in discussione.
Il critico dunque, anni fa, ha potuto mettere in luce solo la prima delle due componenti di cui parlavamo.
E dunque, giusto per rimembrare cose che sono già state scritte, ecco le qualità del testo, asciutto, sintetico, che guida il lettore attraverso una Milano calda e afosa, vista dalle prospettive di pochi personaggi, tutti ben delineati. Il giovane attore perso nell’Arte, un regista mezzo delinquente, una serie di comprimari visualizzati egregiamente. Una trama che, nella tradizione di un horror d’autore a la Hitchock, non punta al truculento, ma a creare atmosfere di mistero e suspence. Ed ecco allora la maestria nel distribuire le informazioni lentamente all’inizio, per accelerare verso un finale veramente inatteso. Anche la gestione dei toni è magistrale. Lontano dagli stereotipi ormai invalsi nei generi contemporanei, qui si respira una varietà di atmosfere, dalla commedia all’horror, dalla satira al grottesco, che lascia con un gusto veramente da grande film classico degli anni cinquanta.
Ma ecco che, improvvisamente, spicca fuori un personaggio, Mickey De Santis, così, fuori contesto, con forza, a racconto quasi finito. Sembra quasi, veramente, che abbia voluto sfondare di prepotenza, per entrare nel gioco narrativo. E infatti, la storia è già finita quando lui arriva. Tutto si è già concluso. Anche rispetto alla tradizione del giallo Mickey è un’anomalia. Quando mai si è vista un’indagine che inizia a fine libro anziché all’inizio? A lui non spetta, in questo libro, il compito di indagare, o catturare assassini. Capisce solo come sono andati i fatti per poi riassumerli. Come un grande personaggio del fumetto western d’autore, Ken Parker, anche lui a volte testimone impotente di fronte agli eventi, De Santis rivoluziona le leggi del giallo, denunciando l’impossibilità del detective di agire, di arrestare la grande mietitrice. Siamo umani, troppo umani, detective compresi.
Ma, riprendendo il filo, noi dobbiamo sapere che Mickey, qui, in queste poche righe in cui appare, si impone con forza ai lettori, ma soprattutto allo scrittore. Qualcosa cambia nella mente di Dellera. E il suo processo creativo mette al centro un detective dell’occulto, del paranormale qui ai primi passi. E una scelta creativa importante per vari motivi. Prima di tutto perché, come mi sto accorgendo nella stesura di un saggio sull’argomento, è un tema che ha attirato prettamente i fumettisti, poco i romanzieri. Da Hellblazer a Dylan Dog da Hellboy a Martin Mystere, i grandi nomi che vengono in mente sono fumetti. In secondo luogo dobbiamo prendere atto che comunque all’estero ci sono attualmente grandi scrittori del paranormale, come Jim Butcher, che da noi non vengono tradotti. Quindi Dellera intraprende un sentiero altamente innovativo e pericoloso. Scegliere di scrivere su un filone che, già a priori, si sa non vincente in Italia, è una scelta coraggiosa. Che ha fatto da apripista ad altri giovani che lo hanno seguito recentemente sulla stessa strada. Dedicherò presto un pezzo ai romanzi di De Santis, intanto vi lascio alla lettura di questo testo così ricco di sfaccettature e spunti di riflessioni.
Mi taccio.
Tutto il testo dimostra la veridicità della teoria secondo cui non è l’Autore a inventare i personaggi ma, viceversa, pirandellianamente, sono loro a farsi largo nella mente dei lettori e dello scrittore.
Chi ha letto il libro alla sua uscita, ovviamente, non avrebbe potuto trarre queste conclusioni, non avendo ancora visto gli sviluppi futuri. E per questo che il lavoro del critico è sempre un work in progress. Il punto di vista deve sempre essere messo in discussione.
Il critico dunque, anni fa, ha potuto mettere in luce solo la prima delle due componenti di cui parlavamo.
E dunque, giusto per rimembrare cose che sono già state scritte, ecco le qualità del testo, asciutto, sintetico, che guida il lettore attraverso una Milano calda e afosa, vista dalle prospettive di pochi personaggi, tutti ben delineati. Il giovane attore perso nell’Arte, un regista mezzo delinquente, una serie di comprimari visualizzati egregiamente. Una trama che, nella tradizione di un horror d’autore a la Hitchock, non punta al truculento, ma a creare atmosfere di mistero e suspence. Ed ecco allora la maestria nel distribuire le informazioni lentamente all’inizio, per accelerare verso un finale veramente inatteso. Anche la gestione dei toni è magistrale. Lontano dagli stereotipi ormai invalsi nei generi contemporanei, qui si respira una varietà di atmosfere, dalla commedia all’horror, dalla satira al grottesco, che lascia con un gusto veramente da grande film classico degli anni cinquanta.
Ma ecco che, improvvisamente, spicca fuori un personaggio, Mickey De Santis, così, fuori contesto, con forza, a racconto quasi finito. Sembra quasi, veramente, che abbia voluto sfondare di prepotenza, per entrare nel gioco narrativo. E infatti, la storia è già finita quando lui arriva. Tutto si è già concluso. Anche rispetto alla tradizione del giallo Mickey è un’anomalia. Quando mai si è vista un’indagine che inizia a fine libro anziché all’inizio? A lui non spetta, in questo libro, il compito di indagare, o catturare assassini. Capisce solo come sono andati i fatti per poi riassumerli. Come un grande personaggio del fumetto western d’autore, Ken Parker, anche lui a volte testimone impotente di fronte agli eventi, De Santis rivoluziona le leggi del giallo, denunciando l’impossibilità del detective di agire, di arrestare la grande mietitrice. Siamo umani, troppo umani, detective compresi.
Ma, riprendendo il filo, noi dobbiamo sapere che Mickey, qui, in queste poche righe in cui appare, si impone con forza ai lettori, ma soprattutto allo scrittore. Qualcosa cambia nella mente di Dellera. E il suo processo creativo mette al centro un detective dell’occulto, del paranormale qui ai primi passi. E una scelta creativa importante per vari motivi. Prima di tutto perché, come mi sto accorgendo nella stesura di un saggio sull’argomento, è un tema che ha attirato prettamente i fumettisti, poco i romanzieri. Da Hellblazer a Dylan Dog da Hellboy a Martin Mystere, i grandi nomi che vengono in mente sono fumetti. In secondo luogo dobbiamo prendere atto che comunque all’estero ci sono attualmente grandi scrittori del paranormale, come Jim Butcher, che da noi non vengono tradotti. Quindi Dellera intraprende un sentiero altamente innovativo e pericoloso. Scegliere di scrivere su un filone che, già a priori, si sa non vincente in Italia, è una scelta coraggiosa. Che ha fatto da apripista ad altri giovani che lo hanno seguito recentemente sulla stessa strada. Dedicherò presto un pezzo ai romanzi di De Santis, intanto vi lascio alla lettura di questo testo così ricco di sfaccettature e spunti di riflessioni.
Mi taccio.
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