ATTUALITA'
Stefano Torossi
Il ciclista
24 marzo 2019. Domenica ecologica. Uno dei pochi momenti, a Roma, in cui un ciclista può considerarsi quasi al sicuro dai pericoli del traffico a motore che normalmente ignora completamente quello a pedale (per la verità noi abbiamo visto qualche incrocio in cui l’automobilista non ignorava affatto il ciclista, anzi lo puntava proprio come se volesse abbatterlo).
Al di fuori di queste giornate, però, possiamo dire con sicurezza che l’uomo su due ruote, per quanto attento stia, rischia ogni minuto la pelle: in giro per le strade della capitale; furgoni impazziti che investono colonne di velocipedisti su presunte tranquille strade di campagna; poliziotti in assetto antiguerriglia che caricano un raduno di ciclisti in piazza a Torino “Pensavamo che ci fosse un agente in pericolo” (la giustificazione della polizia. Cronaca di Torino, 21 marzo) e così via; ogni giorno c’è una notizia di nera che coinvolge il:
Ciclista Martire.
E però (sempre di Roma parliamo), che scoramento, che inciviltà, che schifo le bici del programma bike sharing abbandonate, buttate nel Tevere, cannibalizzate e vandalizzate che negli ultimi tempi si vedono a ogni angolo di strada, dai ponti, nei parchi. Evidentemente dalle nostre parti questo programma non funziona. C’è chi dice che tutto dipende da una cattiva organizzazione del servizio. Noi siamo convinti che dipenda semplicemente dalla cattiva educazione degli utenti.
Per non parlare dei ruderi di biciclette di proprietà, lasciate incatenate a qualche palo sui marciapiedi, che nessuno porta via. Talvolta sdraiate per terra, talvolta accartocciate, rimaste solo telaio, ma con un sacco di pericolose punte sporgenti alle quali prima o poi si rischia di agganciarsi e strapparsi qualcosa: pantaloni, ma anche brandelli di pelle.
Si tratta del Ciclista Maleducato.
A questo punto ci infiliamo il giubbotto antiproiettile, perché sappiamo che in molti se la prenderanno con noi. Stiamo per affrontare il Ciclista Prepotente
La prima volta fu ad Amsterdam. Stavamo passeggiando, e fu il panico quando ci trovammo circondati da ciclisti. Prepotenti e senza campanello. Sui marciapiedi, nelle zone pedonali, i padroni erano loro. Un’arma letale. Sbucavano da tutte le parti, veloci, silenziosi e intolleranti, come sa essere la gente del nord quando gode di un diritto acquisito.
Da quel momento ci nacque nel cuore un sentimento che mescolava al rispetto anche l’odio, naturalmente inconfessabile (sarebbe come prendersela con la foca monaca o il colibrì della Guyana, entrambi, come è noto, in via di estinzione). Il ciclista rappresenta la purezza dell’aria e dei sentimenti, si potrebbe quasi dire la natura. Non si può odiarlo. Bisogna solo rispettarlo e amarlo per quello che fa per l’anima ecologista di quelli di noi che ce l’hanno.
Chissà a quanti automobilisti è capitato, di notte in qualche strada buia di periferia di trovarsi a pochi millimetri dalla ruota posteriore di una bicicletta, cavalcata da un essere vestito di scuro, rigorosamente sprovvista di qualsiasi segnalazione luminosa, che procede alla sacrosanta velocità di un velocipede urbano; venti all’ora, se va bene, mentre l’auto, anche con un pilota prudentissimo, va almeno al doppio. Roba da infarto.
Noi, come probabilmente anche voi, abbiamo molti amici ecologisti o sportivi, o solo radical-chic che vanno in bici. Intendiamoci, andare in bicicletta a Roma è ben diverso che farlo a Bologna o a Rovigo, dove gli automobilisti sono abituati alla convivenza e i dislivelli sono zero. Molti di questi nostri amici usano la bici più come principio, che come mezzo di trasporto, dato che in una città di salite come Roma, si arriva prima a piedi.
Tanto di cappello. Ma poi però, perché vanno senza luci di notte, che è un suicidio? “Perché ci siamo dimenticati di comprare le batterie; perché fa più fico; perché comunque sono gli automobilisti che devono stare attenti”. E di fronte a un timido suggerimento che anche la città più civile è una jungla con i suoi predatori e le sue prede ti seppelliscono di indignazione. Non è il povero animale indifeso (come obiettivamente è un ciclista nel mondo motorizzato) che in natura deve stare attento per salvare la pelle. E’ l’ambiente che deve stare attento a lui. Pura, criminale utopia.
Purtroppo spesso il ciclista per principio (non certo quello per necessità, che ancora esiste, anche se non sono più tanti come negli anni Cinquanta) è un integralista fanatico, e come tale non ascolta, rivendica. Piste ciclabili, sacrosante; ma se non ci sono, via! sul marciapiedi a zigzagare in silenzio (il silenzio, questa è l’arma letale del ciclista) fra i pedoni.
Naturalmente poi gli incidenti accadono, e ci dispiace. Ma a pensarci bene, la responsabilità non sarà mica sempre solo da una parte, no?
Al di fuori di queste giornate, però, possiamo dire con sicurezza che l’uomo su due ruote, per quanto attento stia, rischia ogni minuto la pelle: in giro per le strade della capitale; furgoni impazziti che investono colonne di velocipedisti su presunte tranquille strade di campagna; poliziotti in assetto antiguerriglia che caricano un raduno di ciclisti in piazza a Torino “Pensavamo che ci fosse un agente in pericolo” (la giustificazione della polizia. Cronaca di Torino, 21 marzo) e così via; ogni giorno c’è una notizia di nera che coinvolge il:
Ciclista Martire.
E però (sempre di Roma parliamo), che scoramento, che inciviltà, che schifo le bici del programma bike sharing abbandonate, buttate nel Tevere, cannibalizzate e vandalizzate che negli ultimi tempi si vedono a ogni angolo di strada, dai ponti, nei parchi. Evidentemente dalle nostre parti questo programma non funziona. C’è chi dice che tutto dipende da una cattiva organizzazione del servizio. Noi siamo convinti che dipenda semplicemente dalla cattiva educazione degli utenti.
Per non parlare dei ruderi di biciclette di proprietà, lasciate incatenate a qualche palo sui marciapiedi, che nessuno porta via. Talvolta sdraiate per terra, talvolta accartocciate, rimaste solo telaio, ma con un sacco di pericolose punte sporgenti alle quali prima o poi si rischia di agganciarsi e strapparsi qualcosa: pantaloni, ma anche brandelli di pelle.
Si tratta del Ciclista Maleducato.
A questo punto ci infiliamo il giubbotto antiproiettile, perché sappiamo che in molti se la prenderanno con noi. Stiamo per affrontare il Ciclista Prepotente
La prima volta fu ad Amsterdam. Stavamo passeggiando, e fu il panico quando ci trovammo circondati da ciclisti. Prepotenti e senza campanello. Sui marciapiedi, nelle zone pedonali, i padroni erano loro. Un’arma letale. Sbucavano da tutte le parti, veloci, silenziosi e intolleranti, come sa essere la gente del nord quando gode di un diritto acquisito.
Da quel momento ci nacque nel cuore un sentimento che mescolava al rispetto anche l’odio, naturalmente inconfessabile (sarebbe come prendersela con la foca monaca o il colibrì della Guyana, entrambi, come è noto, in via di estinzione). Il ciclista rappresenta la purezza dell’aria e dei sentimenti, si potrebbe quasi dire la natura. Non si può odiarlo. Bisogna solo rispettarlo e amarlo per quello che fa per l’anima ecologista di quelli di noi che ce l’hanno.
Chissà a quanti automobilisti è capitato, di notte in qualche strada buia di periferia di trovarsi a pochi millimetri dalla ruota posteriore di una bicicletta, cavalcata da un essere vestito di scuro, rigorosamente sprovvista di qualsiasi segnalazione luminosa, che procede alla sacrosanta velocità di un velocipede urbano; venti all’ora, se va bene, mentre l’auto, anche con un pilota prudentissimo, va almeno al doppio. Roba da infarto.
Noi, come probabilmente anche voi, abbiamo molti amici ecologisti o sportivi, o solo radical-chic che vanno in bici. Intendiamoci, andare in bicicletta a Roma è ben diverso che farlo a Bologna o a Rovigo, dove gli automobilisti sono abituati alla convivenza e i dislivelli sono zero. Molti di questi nostri amici usano la bici più come principio, che come mezzo di trasporto, dato che in una città di salite come Roma, si arriva prima a piedi.
Tanto di cappello. Ma poi però, perché vanno senza luci di notte, che è un suicidio? “Perché ci siamo dimenticati di comprare le batterie; perché fa più fico; perché comunque sono gli automobilisti che devono stare attenti”. E di fronte a un timido suggerimento che anche la città più civile è una jungla con i suoi predatori e le sue prede ti seppelliscono di indignazione. Non è il povero animale indifeso (come obiettivamente è un ciclista nel mondo motorizzato) che in natura deve stare attento per salvare la pelle. E’ l’ambiente che deve stare attento a lui. Pura, criminale utopia.
Purtroppo spesso il ciclista per principio (non certo quello per necessità, che ancora esiste, anche se non sono più tanti come negli anni Cinquanta) è un integralista fanatico, e come tale non ascolta, rivendica. Piste ciclabili, sacrosante; ma se non ci sono, via! sul marciapiedi a zigzagare in silenzio (il silenzio, questa è l’arma letale del ciclista) fra i pedoni.
Naturalmente poi gli incidenti accadono, e ci dispiace. Ma a pensarci bene, la responsabilità non sarà mica sempre solo da una parte, no?
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