CINEMA E MUSICA
Stefano Torossi
Il cinema in tv: caccole.
Lunedì 2 gennaio sera. Sky Cinema. Inciampiamo per caso sui primissimi fotogrammi del Discorso del Re, e ci rimaniamo inchiodati per 110 minuti di ineffabile piacere. E di grande ammirazione di fronte a un film basato quasi interamente sui primi piani di due attori che con la magnifi-cenza della loro interpretazione senza smorfie, vezzi e caccole danno la misura di quella grande scuola che nutre il cinema e il teatro del mondo anglosassone. E se c'è qualcuno che ancora si chiede come mai il prodotto americano e quello inglese hanno conquistato il mercato, la risposta è di banale semplicità: perché loro sono più bravi.
Sobrietà assoluta (l'ultima quasi impercettibile alzata di sopracciglio di Re Giorgio riassume tutto, senza bisogno di sottolineare niente). Naturalmente dietro a questa meraviglia c'è una sceneggiatura impeccabile, una regia creativa, montaggio, dialoghi clamorosi, una grande cura per ambientazione, fotografia, luci, attori straordinari, dai primi, di cui abbiamo già parlato, fino alle comparse, eccetera eccetera. E vogliamo anche segnalare che, tranne per un po' di Beethoven e Mozart verso la fine, non ci siamo accorti se sotto c'era musica. Ciò significa una di queste due cose, o forse tutte e due: il racconto filava talmente bene da non aver bisogno di commento, o, se c'era, la musica era usata con tanta accortezza da renderla impercettibile, come dovrebbe essere sempre, quando non è protagonista, sotto le immagini.
A questo punto è chiaro dove andiamo a parare: il cinema italiano di adesso. Ma prima di sfiorare questo imbarazzante argomento, dobbiamo un riconoscimento a una eccellenza davvero solo italiana: il doppiaggio, e prima di questo, la traduzione e l'adattamento dei dialoghi che, anche nel caso del Discorso del Re, producono un risultato di grande qualità. Il doppiatore che per tutto il film balbetta insieme a Re Giorgio, e l'altro che dà la voce al logopedista sono dei maestri assoluti. E immaginiamo, anche se non conosciamo la versione originale, che la traduzione sia fedele; e se non fedele è di sicuro efficace, cosa ancora più importante.
Ora che abbiamo apprezzato la ciliegina sopra la torta vogliamo chiederci come un'industria capace di offrirci oggi prodigiosi doppiatori (a proposito, vi siete mai incantati sulle fantastiche acrobazie vocali che riescono a fare con i Simpson?) ma poco altro, possa competere con questi campioni. Vi è mai capitato di andare a Londra o a New York e vedere un musical a teatro? Se avete avuto questa fortuna vi sarete accorti che, immerso nella perfezione totale, perfino quello de "il pranzo è servito" recita benissimo, balla il tip tap, canta, fa le acrobazie e non sbaglia un tempo. Come si fa a competere con gente così seria?
Ecco, forse questa è la chiave. Loro sono seri. E chiunque ha una parte anche minima, la ottiene perché è bravo. E se il percorso è un altro (anche lì ci sono ovviamente favori e ricatti) il livello è tale che perfino il raccomandato/a è comunque bravo. Sono tutti professionisti, in competizione fra loro. Escono tutti da buone scuole. Fanno provini su provini. Lavorano. E il risultato permette a spettatori come noi, magari un po' nevrotici, di non stare sulle spine in sala, sempre con la paura della papera. Ma di avere dal teatro la stessa garanzia che ci dà il cinema, dove niente può andare storto perché tutto è fissato sulla pellicola.
Certo, è chiaro che una recitazione ad altissimo livello, come quella del film che ci ha colpiti non permette quel processo di immedesimazione che invece, da noi, ci consentono un Proietti o un Papaleo. Nel primo caso assistiamo a un quasi miracolo, nel secondo siamo invitati a una festicciola in famiglia. C'è la stessa sbalordita distanza che separa il fedele dall'officiante in una cerimonia sacra, perché lo spettacolo può, anzi a nostro parere dovrebbe essere una cerimonia. Però, attenzione. Magari noi imputiamo il ripiego su sceneggiature e attori di mediocre qualità alla scarsità di soldi o di talento, e invece poi veniamo a scoprire che è un astutissimo stratagemma dei cinematografari per abbassare di livello il prodotto, permettere l'immedesimazione fra lo spettatore medio-scarso, notoriamente in maggioranza, e la vicenda, e così incassare di più. Diabolico ma possibile. Come diceva un famoso statista nostrano: a pensar male si fa peccato, ma...
E se qualcuno ci obietta che anche il cinema angloamericano fa cosette, possiamo tranquillamente rispondere che, sì, le fa, ma fa anche cosone.
Italia. Basilicata coast to coast. Prendiamo al volo come esempio quest'opera, molto premiata nella scorsa stagione, che siamo andati a vedere incuriositi dal passaparola. Abbiamo trovato un filmino (carino?) con attorini, una storiellina, dialoghini spesso dialettali (per far ridere?); insomma, caccole. Certo non è l'unico film prodotto in Italia negli ultimi tempi, né quello presentato come il migliore, ma è comunque un film che ha vinto ben tre David di Donatello, il massimo premio nazionale: regia di debutto per Papaleo (mah), canzone "Mentre dormi" di Gazzé (boh), e colonna sonora di Marcotulli (questa, invece, ok).
Rimaniamo nel dubbio se classificare il tutto come scarsa capacità o massima furbizia.
P.S. La notte di capodanno verso le due, in mezzo a tutti quei varietà festaioli di cantanti, ballerine esauste e cotillon, gli unici due film italiani in onda erano un Fantozzi decrepito e un Pierino con il povero Alvaro Vitali, finto bambino vestito da marinaretto, impegnato in una gara di pernacchie con un attore bambino vero.
Non ditelo a Tarantino.
Sobrietà assoluta (l'ultima quasi impercettibile alzata di sopracciglio di Re Giorgio riassume tutto, senza bisogno di sottolineare niente). Naturalmente dietro a questa meraviglia c'è una sceneggiatura impeccabile, una regia creativa, montaggio, dialoghi clamorosi, una grande cura per ambientazione, fotografia, luci, attori straordinari, dai primi, di cui abbiamo già parlato, fino alle comparse, eccetera eccetera. E vogliamo anche segnalare che, tranne per un po' di Beethoven e Mozart verso la fine, non ci siamo accorti se sotto c'era musica. Ciò significa una di queste due cose, o forse tutte e due: il racconto filava talmente bene da non aver bisogno di commento, o, se c'era, la musica era usata con tanta accortezza da renderla impercettibile, come dovrebbe essere sempre, quando non è protagonista, sotto le immagini.
A questo punto è chiaro dove andiamo a parare: il cinema italiano di adesso. Ma prima di sfiorare questo imbarazzante argomento, dobbiamo un riconoscimento a una eccellenza davvero solo italiana: il doppiaggio, e prima di questo, la traduzione e l'adattamento dei dialoghi che, anche nel caso del Discorso del Re, producono un risultato di grande qualità. Il doppiatore che per tutto il film balbetta insieme a Re Giorgio, e l'altro che dà la voce al logopedista sono dei maestri assoluti. E immaginiamo, anche se non conosciamo la versione originale, che la traduzione sia fedele; e se non fedele è di sicuro efficace, cosa ancora più importante.
Ora che abbiamo apprezzato la ciliegina sopra la torta vogliamo chiederci come un'industria capace di offrirci oggi prodigiosi doppiatori (a proposito, vi siete mai incantati sulle fantastiche acrobazie vocali che riescono a fare con i Simpson?) ma poco altro, possa competere con questi campioni. Vi è mai capitato di andare a Londra o a New York e vedere un musical a teatro? Se avete avuto questa fortuna vi sarete accorti che, immerso nella perfezione totale, perfino quello de "il pranzo è servito" recita benissimo, balla il tip tap, canta, fa le acrobazie e non sbaglia un tempo. Come si fa a competere con gente così seria?
Ecco, forse questa è la chiave. Loro sono seri. E chiunque ha una parte anche minima, la ottiene perché è bravo. E se il percorso è un altro (anche lì ci sono ovviamente favori e ricatti) il livello è tale che perfino il raccomandato/a è comunque bravo. Sono tutti professionisti, in competizione fra loro. Escono tutti da buone scuole. Fanno provini su provini. Lavorano. E il risultato permette a spettatori come noi, magari un po' nevrotici, di non stare sulle spine in sala, sempre con la paura della papera. Ma di avere dal teatro la stessa garanzia che ci dà il cinema, dove niente può andare storto perché tutto è fissato sulla pellicola.
Certo, è chiaro che una recitazione ad altissimo livello, come quella del film che ci ha colpiti non permette quel processo di immedesimazione che invece, da noi, ci consentono un Proietti o un Papaleo. Nel primo caso assistiamo a un quasi miracolo, nel secondo siamo invitati a una festicciola in famiglia. C'è la stessa sbalordita distanza che separa il fedele dall'officiante in una cerimonia sacra, perché lo spettacolo può, anzi a nostro parere dovrebbe essere una cerimonia. Però, attenzione. Magari noi imputiamo il ripiego su sceneggiature e attori di mediocre qualità alla scarsità di soldi o di talento, e invece poi veniamo a scoprire che è un astutissimo stratagemma dei cinematografari per abbassare di livello il prodotto, permettere l'immedesimazione fra lo spettatore medio-scarso, notoriamente in maggioranza, e la vicenda, e così incassare di più. Diabolico ma possibile. Come diceva un famoso statista nostrano: a pensar male si fa peccato, ma...
E se qualcuno ci obietta che anche il cinema angloamericano fa cosette, possiamo tranquillamente rispondere che, sì, le fa, ma fa anche cosone.
Italia. Basilicata coast to coast. Prendiamo al volo come esempio quest'opera, molto premiata nella scorsa stagione, che siamo andati a vedere incuriositi dal passaparola. Abbiamo trovato un filmino (carino?) con attorini, una storiellina, dialoghini spesso dialettali (per far ridere?); insomma, caccole. Certo non è l'unico film prodotto in Italia negli ultimi tempi, né quello presentato come il migliore, ma è comunque un film che ha vinto ben tre David di Donatello, il massimo premio nazionale: regia di debutto per Papaleo (mah), canzone "Mentre dormi" di Gazzé (boh), e colonna sonora di Marcotulli (questa, invece, ok).
Rimaniamo nel dubbio se classificare il tutto come scarsa capacità o massima furbizia.
P.S. La notte di capodanno verso le due, in mezzo a tutti quei varietà festaioli di cantanti, ballerine esauste e cotillon, gli unici due film italiani in onda erano un Fantozzi decrepito e un Pierino con il povero Alvaro Vitali, finto bambino vestito da marinaretto, impegnato in una gara di pernacchie con un attore bambino vero.
Non ditelo a Tarantino.
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