RACCONTI
Mauro Zollo
Il solito dubbio
La nebbia di fumo mi inzuppa i vestiti. Impossibile portare un bambino in un posto del genere, penso. Da qui a pochi anni rimarranno solo vecchi catarrosi, giovani strafatti di nicotina e chi come me non sa dove andare. Del divieto di fumare in locali pubblici neanche a parlarne, in una zona a cui sono stati tolti diritti e per cui si rifiutano tutti i doveri. Il buon senso poi, è a discrezione del cliente che desiderare seccare la gola per poterla poi bagnare di birra. Sarebbe troppo chiedergli di aprire quella porta e uscire di un metro sotto il porticato. Dovrebbero abbandonare il calcio in pay tv, il flipper e i discorsi senza senso dopo la quinta birra. E qui nessuno vuole farsi nemici. Non è pacifismo o amore verso il prossimo, ma solo un metodo per stare tranquilli. Per chiudere gli occhi la notte con la serenità che li fuori nessuno ci maledice nei propri sogni.
<<Ehi bello, sempre quell'aria da carenza di figa>>.
<<E tu sempre quella scimmia sulle spalle>> rispondo allo stronzo di turno, non guardandolo nemmeno in faccia.
I fantasmi dei sogni di tutti, occupano ogni millimetro quadro di questa stanza, riesco a vederli. Non c'entra niente la figa.
<<Cazzo aspetti a chiamare i Ghostbusters?>> dico al barista che conta le mance.
<<Come?>>.
<<Ho detto dammi una birra coi crackers>>. Inutile aprirgli gli occhi, penso.
Lui esegue scazzato, lasciando il suo fantasma li dentro.
Apro la birra e mi bevo la vita. Li guardo negli occhi quei tipi distratti, privati dei filtri delle belle foto da smartphone e delle loro perfette esistenze da socialnetwork. Chissà quante belle cose avrebbe potuto postare mia nonna su Facebook. Quant'è buffa la realtà, mi ripeto, generazione senza niente da dire la mia ma con un megafono sempre a portata di mano.
Poso il bicchiere e mi sistemo i pantaloni.
Sono anni che devo fare un nuovo buco alla cintura di pelle.
Intanto la disoccupazione scende, la gente si cala, l'economia si riprende e la testa gira forte, si fa pesante come un macigno che ha perso il suo collante.
Troppo decadente per frequentare un posto depresso come questo, penso.
Il mondo è confuso e funziona al contrario. L'Inter è primo in classifica, la pornografia è fuori moda e a Sanremo non ci sono più i vecchi. Devono averli mandati tutti qui, dove la noia dipinge i capelli bianchi e scava le rughe. Cosa darei per vivere su un'isola, mi ripeto mentre guardo quel tavolo dove giocano a carte. Alzarsi guardando il mare e chiudere gli occhi vedendo le stelle. Che poi le stelle ci sono pure qua, ma non ci viene mai voglia di guardarle. Ho paura che mi si spezzi il collo, per cui desisto. Molto più facile guardare a terra e convincersi che che le gomme da masticare spiaccicate, e le merde di cane siano la realtà. Che esseri facilmente raggirabili. Crederemo perfino che le guerre vengono combattute per un ideale e per un credo, se solo ce lo dicessero. Anzi, pessimo esempio, questo lo abbiamo già fatto duemila anni fa e non abbiamo più smesso.
Non vedo specchi in questo locale. La gente non vuole vedersi, non fa che censurare la propria immagine.
Ed io mi sento svogliato, privo di entusiasmo e con solito irrisolvibile dubbio: Dreher o Peroni?
<<Ehi bello, sempre quell'aria da carenza di figa>>.
<<E tu sempre quella scimmia sulle spalle>> rispondo allo stronzo di turno, non guardandolo nemmeno in faccia.
I fantasmi dei sogni di tutti, occupano ogni millimetro quadro di questa stanza, riesco a vederli. Non c'entra niente la figa.
<<Cazzo aspetti a chiamare i Ghostbusters?>> dico al barista che conta le mance.
<<Come?>>.
<<Ho detto dammi una birra coi crackers>>. Inutile aprirgli gli occhi, penso.
Lui esegue scazzato, lasciando il suo fantasma li dentro.
Apro la birra e mi bevo la vita. Li guardo negli occhi quei tipi distratti, privati dei filtri delle belle foto da smartphone e delle loro perfette esistenze da socialnetwork. Chissà quante belle cose avrebbe potuto postare mia nonna su Facebook. Quant'è buffa la realtà, mi ripeto, generazione senza niente da dire la mia ma con un megafono sempre a portata di mano.
Poso il bicchiere e mi sistemo i pantaloni.
Sono anni che devo fare un nuovo buco alla cintura di pelle.
Intanto la disoccupazione scende, la gente si cala, l'economia si riprende e la testa gira forte, si fa pesante come un macigno che ha perso il suo collante.
Troppo decadente per frequentare un posto depresso come questo, penso.
Il mondo è confuso e funziona al contrario. L'Inter è primo in classifica, la pornografia è fuori moda e a Sanremo non ci sono più i vecchi. Devono averli mandati tutti qui, dove la noia dipinge i capelli bianchi e scava le rughe. Cosa darei per vivere su un'isola, mi ripeto mentre guardo quel tavolo dove giocano a carte. Alzarsi guardando il mare e chiudere gli occhi vedendo le stelle. Che poi le stelle ci sono pure qua, ma non ci viene mai voglia di guardarle. Ho paura che mi si spezzi il collo, per cui desisto. Molto più facile guardare a terra e convincersi che che le gomme da masticare spiaccicate, e le merde di cane siano la realtà. Che esseri facilmente raggirabili. Crederemo perfino che le guerre vengono combattute per un ideale e per un credo, se solo ce lo dicessero. Anzi, pessimo esempio, questo lo abbiamo già fatto duemila anni fa e non abbiamo più smesso.
Non vedo specchi in questo locale. La gente non vuole vedersi, non fa che censurare la propria immagine.
Ed io mi sento svogliato, privo di entusiasmo e con solito irrisolvibile dubbio: Dreher o Peroni?
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