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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Juanio Olasagarre

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Presentati ai numerosi lettori del paradiso.



Se devo essere sincero, rappresento il prototipo del basco della mia generazione. Anche se ultimamente sto cercando di smettere. A parte questo, scrivo in basco perché è la mia lingua madre, anche se fino ai 19 anni non è stata per me la "lingua della cultura" [Ndt: la distinzione tra lingua madre e lingua culturale si riferisce al fatto che fino agli anni Ottanta non esisteva una scuola pubblica in basco neppure per le persone di madrelingua basca]. Sono nato e vivo tuttora in un paese della Navarra, una regione i cui politici se ne fregano della lingua basca.



'Valigie impossibili' è un romanzo di lotta politica e lotta per la sopravvivenza ed un romanzo di amicizia. Ma tu sembri suggerire che quest'ultima sembra ancora più problematica dell'impegno civile.



Mi ha sempre colpito il fatto che, rispetto ai miei amici di città, io non ho mai potuto "scegliermi" gli amici nel paese in cui sono nato. Gli amici che ho sono quelli che mi sono toccati semplicemente per una questione di età: per esempio l'unica ragazza lesbica della mia generazione. In questo senso l'amicizia è un fatto di cicli, che a volte funziona e altre no. E quindi si, ovviamente l'amicizia è molto più difficile che l'impegno civile. Nel mondo in cui ho vissuto, l'impegno civile ha addirittura camuffato e nascosto l'amicizia in molti casi in cui questa rappresentava uno sforzo titanico. Ricordo un libro del nigeriano Chinua Achebe, mi pare si intitoli Things fall apart, in cui le relazioni di potere di un paese vengono mostrate attraverso le relazioni tra gli amici.



Bazter, uno dei personaggi del libro, quando va a vivere a Londra, perde la valigia all'aeroporto. La stessa cosa succede a Harakin, uno dei suoi amici, quando anche lui va a Londra ma per un consulto medico per la figlia portatrice di handicap. Dunque queste 'valigie impossibili' sono l'impossibilità di trovare conforto e stabilità al di là dei propri confini e l'emblema dell'amore per la propria terra?



Non avevo pensato a questa lettura, ma riconosco che è accettabile. Mi prendi in contropiede. No, non era affatto mia intenzione rappresentare "l'impossibilità di trovare conforto e stabilità al di là dei propri confini e l'emblema dell'amore per la propria terra". Credo che la mia intenzione fosse anzi il contrario, dato che in questa fase della mia vita ne ho fin sopra i capelli della mia terra, e di quello che succede qui e del mostro che tutti quanti abbiamo contribuito a creare.

Il titolo va proprio in direzione opposta: l'impossibilità delle nostre valigie, e il loro peso. Il passato in generale, le tradizioni, gli abusi, l'amicizia come peso morto, la rivoluzione tradita, i sogni eccessivi, etc.

Ma riconosco che la tua è una lettura possibile.



Spesso nel libro parli di rivoluzione. Riporto un passo: E la rivoluzione non doveva iniziare dalla compassione? Dall'essere migliori con le persone più vicine? Dal cercare di cambiare se stessi? Sinceramente siamo stati abituati a vedere e a considerare la rivoluzione in un'altra forma. Forse un tuo recondito desiderio?



È chiaro che la rivoluzione negli anni Ottanta – ma del resto il discorso vale persino per quella russa – aveva un fondo cristiano, Marx era imbevuto di cristianesimo. Di sicuro gli anni Ottanta, uno degli scenari temporali del romanzo, furono un'epoca di cambiamenti in tutto lo stato spagnolo. Franco era appena morto e la rivoluzione sembrava a portata di mano, anche se solo per poco tempo. Quel sogno si infranse subito, ma io credo che in quella cosa che si chiama Euskadi, Paese Basco, ci sia gente che continua a sognare questo, che ormai si è trasformato in un incubo. (Con questo non voglio dire che non si debba sognare). Io ho cercato di rappresentare quei tempi e quell'ambiente.

Di sicuro la cosiddetta sinistra radicale rappresentava il potere di fatto in parecchie città del Paese Basco e, per come la vedo io, lo ha esercitato nello stesso modo di altre sinistre al potere: con la prepotenza.



Uno dei quattro protagonisti, Bazter, ad un certo punto confessa la propria omosessualità e la sua impotenza a continuare la lotta. Forse è vero che rivoluzione e omosessualità non sono mai andati a braccetto.



La rivoluzione basca non ha mai avuto buoni rapporti con ciò che Foucault chiamò biopolitica. Negli anni Ottanta per un certo tempo, non molto in verità, ho militato in EHGAM (Euskal Herriko Gay Askapen Mugimendua/Movimento di liberazione gay del Paese Basco), un gruppo che propugnava la liberazione dei gay nel contesto della nazione basca.

Oggi credo che, come tu dici, questione omosessuale e questione nazionale non vadano a braccetto. La rivoluzione si ripropone sempre di liberare l'uomo eterosessuale bianco basco, il resto si vedrà. È un punto interessante quello in cui nazione e omosessualità si incontrano. Di sicuro in Spagna, e evidentemente nel Paese Basco, la nazione è quel qualcosa in cui ci si imbatte a ogni angolo. Per dirla in termini freudiani, è il padre che non abbiamo ancora ucciso: la nazione ce la troviamo nel telegiornale, in cucina, nella moda, in letteratura, nella musica, e ovviamente nel sesso.



Ad un certo punto del romanzo riporti la poesia di Quasimodo: Ed è subito sera. Qual è stato o qual è il tuo rapporto con la cultura italiana.



Sinceramente non è un rapporto troppo stretto. A parte i classici, ho letto Montale, che mi piace molto, Ungaretti, che mi piace un po' meno, Pavese, quasi tutto Magris, Natalia Ginzburg (in basco), il Gattopardo, Buzzati, Celati (in basco), Sciascia, Tabucchi e naturalmente Italo Calvino. Come vedi sono troppo contemporaneo, cosa che ultimamente mi disturba un po'.



Adesso ognuno pensa per sé. A nessuno gliene frega niente della liberazione del Paese Basco e dei prigionieri politici. Davvero le cose stanno così? Anche da voi la politica e chi dovrebbe seguirla sono ridotti a semplice merce e quindi ad acquirenti?



Non so che dirti. Se mi chiedi della politica in generale, è certamente ridotta a merce. Orami non c'è quasi più nulla che non lo sia.

Se ti riferisci alla cosiddetta sinistra radicale basca (quella che noi chiamiamo abertzale), ci sono ancora persone che si aggrappano ai propri ideali, stanno in carcere, etc. Il loro problema secondo me è che hanno una concezione molto ristretta di ciò che è il Paese Basco, di ciò che è una nazione e quel che è peggio è che sono disposti a giustificare l'omicidio per ottenere un paese, una nazione – chiamalo come vuoi – in cui ho il sospetto che starebbero bene solo loro. Ovviamente non pretendo di insegnare a nessuno come deve essere la sinistra: la sinistra è stata sconfitta da tempo, e la sinistra radicale basca non è un'eccezione.



Verrai in Italia a presentare il tuo libro?



Credo proprio di sì. Il mio editore Fabio Cremonesi mi ha invitato per la prima settimana di ottobre. Io ne sono felicissimo perché pubblicare in un'altra lingua è davvero difficile. Alla mia traduttrice Roberta Gozzi (grazie, grazie) il libro è piaciuto e lo ha consigliato a Fabio. Fortunatamente era disponibile una traduzione in castigliano, dato che il libro era stato selezionato come miglior romanzo in basco per il Premio Nacional de Literatura, e così Fabio ha potuto leggerlo. Intendo dire che è necessaria una traduzione in una lingua "grande" per farsi conoscere dal mondo, e l'Italia per me è un mondo.



Contento che la Spagna ha vinto gli Europei di calcio?



Sinceramente me ne sbatto. Ero a Madrid durante la finale. Ero lì per la festa del Gay Pride, che a Madrid è fantastica. Faccio parte di una generazione di gay per i quali il calcio è stata una croce, un gioco nel quale venivi rifiutato da bambino e da ragazzo. Apprezzo Nadal e Federer, mi piace la pelota basca, mi piace l'atletica alle Olimpiadi, ma del calcio me ne frego.

Mi sembrano una perdita di tempo quelle organizzazioni basche, catalane o galiziane che rivendicano una nazionale di calcio basca, catalana o galiziana: se devo rivendicare qualcosa, preferisco rivendicare il porno basco, galiziano o catalano, o un misto dei tre.





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