CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini Sut
L'eleganza e l'evocazione nel nuovo splendido album dei Two Moons, “Cognitive Dissonance”
Dei Two Moons abbiamo già parlato in occasione del loro terzo album, Colors. Una graditissima sorpresa nel panorama musicale italiano che a me personalmente, per qualità del sound, per arrangiamento, per l'originalità della voce e per l'azzardo stilistico, aveva lasciato di stucco. Soprattutto in un paese, il nostro, in cui l'Underground non riesce più a far emergere un gruppo decente ormai da anni. Ecco allora questa nuova, ancora più gradita uscita. Il loro quarto album in studio, Cognitive Dissonance. Devo dire che mi ci sono voluti almeno cinque sei ascolti per entrarci definitivamente dentro. Oggi gira quasi costantemente nel mio lettore mp3. Stiamo parlando di un album intenso, raffinato, in cui ogni brano è un piccolo mondo da scoprire. Numbers è elettronica metafisica e quella di Mucciga, in quest'album molto più che nel precedente, una voce rock prestata al synth-dark. Il crescendo del pezzo rivela la sua difficile struttura con ritornello che non stacca dalle strofe ma ne diventa un suo prolungamento. Tutto l'album in realtà è un lungo viaggio metafisico. Silent avvolge, il suo è un mantello di ombre sensualissime. La tastiera lontana e il ritmo semi sincopato, da sensazioni che ci lasciano senza mai averci davvero raggiunto. Across the sky danza imprudente, un basso funky, quasi, in un gotico di maniera, sfrenato. Destruction fa cenni all'industrial leggero, a quel post-rock anni'80 da cui sono uscite meraviglie dimenticate e che i Two Moons vorrebbero (anzi vogliono) ricordarci.
Strange Days è probabilmente uno dei brani più riusciti dell'album. Qui è la tastiera che riecheggia, che parte repentina dopo la prima strofa a dare ritmo, tono, direzione al brano. Un mood evocativo con Mucciga perfetto nella sua impostazione che è quasi una recita. Il riff di chitarra poi, straziante. Tutto sale in quest'album, ogni nota sembra partire in sordina per poi aprirsi senza mai uno stacco netto. It's not my fault è una manifestazione acida, interlocutoria. I live in lies segue lo stesso schema, la sordina e l'apertura; la voce sensuale di Mucciga, una melodia accennata a cui però devi entrare dentro con la calma e la costanza del suo ritmo marziale. The monster, a parere di chi scrive, è forse il brano migliore. Nella cupa introspezione dei testi dell'album, forse il mostro annidato nell'ombra sa rivelarsi qui nella sua luce fredda, bellissima e magnetica. Senza scomodare i mostri sacri, ma l'impostazione del brano, la dolcezza del synth, le sue evoluzioni viaggiano senza colpo ferire da una rielaborazione involontaria e più indurita dei Visage (quelli di The Anvil) all'omaggio distaccato ai Depeche di Ultra. Una perla. Si chiude, purtroppo, con Rebirth (e comunque onore a chi fa ancora album con nove massimo dieci brani). Un finale elegante, una traccia dandy, leggerissima come la sua distesa sonora che si alza in volo.
Cognitive Dissonance
Two Moons
2017 – Atmosphere Records
Per acquistare l'album
www.twomoons.it
Strange Days è probabilmente uno dei brani più riusciti dell'album. Qui è la tastiera che riecheggia, che parte repentina dopo la prima strofa a dare ritmo, tono, direzione al brano. Un mood evocativo con Mucciga perfetto nella sua impostazione che è quasi una recita. Il riff di chitarra poi, straziante. Tutto sale in quest'album, ogni nota sembra partire in sordina per poi aprirsi senza mai uno stacco netto. It's not my fault è una manifestazione acida, interlocutoria. I live in lies segue lo stesso schema, la sordina e l'apertura; la voce sensuale di Mucciga, una melodia accennata a cui però devi entrare dentro con la calma e la costanza del suo ritmo marziale. The monster, a parere di chi scrive, è forse il brano migliore. Nella cupa introspezione dei testi dell'album, forse il mostro annidato nell'ombra sa rivelarsi qui nella sua luce fredda, bellissima e magnetica. Senza scomodare i mostri sacri, ma l'impostazione del brano, la dolcezza del synth, le sue evoluzioni viaggiano senza colpo ferire da una rielaborazione involontaria e più indurita dei Visage (quelli di The Anvil) all'omaggio distaccato ai Depeche di Ultra. Una perla. Si chiude, purtroppo, con Rebirth (e comunque onore a chi fa ancora album con nove massimo dieci brani). Un finale elegante, una traccia dandy, leggerissima come la sua distesa sonora che si alza in volo.
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