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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Simone Quadri

La Casa

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   Nessuno si prende la briga di avvertirci. A quanto pare hanno indetto un qualche tipo di sciopero di categoria proprio il giorno della selezione. Terminata l’astensione al sevizio, l’informazione si perde tra i meandri delle procedure interne. Sta di fatto che fino al momento del colloquio finale rimaniamo all’oscuro di tutto; per dire, quando il telefono prende a squillare, Matilde è nel bel mezzo della lezione di disegno. L’intermediatore chiede dove diavolo siamo finiti. Tempo cinque minuti e dobbiamo essere dall’altra parte della città.
   Mentre parcheggio l’auto nel vialetto coi ciliegi in fiore, l’intermediatore fa cenno di sbrigarci. Dice che in diciassette anni di carriera non gli è mai capitata una roba del genere. In un quartiere di quel tipo, poi. Gli ripeto che non ne sapevamo nulla. Piovono suggerimenti. Indipendentemente dall’esito del colloquio, meglio presentare reclamo al sistema di assegnazione, per evitare problemi col ranking. Ok.
   Clarissa sistema il cappotto di Matilde, per via della fretta è stato abbottonato un po’ così. Le sussurra di stare tranquilla, non è poi tanto importante fare bella impressione. Ha davvero un’abilità magistrale nello stemperare la tensione. Tre anni, dedicati anima e corpo per poter essere selezionati come inquilini. Credetemi, è il contesto ideale per chi intende sistemarsi in un ambiente urbano e protetto al contempo. Tutto procede finalmente come ci aspettavamo. La mia promozione a direttore, il libro di Clarissa che vende parecchio bene, i progressi di Matilde col carboncino.
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   Percorrendo il selciato che costeggia il giardino mi prende la strizza, vorrei ci fossimo preparati meglio per la parte attitudinale. I più scrupolosi (ne conosco almeno un paio, tra gli amici più cari) impongono alla famiglia un corso online di bon ton. Non credo sia giusto diventare tanto maniacali, con tutto lo stress che può scaturirne, però qualche dritta non avrebbe guastato. E poi stiamo entrando con un ritardo di venti minuti: non proprio il miglior biglietto da visita.
   Nonostante l’intoppo iniziale, la Casa si mostra da subito parecchio accogliente. Chiede se la temperatura va bene o se preferiamo qualche grado in più. Ringraziamo per la premura, stiamo benissimo così. È una giornata mite, d’altronde. Clarissa si complimenta per la luminosità dell’ingresso. Allora la Casa dice «se apprezza questo genere di cose, non vedo l’ora di mostrarle il bow window del salotto».
   L’intermediatore prende parola per riferire che il ritardo non dipende da noi, la comunicazione con le specifiche per il colloquio finale non è di fatto mai arrivata a destinazione. La Casa si dice sbigottita, al termine della visita contatterà il servizio per lamentarsi dell’accaduto. Specifica inoltre di aver già raccolto dati circa la nostra puntualità famigliare; è certa che quel ritardo non sia attribuibile a noi.
   A quel punto l’intermediatore domanda a Clarissa (chissà poi perché lo chiede a lei) se ha preferenze circa la sequenza con cui visitare i diversi ambienti, ma la Casa lo interrompe bruscamente dicendo che ha già studiato il percorso più adeguato incrociando le nostre abitudini, la luce esterna e tutta una serie di piccoli dettagli che lui ignora. Si vede lontano un chilometro che tra la Casa e l’intermediatore non corre buon sangue.
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   La musica classica in filodiffusione segnala, stanza dopo stanza, la via da seguire. Dapprima ci conduce dentro un salottino in stile inglese. L’intermediatore ne esalta la funzione separatoria, una di quelle cose a cui al giorno d’oggi nessuno bada più ma che poi, quando l’hai a disposizione, ti cambia la vita. Alla Casa scappa una risatina. Matilde mi guarda, non capisce cosa stia accadendo. Ha solo nove anni, del resto.
   Pochi passi e siamo nell’imponente biblioteca. La Casa precisa che tutti i volumi presenti (quasi ottomila) sono inclusi nel contratto d’affitto, ma che c’è spazio sufficiente per portare i nostri libri, se ne abbiamo voglia. Ci suggerisce di posizionare le prime edizioni sulla parete di destra, così da essere schermate dall’esposizione solare. Clarissa ringrazia. Allora la Casa si complimenta per il nuovo libro. Clarissa ringrazia ancora, un po’ imbarazzata. Si vede che tra la Casa e Clarissa si sta creando un bel feeling.
   E poi arriviamo nel salotto e che dire: il bow window è davvero clamoroso. Domando a Matilde se le piace la vista e lei stringe le spalle. Cristo!, non scherziamo. Chiedo nuovamente e dice che è meravigliosa. Clarissa intanto vaga per la stanza accarezzando i preziosi arredi, studiando centimetro dopo centimetro l’intero ambiente. Tutto di grande classe. Pare sognare ad occhi aperti. La Casa dice «ero certa che le sarebbe piaciuto». Clarissa sorride. A quel punto Matilde corre davanti allo splendido pianoforte a coda e dice: è straordinario! Brava, la mia bambina.  
   «Matilde, ho saputo che negli ultimi tempi hai fatto grandi progressi; magari più tardi potresti suonarmi qualcosa su cui hai avuto modo di esercitarti».
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   Dentro la grande cucina. Sul tavolo c’è davvero il bendidio: tramezzini, pizzette, snack dolci. Pure le madeleine per cui Matilde va matta. La Casa dice «ho pensato a qualcosa di informale, dovreste trovare il buffet di vostro gradimento; sono tutti acquisti che avete fatto online nelle ultime settimane». Ringraziamo una volta ancora per la premura. Matilde divora in pochi minuti quasi tutte le madeline. Nonostante abbia lo stomaco chiuso per via della tensione, butto giù a fatica un tramezzino al tonno. La Casa si accorge che l’ho fatto solo per cortesia e dice «non si preoccupi, non è necessario». Non sono molto bravo a fingere. Clarissa non resiste ad assaggiare un paio di pizzette. Beviamo un bicchiere di vino, Matilde del tè freddo alla pesca.
   L’intermediatore chiede se preferiamo proseguire con il tour interno oppure visitare subito il giardino sul retro (la cucina affaccia su un graziosissimo patio che durante l’estate si trasforma in una sala da pranzo en plein air). Allora la Casa ribadisce «la musica!, vi chiederei di seguire la musica». In quel preciso istante odio tantissimo l’intermediatore per la sua sfacciataggine. È la seconda volta che la Casa si vede costretta redarguirlo. Lo saprà lei come meglio presentarsi.
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   La Casa chiede all’intermediatore di rispettare l’intimità degli ambienti più riservati. Una volta saliti al piano superiore (l’intermediatore è rimasto ironicamente ad aspettare nel salottino in stile inglese), la Casa precisa che le camere da letto padronali vanno visitate in completa autonomia. Mi pare una giustificazione un po’ campata per aria, ma non sto a dire alcunché per evitare di combinare pasticci. Lancio un’occhiata a Clarissa per allinearci.
   Matilde chiede di iniziare dalla sua. Pare che la Casa l’abbia arredata apposta per lei. C’è il cavalletto da disegno, la scrivania con il nuovo modello di tablet che la piccola desidera da un po’, la carta da parati color crema, e il letto è proprio quello che stavamo cercando ma, navigando tra un sito e l’altro, pareva introvabile. La Casa dice «Matilde, da quella finestra puoi ammirare uno scorcio fantastico, l’ideale per i tuoi paesaggi a carboncino».
   La camera da letto matrimoniale è molto bella. Gli arredi sono congeniali al più recente gusto di Clarissa. Classico e sobrio, ma di personalità. Quando ci avviciniamo al letto, notiamo che le cornici d’argento disposte sopra i comodini raccolgono le nostre fotografie. Clarissa in abito nuziale (sono stato brutalmente tagliato dalla foto). Matilde davanti alla torta con sopra una candelina rosa. Una foto dell’estate passata, in cui ci abbracciamo sorridenti sulla spiaggia. Io in montagna, con gli sci a piedi. La Casa dice «spero non vi dispiaccia; ho trovato le immagini sui social, pensavo potesse essere utile per aiutarvi a visualizzare meglio la vostra presenza nell’ambiente». Ringraziamo per la premura, l’ennesima. Poi passiamo a visitare lo studiolo direttamente collegato alla camera da letto.  
   «Cara, so che ha l’abitudine di scrivere fino a tardi. In questo modo potrà lavorare sodo e in tutta tranquillità, senza disturbare il sonno di suo marito».
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   E alla fine tutto fila per il verso giusto. I colloqui attitudinali vanno benone. Matilde suona il notturno in mi bemolle di Chopin e disegna un cavallo in movimento. Clarissa cucina l’anatra alle amarene mentre intrattiene una conversazione sulle influenze letterarie che più sente cucite addosso. A me tocca un commento riguardo la politica monetaria della banca centrale europea, poi mi cimento nella preparazione di un perfetto cocktail champagne.
   Troviamo un accordo ragionevole sul prezzo e sul colore delle pareti dell’ingresso (Clarissa proprio non sopporta il rosa antico). La Casa chiede se possiamo preservare il caminetto del salotto (si tratta di un regalo della prima famiglia che l’ha abitato) e noi acconsentiamo subito; Matilde è entusiasta, ha sempre desiderato un camino su cui appendere le calze il giorno della befana.
   Riguardo le tempistiche, non si presentano particolari frizioni. Possiamo trasferisci entro una settimana. Mi sono tenuto un po’ di ferie per questa eventualità. Clarissa si dice disposta a fingersi malata per saltare le presentazioni già pianificate con l’editore. La Casa risponde che non ce n’è bisogno, che il ferro va battuto finché è caldo. Quindici giorni di tempo dalla conferma, sono più che sufficienti.
   Intuiamo che la trattativa è andata a buon fine quando, rientrati a casa, troviamo il cartello CERCASI GIOVANE COPPIA ANTICONFORMISTA appeso al portone dell’ingresso. Gli occhi di Clarissa diventano tutti lucidi. La telefonata da parte dell’intermediatore arriva qualche minuto più tardi: siamo i nuovi inquilini. Quella sera Matilde realizza un disegno a carboncino di tutti noi, dentro la cucina della Casa. C’è pure l’intermediatore, tutto indaffarato a scartare snack dolci. Un disegno davvero ben fatto.




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