DE FALSU CREDITU
Filippo Chiudilaporta
La letteratura del supermercato
Coops edizioni, Pag. 138 Euro 13,00
La questio potrebbe essere fraintesa: non la letteratura al supermercato, così come ora possiamo trovare i medicinali da bancone, ma la letteratura ispirata dalla merceologia e dal bailamme contemporaneo. Si capiscono le istanze e le esigenze del professor Chiudilaporta, ormai da più parti indicato come uno dei massimi esperti di narrativa giovanile, soprattutto dopo il suo personale battuage (ops, volevo dire battage) pubblicitario a favore del romanzo di Settimio Severini Sugli sugli bane bane tu miscugli le banane (Pompili editore) chiuso tra il tentativo quasi alchemico di rendere più gestibile e inventariabile una materia che giorno dopo giorno assume le sembianze di un vero magma incandescente e lo sforzo quasi sovrumano di non sottostare troppo rigidamente a regole del mercato che finirebbero per trascinare il prodotto verso un sottobosco culturale.
Il successo di Severini non è poi l'ultimo della serie. Non possiamo ignorare l'esploit del quindicenne Gennaro Logiudico con la raccolta di racconti Siamo così, dolcemente complicati (Mannoia&Mannaia), esempio mirabile, tra il ludico e il disperato, di un adolescente alle prese con la schiavitù dell'acquisto a tutti i costi (è ormai diventato ritornello – addirittura musicato e in voga tra i giovani, il finale del racconto "Gira che mi rigiro": La mammina fa il caffè, fa il caffè col rosmarino, mette qualche formaggino, una zampa di tacchino, una piuma di pulcino, cinque sacchi di farina e poi dice: "Che caffé!.
Il professor Chiudilaporta azzarda nel suo saggio un'ipotesi ardita: la letteratura del supermercato (espressione questa già audace per la sua pregnanza iconografica, volta a considerare arte la rappresentazione figurativa dell'oggettistica dello shopping e i suoi ambienti) sta alla vita di tutti i giorni come la donna sta all'attività della procreazione.
Specificando,onde evitare travisamenti, che la donna sta alla procreazione non perché costretta, ma perché artefice unica della continuità del genere umano; laddove si instaura una necessità quasi fisiologica dello scrivere, lo scrivere stesso, in ambiti che la società dei consumi ingloba, diventa vita.
Il professore non è nuovo a questi cimenti. Nel suo precedente saggio per i tipi di Laterizi (Bari-Roma - 2005) La scrittura cretina aveva argomentato sulla urgenza da parte della letteratura di riappropriarsi di schemi e calembours presi dal cabaret della strada o delle cantine (ahinoi non più fumosi e umidi!) per ovviare all'intristimento (termine ripetuto quasi ossessivamente) delle città e dclla società contemporanea in generale.
Mitico ormai il proclama con cui concludeva il libro: Cazzi, ragioniere, cazzi. Dove per ragioniere s'intendeva la figura, ormai desueta ed ingiallita, dell'intellettuale classico perso nelle sue argomentazioni esistenzial-paranoiche, e per cazzi, i cazzi appunto.
La letteratura del supermercato dunque come rinascita di una scrittura naturalmente effervescente, figlia del disimpegno e della merceologia, ma mai merce consumistica. Può sembrare una contraddizione, ma la risposta più consona ed azzeccata ai critici del movimento sta non tanto nel saggio in questione, peraltro brillantissimo nelle argomentazioni, ma nelle parole con cui Casimiro Alberghieri, nel suo vendutissimo libro La semiotica della mantide (Edizioni Azzeccaturo) apre la tenzone: Qui non si fa l'Italia, la si contraffa, possibilmente con l'accento sulla a.
Il successo di Severini non è poi l'ultimo della serie. Non possiamo ignorare l'esploit del quindicenne Gennaro Logiudico con la raccolta di racconti Siamo così, dolcemente complicati (Mannoia&Mannaia), esempio mirabile, tra il ludico e il disperato, di un adolescente alle prese con la schiavitù dell'acquisto a tutti i costi (è ormai diventato ritornello – addirittura musicato e in voga tra i giovani, il finale del racconto "Gira che mi rigiro": La mammina fa il caffè, fa il caffè col rosmarino, mette qualche formaggino, una zampa di tacchino, una piuma di pulcino, cinque sacchi di farina e poi dice: "Che caffé!.
Il professor Chiudilaporta azzarda nel suo saggio un'ipotesi ardita: la letteratura del supermercato (espressione questa già audace per la sua pregnanza iconografica, volta a considerare arte la rappresentazione figurativa dell'oggettistica dello shopping e i suoi ambienti) sta alla vita di tutti i giorni come la donna sta all'attività della procreazione.
Specificando,onde evitare travisamenti, che la donna sta alla procreazione non perché costretta, ma perché artefice unica della continuità del genere umano; laddove si instaura una necessità quasi fisiologica dello scrivere, lo scrivere stesso, in ambiti che la società dei consumi ingloba, diventa vita.
Il professore non è nuovo a questi cimenti. Nel suo precedente saggio per i tipi di Laterizi (Bari-Roma - 2005) La scrittura cretina aveva argomentato sulla urgenza da parte della letteratura di riappropriarsi di schemi e calembours presi dal cabaret della strada o delle cantine (ahinoi non più fumosi e umidi!) per ovviare all'intristimento (termine ripetuto quasi ossessivamente) delle città e dclla società contemporanea in generale.
Mitico ormai il proclama con cui concludeva il libro: Cazzi, ragioniere, cazzi. Dove per ragioniere s'intendeva la figura, ormai desueta ed ingiallita, dell'intellettuale classico perso nelle sue argomentazioni esistenzial-paranoiche, e per cazzi, i cazzi appunto.
La letteratura del supermercato dunque come rinascita di una scrittura naturalmente effervescente, figlia del disimpegno e della merceologia, ma mai merce consumistica. Può sembrare una contraddizione, ma la risposta più consona ed azzeccata ai critici del movimento sta non tanto nel saggio in questione, peraltro brillantissimo nelle argomentazioni, ma nelle parole con cui Casimiro Alberghieri, nel suo vendutissimo libro La semiotica della mantide (Edizioni Azzeccaturo) apre la tenzone: Qui non si fa l'Italia, la si contraffa, possibilmente con l'accento sulla a.
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