INTERVISTE
Massimo Fusillo
Il tuo libro, per necessità che tu stesso indichi nelle prime pagine, può essere solo una disamina piuttosto sintetica della teoria dell'estetica nella letteratura. Ma personalmente dalla lettura del testo ho notato come sia stato il romanticismo il vero fulcro 'rivoluzionario': strappo con la tradizione e motore di sviluppi futuri.
Sì, è vero, ed è un risultato a cui sono giunto nel corso della stesura, non per partito preso. Siamo tutti un po' figli del Romanticismo, che ha scardinato un sistema millenario di generi e di convenzioni, e ha inaugurato una visione della letteratura in fondo ancora vitale. Penso soprattutto al Romanticismo tedesco, il più radicale, alla sua visione del romanzo e alle sue nozioni di infinito, di frammento, di progettualità continua.
Nell'introduzione dici che la letteratura ha tutto da guadagnare nella contaminazione contemporanea che permette di leggere il mondo attraverso prospettive multiple. Nel libro, anche per motivi strettamente utilitaristi di comprensione, riporti autori che in qualche modo hanno lasciato un'impronta in tal senso. Ma se dovessi chiederti un nome che in qualche modo rappresenta l'idea che ti sei fatto della letteratura contemporanea, quale faresti?
Uno solo? Molto difficile! Forse DeLillo, per il suo affresco epico di Underworld; o Sebald, per la sua contaminazione fra immagine e narrativa.
Il romanticismo cambia anche l'idea stessa della teoria letteraria. Friedrich Schlegel indicava la critica come 'accrescimento dell'opera e compimento di essa'. Criticare, e prendo dal tuo libro, significa infatti comprendere un autore meglio di quanto egli ha compreso se stesso. Non so se possa essere un'idea troppo 'investigativa' dell'arte in genere, ma considerando com'è attualmente la critica in generale, non c'è da stare allegri.
Sono abbastanza convinto che l'arte e la letteratura siano processi in buona parte inconsci: gli artisti non sanno quel che fanno, in fondo, e quindi il compito della critica è cercare di capirli oltre i loro programmi dichiarati, di farne emergere i punti oscuri, gli strati latenti, di farne esplodere le tensioni, insomma di integrarne l'opera dandole nuovi spessori. Non so se la critica attuale sia all'altezza di questo compito.
Aleggia ancora il mito romantico del rifiuto del genere. Per esempio tu riporti il caso di Carver definito da molti il padre del minimalismo, appartenenza che lo stesso autore ha sempre contestato. Può sembrare domanda peregrina: ma allora come la mettiamo con quelli che si ostinano ancora a parlare di una letteratura gay. O non sarebbe preferibile definirla letteratura tout-court?
Personalmente credo ancora, in generale, nell'utilità delle categorie, a patto che non si trasformino in gabbie costrittive. Assegnare uno scrittore a una tendenza letteraria o a un genere non significa sminuirne il valore, la personalità, la carica innovativa, come spesso si crede. Un po' diverso è il caso della letteratura gay: si tratta infatti di una categoria nata sulla base dell'orientamento sessuale dello scrittore o dell'ambiente che descrive: non a caso si parla infatti oggi di scrittori post-gay (siamo abituati ormai a risolvere tutti i nostri problemi con questo prefisso...)
Tu affermi che l'Ulrich, il protagonista del 'l'Uomo senza qualità', sembra volerci suggerire l'impossibilità di dare un modello finito del mondo, proprio per le sfaccettature irregolari ed incontrollabili dello stesso. E si era ai primi del Novecento. E allora in che posizione dovrebbe mettersi lo scrittore contemporaneo?
Grosso modo la posizione è la stessa, anche se in un'epoca come la nostra l'impossibilità espressa da Musil sembra ancora più netta, perché siamo dominati dal potenziamento della virtualità, e dalla circolazione globale e frenetica delle informazioni. Eppure la letteratura contemporanea, forse per reazione, ha recuperato spesso, soprattutto in un certo postmoderno ludico o nelle grosse saghe, un gusto per la narrativa forte e lineare: proprio quella che Musil dichiarava tramontata
Stessa cosa dicasi per il lettore. Parlando di Don Chisciotte e Sancho Panza, tu dici che Cervantes ha messo il lettore nella possibilità di trasformarsi a sua volta in autore. Come dovrebbe posizionarsi un lettore contemporaneo di fronte all'intelleggibilità della letteratura contemporanea?
Dovrebbe diventare sempre più smaliziato, trasformarsi in co-autore, costruire dei propri percorsi, un proprio bricolage di tutto quello che l'immaginario polimorfico contemporaneo offre, non solo quello letterario
Tema che mi sta a cuore. Concludi il tuo libro dicendo che la letteratura non può parlarci del mondo in maniera troppo diretta e didascalica: altrimenti rischia di perdere ogni valore estetico. Noi orchi, recentemente, proprio perché la narrativa contemporanea si assomiglia tutta e 'fotografa' solo la realtà, abbiamo coniato il termine (ma non sappiamo se lo hanno fatto già altri) neo-neorealismo. Mi sembra che i tuoi dubbi in qualche modo siano gli stessi degli orchi.
E' un finale uscito fuori per caso, ma in cui credo molto: non amo la nuova ondata critica sul valore etico della letteratura. La letteratura non può essere edificante, non deve insegnare nulla, è un fenomeno tendenzialmente regressivo, che incanala nella forma migliore tendenze spesso pericolose e asociali. Esiste certo tanta bella letteratura impegnata: ma noi non la apprezziamo perché condividiamo quello che dice, ma per come ce lo dice. L'interesse letterario di Gomorra non sta nella denuncia, ma nella mistione fra giornalismo e narrativa. Quanto al neo-neorealismo, credo sia un problema di prospettiva. Va benissimo parlare "solo" della realtà, ma, per fare della letteratura interessante, bisogna saper adottare un punto di vista significativo. La letteratura deve saperci far vedere la realtà con occhi diversi, come fa in fondo la buona fotografia, quando proviene da uno sguardo artistico.
Terminiamo con una domanda apparentemente 'futile': di chi è l'idea della splendida copertina dove si vede un'icona dei nostri tempi, Marilyn, leggere un libro?
Non è futile in effetti. E' la prima volta che mi viene chiesto un suggerimento per la copertina. Ho pensato a immagini di lettura, e ho trovato molti splendidi quadri soprattutto di fine Ottocento e inizi Novecento con donne che leggono (ho attinto al catalogo di una bella mostra vista qualche anno fa alla Galleria Nazionale d'Arte moderna di Roma: "Il libro come tema"). E' interessante notare che nella nostra tradizione iconografica è quasi sempre la donna che legge: gli uomini sono ritratti nell'atto di lettura solo se sono filosofi o santi. Nello stesso catalogo ho trovato la foto di Marilyn che legge Joyce, una foto che ha entusiasmato gli amici del Mulino (mi è stato detto: "avevo sempre sognato di pubblicare un libro con Marilyn in copertina"). Dopo la pubblicazione, il mio collega teatrologo dell'Aquila, Ferdinando Taviani, entusiasta anche lui della foto e del suo sintetizzare bene il titolo, ha fatto una ricerca e ha scoperto che Marilyn doveva impersonare sulla scena Molly Bloom; per questo leggeva il finale dell'Ulisse!
Sì, è vero, ed è un risultato a cui sono giunto nel corso della stesura, non per partito preso. Siamo tutti un po' figli del Romanticismo, che ha scardinato un sistema millenario di generi e di convenzioni, e ha inaugurato una visione della letteratura in fondo ancora vitale. Penso soprattutto al Romanticismo tedesco, il più radicale, alla sua visione del romanzo e alle sue nozioni di infinito, di frammento, di progettualità continua.
Nell'introduzione dici che la letteratura ha tutto da guadagnare nella contaminazione contemporanea che permette di leggere il mondo attraverso prospettive multiple. Nel libro, anche per motivi strettamente utilitaristi di comprensione, riporti autori che in qualche modo hanno lasciato un'impronta in tal senso. Ma se dovessi chiederti un nome che in qualche modo rappresenta l'idea che ti sei fatto della letteratura contemporanea, quale faresti?
Uno solo? Molto difficile! Forse DeLillo, per il suo affresco epico di Underworld; o Sebald, per la sua contaminazione fra immagine e narrativa.
Il romanticismo cambia anche l'idea stessa della teoria letteraria. Friedrich Schlegel indicava la critica come 'accrescimento dell'opera e compimento di essa'. Criticare, e prendo dal tuo libro, significa infatti comprendere un autore meglio di quanto egli ha compreso se stesso. Non so se possa essere un'idea troppo 'investigativa' dell'arte in genere, ma considerando com'è attualmente la critica in generale, non c'è da stare allegri.
Sono abbastanza convinto che l'arte e la letteratura siano processi in buona parte inconsci: gli artisti non sanno quel che fanno, in fondo, e quindi il compito della critica è cercare di capirli oltre i loro programmi dichiarati, di farne emergere i punti oscuri, gli strati latenti, di farne esplodere le tensioni, insomma di integrarne l'opera dandole nuovi spessori. Non so se la critica attuale sia all'altezza di questo compito.
Aleggia ancora il mito romantico del rifiuto del genere. Per esempio tu riporti il caso di Carver definito da molti il padre del minimalismo, appartenenza che lo stesso autore ha sempre contestato. Può sembrare domanda peregrina: ma allora come la mettiamo con quelli che si ostinano ancora a parlare di una letteratura gay. O non sarebbe preferibile definirla letteratura tout-court?
Personalmente credo ancora, in generale, nell'utilità delle categorie, a patto che non si trasformino in gabbie costrittive. Assegnare uno scrittore a una tendenza letteraria o a un genere non significa sminuirne il valore, la personalità, la carica innovativa, come spesso si crede. Un po' diverso è il caso della letteratura gay: si tratta infatti di una categoria nata sulla base dell'orientamento sessuale dello scrittore o dell'ambiente che descrive: non a caso si parla infatti oggi di scrittori post-gay (siamo abituati ormai a risolvere tutti i nostri problemi con questo prefisso...)
Tu affermi che l'Ulrich, il protagonista del 'l'Uomo senza qualità', sembra volerci suggerire l'impossibilità di dare un modello finito del mondo, proprio per le sfaccettature irregolari ed incontrollabili dello stesso. E si era ai primi del Novecento. E allora in che posizione dovrebbe mettersi lo scrittore contemporaneo?
Grosso modo la posizione è la stessa, anche se in un'epoca come la nostra l'impossibilità espressa da Musil sembra ancora più netta, perché siamo dominati dal potenziamento della virtualità, e dalla circolazione globale e frenetica delle informazioni. Eppure la letteratura contemporanea, forse per reazione, ha recuperato spesso, soprattutto in un certo postmoderno ludico o nelle grosse saghe, un gusto per la narrativa forte e lineare: proprio quella che Musil dichiarava tramontata
Stessa cosa dicasi per il lettore. Parlando di Don Chisciotte e Sancho Panza, tu dici che Cervantes ha messo il lettore nella possibilità di trasformarsi a sua volta in autore. Come dovrebbe posizionarsi un lettore contemporaneo di fronte all'intelleggibilità della letteratura contemporanea?
Dovrebbe diventare sempre più smaliziato, trasformarsi in co-autore, costruire dei propri percorsi, un proprio bricolage di tutto quello che l'immaginario polimorfico contemporaneo offre, non solo quello letterario
Tema che mi sta a cuore. Concludi il tuo libro dicendo che la letteratura non può parlarci del mondo in maniera troppo diretta e didascalica: altrimenti rischia di perdere ogni valore estetico. Noi orchi, recentemente, proprio perché la narrativa contemporanea si assomiglia tutta e 'fotografa' solo la realtà, abbiamo coniato il termine (ma non sappiamo se lo hanno fatto già altri) neo-neorealismo. Mi sembra che i tuoi dubbi in qualche modo siano gli stessi degli orchi.
E' un finale uscito fuori per caso, ma in cui credo molto: non amo la nuova ondata critica sul valore etico della letteratura. La letteratura non può essere edificante, non deve insegnare nulla, è un fenomeno tendenzialmente regressivo, che incanala nella forma migliore tendenze spesso pericolose e asociali. Esiste certo tanta bella letteratura impegnata: ma noi non la apprezziamo perché condividiamo quello che dice, ma per come ce lo dice. L'interesse letterario di Gomorra non sta nella denuncia, ma nella mistione fra giornalismo e narrativa. Quanto al neo-neorealismo, credo sia un problema di prospettiva. Va benissimo parlare "solo" della realtà, ma, per fare della letteratura interessante, bisogna saper adottare un punto di vista significativo. La letteratura deve saperci far vedere la realtà con occhi diversi, come fa in fondo la buona fotografia, quando proviene da uno sguardo artistico.
Terminiamo con una domanda apparentemente 'futile': di chi è l'idea della splendida copertina dove si vede un'icona dei nostri tempi, Marilyn, leggere un libro?
Non è futile in effetti. E' la prima volta che mi viene chiesto un suggerimento per la copertina. Ho pensato a immagini di lettura, e ho trovato molti splendidi quadri soprattutto di fine Ottocento e inizi Novecento con donne che leggono (ho attinto al catalogo di una bella mostra vista qualche anno fa alla Galleria Nazionale d'Arte moderna di Roma: "Il libro come tema"). E' interessante notare che nella nostra tradizione iconografica è quasi sempre la donna che legge: gli uomini sono ritratti nell'atto di lettura solo se sono filosofi o santi. Nello stesso catalogo ho trovato la foto di Marilyn che legge Joyce, una foto che ha entusiasmato gli amici del Mulino (mi è stato detto: "avevo sempre sognato di pubblicare un libro con Marilyn in copertina"). Dopo la pubblicazione, il mio collega teatrologo dell'Aquila, Ferdinando Taviani, entusiasta anche lui della foto e del suo sintetizzare bene il titolo, ha fatto una ricerca e ha scoperto che Marilyn doveva impersonare sulla scena Molly Bloom; per questo leggeva il finale dell'Ulisse!
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