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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Maurizio Matrone

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Si è detto (hai detto) che il tuo romanzo è liberamente ispirato a 'La vita intensa' di Massimo Bontempelli. Non avendo mai letto il libro e approcciandomi al tuo in modo del tutto naturale credendolo 'vergine', ho commesso un errore?



Assolutamente no. O almeno: io non trovo indispensabile che si debba conoscere l'originale. Il pregiudizio virginale, comunque, non ne risente perché se un libro non si dichiara inviolato puoi amarlo lo stesso. E' l'atto della lettura che lo rende unico. Il commissario incantato è più una specie di cover della Vita intensa. In campo musicale le cover sono talvolta molto più interessanti degli originali perché sono degli atti – non semplicemente interpretativi – di riscrittura e rilettura densi d'amore e d'umiltà verso la musica e l'autore. Mio figlio adolescente credeva che "Light mi fire" cantato da Will Young fosse un pezzo originale e non aveva idea di chi fossero i Doors. La scoperta (anche delle cover di Ami Stewart - strepitosa rilettura disco dance -, di Josè Feliciano e dei Led Zeppelin - tanto per citarne alcuni - ) gli ha permesso da una parte di apprezzare maggiormente la cover, dall'altra di recuperare un brano (e conoscere un gruppo storico) che ha trovato "rivoluzionario".



Recentemente, in un articolo apparso sull'inserto domenicale de 'Il sole 24 ore', l'estensore, Giuseppe Antonelli, affrontava la questione dell'omologazione della letteratura italiana che assomiglia sempre più alle traduzioni dall'americano– e che lui definiva 'fenomeno neostandard' -. Ora, lasciando da parte la discutibilissima operazione di Balestrini che più che scrivere un romanzo lo ha assemblato e ha partorito, crediamo noi, una mostruosità, il tuo libro, nato sulla falsa riga di un altro, come lo si colloca? Ammettendo il fatto che tutto debba essere 'collocato'?



Aggiungo che, avendo partecipato in qualità di giurato a vari concorsi letterari polizieschi ho trovato molta letteratura somigliante allo standard delle serie tv nostrane...

L'omologazione risente probabilmente di una malintesa semplificazione che favorisce l'aspettativa di uno standard al "ribasso".

Il commissario incantato è nato dalla storia e dalla lingua di un altro che potevo essere io. Ma non è così sempre? Se l'arte imita e racconta la vita, chi imita l'arte non fa forse altrettanto? D'altra parte chi ama un maestro lo copia: dapprima con l'umiltà dello studente, poi con la consapevolezza di metterci del proprio. Il plagio, invece, è un atto disonesto. Immaginare poi di non essere influenzati da chi ha lavorato (o lavora) meglio di noi sarebbe ipocrita (lo stesso vale per i modelli "americani"). Io invito a lasciarsi influenzare dai modelli e dai maestri nostrani magari ingiustamente dimenticati. Sono convinto che si aprirebbero scenari inimmaginabili. Il commissario incantato è un omaggio a un libro (più che all'autore) a me affine e il suo recupero ha permesso di rinnovarlo, di renderlo vivo, diverso e, in qualche modo, originale.

Il titolo ammicca a una collocazione poliziesca, tuttavia l'incanto si riferisce alle storie raccontate a Wilma libraia in Paradiso. E che cosa sono le storie se non avventure?

La collocazione è un'altra semplificazione come il genere individua la collocazione di una storia. Dopo è il come la racconti che ti colloca.

Se ci fosse lo scaffale "letteratura di recupero" Il commissario incantato potrebbe trovarsi lì.



Citi per ben due volte Bela Lugosi's dead dei Bauhaus come uno dei pezzi musicali essenziali della new wave degli anni 70/80. E se io ti contrappongo I Zimbra dei Talking heads, tu come reagisci?



Provando a tenere il tempo. E, pensando ai Talking Heads, Once in a life time un commissario...



Ma è credibile che un commissario abbia una vignetta di Vauro attaccata alla parete? Non è troppo di sinistra?



Appunto... è un commissario transdirezionale.



Riporto un brano: (Ora è il caso che ti dica che io non sono un pacifista, ma tifo per la pace. Cioè: nella mia posizione, con una divisa da poliziotto – e avendo persino esercitato un pertinente quantolegittimo uso della violenza e delle armi – troverei ipocrita sbandierare il vessillo arcobaleno. Pur tuttavia, Wila, sai che la frequentazione – e l'esibizione – gratuita della violenza m'infastidisce e mi offende gravemente). Facendo la parte del diavolo ti chiedo: la necessità di dirlo cos'è? Una confessione, un fare i conti coi propri sensi di colpa, una legittima autodifesa o semplicemente urgenza narrativa?



Un po' tutto questo. Mi infastidiscono l'equivoco pacifista e la mistica della violenza. Così, appena posso, mi piace ribadirlo.



Nel romanzo che non è un noir, ti definisci in continuazione scrittore di polizieschi. Da che parti stai? Dalle parti del vecchio giallo all'inglese? Dalle parti del sociologico noir di origine francese? Dalle parti del fenomeno 'tutto italiano' o dalle parti di Faletti che sbaglia pure la consecutio quando scrive?



Ne Il commissario incantato auspico che il poliziesco si affranchi dalla gabbia del genere e che io possa finalmente evadere!

Se proprio devo prendere una parte prendo quella del fenomeno italiano.



Simona Mammano recensendo il tuo libro su 'Repubblica' ha confessato che doveva per forza entrare nel privato perché ti conosce da quando sei entrato in polizia. Ora,visto che voglio parlare ai lettori del 'Paradiso' del tuo romanzo, ma non so nemmeno in quale città hai fatto le elementari, che suggerimenti mi dai?



Ho fatto le elementari a Forlì. Ma se "credi" ti allego un breve racconto sui libri, librai e lettori in Paradiso.



Sarei proprio curioso di sapere che idea avevi quando hai tentato di convincere il Ministero dell'Interno a dipingere le auto della polizia nell'ambito del progetto "Fai un graffito sulla tua volante". Ma mica usavi il chiodo???



Eh, glielo ho detto a quelli del Ministero che intendevo lo spray alla newyorchese e non la tecnica dell'incisione. Com'è difficile comunicare con i piani alti!



Sergio Claudio Perroni, l'antipaticissimo autore di 'Non muore nessuno', si è risentito di brutto quando l'ho intervistato perché, avendo scritto un romanzo divertente, l'ho etichettato come scrittore ironico. Ora spero che anche tu non ti risentirai se tutta questa intervista era un po' sopra le righe.



Penso che sia pur sempre meglio stare sopra che sotto.









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